Edizioni Clichy: La tentazione di Luc Lang
prìmula (non com. prìmola) s. f. [lat. scient. Primula, dal lat. mediev. primula, der. di primus «primo»]. Genere di piante primulacee con alcune centinaia di specie erbacee quasi tutte perenni, in prevalenza delle zone montane e subalpine dell’emisfero settentrionale: hanno foglie tipicamente in rosetta basale, fiori solitarî o disposti in ombrella, a corolla di colore variabile dal bianco al giallo, ma anche rosa pallido, rosso intenso o blu, e frutto a capsula deiscente in cinque valve, con molti semi. Dim. primulétta, con riferimento al fiore di una primula, o anche a una piantina di primula.
Da un po’ ciarlavamo sulla possibilità di aprire uno spazio sul Culturificio dedicato ai libri stessi, oltre che alle nostre recensioni. Leggere senza filtri (né fertilizzanti) le parole degli scrittori, invece che le nostre. All’inizio abbiamo pensato di pubblicare un estratto a libro finito, ma da parte nostra sarebbe stata solo un’altra forma infestante di affettuosa prepotenza.
La leggenda vuole che un anonimo amanuense, dimenticato dalla storia in una cantina, compili a ogni ora del giorno la nostra lista di libri recensibili. In un manoscritto a parte, dall’alba dei tempi, grazie al dono della chiaroveggenza ha annotato alcuni testi per farne un florilegio, una selezione di brani tratti da alcune nuove proposte della piccola e media editoria. A suo avviso, i più smaccatamente di qualità. Non si offendano gli esclusi, dunque: è colpa dell’amanuense.
Allora curiosando tra i titoli della sua lista abbiamo chiesto agli editori di scegliere un passo del libro che fosse essenziale, una talea insomma, per proporre ai lettori un florilegio di testi che quindi germoglieranno anche sul Culturificio – giusto per innestare su questo discorso l’ennesima immagine vegetale.
Come chiamare questo spazio? Siamo partiti appunto dall’idea di florilegio, composto formato dal latino flos floris «fiore» e legĕre «cogliere». Poi siccome si tratta di anteprime siamo arrivati a un determinato fiore, la primula, diminutivo primulétta, per noi al plurale e con un accento ribelle: primulètte.
Le primulètte saranno le prime letture dei libri che leggeremo, quelli che non ci vogliamo dimenticare. E per questo vogliamo seminarli prima che fioriscano tra gli scaffali delle librerie.
Se è vero che, come si legge in un trattatello settecentesco (Virtù della Brettonica, 1768), tra le proprietà medicinali di questo fiore troviamo «ristrignere le lacrime» e soprattutto «ferite recenti e fresche curare», speriamo che queste pagine possano portarvi gli stessi benefici.
Ecco la primulètta numero due, La tentazione di Luc Lang (traduzione di Tommaso Gurrieri, Clichy).
Sono due giorni che lo cerca. In una zona di caccia di cui conosce metro per metro la cartografia. Ha parcheggiato il pick-up non lontano da un punto in cui partono vari sentieri escursionistici. Stamattina ha più consapevolezza del perimetro in cui circolano i branchi di cerbiatte e può meglio valutare la zona approssimativa in cui i maschi si affronteranno. Gli è sembrato di intravedere il suo cervo ieri a est del fianco della montagna, era in bella vista sul contrafforte, quindi poco discreto, François ha alzato la testa, un puro caso, s’è fermato di colpo, ha mirato, l’animale era scomparso, pensa che fosse lui con i palchi così grandi, un collo così… Percorre il prato di un alpeggio, cerca tracce, orme di zoccoli, i cervidi ci vanno di notte, allo scoperto, per nutrirsi di erba fresca. È quasi al limitare della foresta che trova sterco recente, liquido, un cervo deve aver brucato a lungo lì intorno, il giorno prima e anche quella notte. Nota subito la breccia da cui l’animale è tornato al coperto. Il terreno è calpestato, decide di risalire la pista che s’insinua nel bosco, tracciando delle interruzioni, dei ritorni, delle circonvoluzioni che non capisce, come se l’animale avesse percorso due vie per ingannare cani e cacciatori. Improvvisamente sente un lungo bramito, quel misto insondabile di sbadiglio, lamento e trionfale ruggito al quale un altro risponde prima che si incontrino e si scontrino. Avanza per fortuna controvento, il pendio è più dolce, rocce sparse che sembrano cadute dal cielo, si apre una radura, profonda, i due cervi che bramiscono si provocano e si spaventano l’un l’altro, a lui sembra di riconoscere il suo, quello di destra, imbraccia precipitosamente il fucile, l’animale è nel mirino, è proprio lui, se lo uccide prima del combattimento eviterà il rischio che i palchi si danneggino o addirittura si spezzino nello scontro. Toglie la sicura, arma, interamente proiettato nella lente Zeiss, con la sensazione di toccare l’incollatura e il collo che attraverserà con una pallottola perforante. Troppo tardi, i maschi si lanciano, François stacca lentamente la guancia dal calcio, abbassa la canna, blocca la sicura, si china, un ginocchio a terra, la carabina tra la coscia e il ventre, la spalla appoggiata a un faggio, interamente assorbito dall’intensità dello scontro, i due cervi che si buttano, testa a terra, palchi davanti, uno contro l’altro. I palchi sbattono, tintinnano, si incastrano, un rumore che riempie il bosco, dieci spade furiose che incontrerebbero il ferro se non fosse che i palchi fatti d’osso hanno un suono opaco di bastoni che si scontrano e vibrano, i muscoli sporgono, le pellicce luccicano, getti di vapore escono dalle narici nell’aria gelata, gli zoccoli strappano il manto di erba, foglie e rami, l’energia dispiegata non è d’una rapidità, d’una decisione, d’una forza umane, scaturisce da un’altra fisica, da un’altra potenza, associabile a dèi che subiscono incessanti metamorfosi. I cervidi s’inalberano, si alzano, eretti, gli zoccoli delle zampe anteriori colpiscono il petto dell’avversario, poi le teste si abbassano, palchi e punte si intrecciano di nuovo, si percuotono, i maschi scalciano e si accaniscono in un’estrema confusione di corna, ci sono cervi che sono morti in combattimento per non essere riusciti a sganciarsi l’uno dall’altro. Le quattro zampe dei combattenti hanno tutte ritrovato la terra per piantarcisi, uno dei due fa un repentino passo di lato, individuando un vuoto nell’appoggio dell’altro che ci si butta, barcolla, rotola sul fianco, il dominante ha potuto liberare i suoi palchi, carica subito mentre l’altro si rialza troppo lentamente, prende il colpo di grazia, indietreggia, vacilla, cerca un appoggio per resistere, esita e poi s’interrompe per fuggire sul versante nord della radura. Di fronte a quell’epico duello, François rimane ancora una volta sconcertato nel vedere quanto la saggezza della specie vegli nel cuore del più accanito combattimento facendo sì che cessi prima di una violenza che diventerebbe mortale. François ha potuto misurarlo numerose volte, lo scontro si ferma sempre prima, non si tratta di uccidere, ma di ritualizzare la dominazione, la conquista del territorio per una durata precaria e fragile in cui il potere può continuamente capovolgersi. Il cervo che lui agogna si è immobilizzato in un atteggiamento di sfida, testa e palchi dritti. Urla una seconda volta, è il bramito del marchio del territorio, l’apertura della sua dinastia, che durerà molte settimane, su quella zona che diventa sua e dove si ammasseranno la ventina di cerbiatte che brama e che dovrà montare, sapendo che sono fertili un giorno solo, sapendo che altri pretendenti ai margini del suo regno forse lo sfideranno, che non potrà nutrirsi né riposarsi, preso come sarà a mantenere il suo regno e assicurarsi la discendenza, sa che si indebolirà, perderà le forze e forse si vedrà detronizzato e poi bandito prima che finiscano gli amori. L’animale che lui desidera, quel perfetto sedici punte, è di nuovo nel suo mirino, ha imbracciato d’istinto la sua carabina Merkel Helix, da buon cacciatore, la piega dell’indice sul grilletto, è adesso, in questo istante di gloria e di antica bellezza, che può abbattere il cervo, e annullare la posa trionfale, l’equilibro perfetto sulle quattro zampe, cancellerà la sagoma verticale, una pressione di un solo chilo sull’indice, un intervallo di un quinto di secondo, stenderà la bestia sul fianco, la metterà a terra, la precipiterà nel regno dei morti che ci tocca in sorte. È adesso che raggiungerà il suo scopo, che realizzerà il suo progetto. All’estremità della canna. Ma è assalito da una destabilizzante disarmonia, non è più il testimone privilegiato di un combattimento primordiale di cui conserva nel corpo sensazioni muscolari. Il fucile sulla spalla, la mira, lo portano in un mondo in cui carne e sangue, forza fisica e istinto di specie non hanno più corso, un mondo in cui regna una potenza diversa, solo tecnica, ma di una tecnica simile a quella degli dèi, che uccide a distanza, fulminante, della quale non è soltanto agente e utilizzatore, una potenza che lo sovrasta molto oltre il potere che gli concede di abbattere a quasi ottanta metri di distanza una tale forza animale. Non è più nello stesso regno, nello stesso tempo, la sua superiorità è privata di senso, ridicola in quel momento fino all’assurdo. Toglie l’indice dal grilletto, abbassa la canna, si rialza, forse domani sparerà, non oggi. Poi François avanza di tre passi, entra nel campo visivo del cervo, che lo scorge, la schiena percorsa da un brivido, che opera una leggera flessione delle zampe anteriori, volta la testa, fa un balzo, sparisce nel bosco, a ovest della radura. Sì, domani sparerà.