Culturificio
pubblicato 4 anni fa in Primulètte

NN Editore: Urla sempre, primavera di Michele Vaccari

NN Editore: Urla sempre, primavera di Michele Vaccari

Le primulètte sono le prime letture dei libri che leggeremo, quelli che non ci vogliamo dimenticare. E per questo vogliamo seminarli prima che fioriscano tra gli scaffali delle librerie. Ecco la primulètta numero quattro, Urla sempre, primavera di Michele Vaccari (NN Editore).


8 settembre ’43, nottemezza

È come un sentiero ma la strada sono i sogni.
Nascono e finiscono ogni istante, niente è coerente, affidabile, mascherato.
Siamo tutti noi, senza invenzioni.

Ci muoviamo insieme, io vedo il loro inconscio.
Forse stiamo camminando, siamo in movimento, ma non significa nulla o che sia esattamente così. Siamo nel negativo di Metropoli, la sua versione intima, indicibile. Ogni segreto dei suoi abitanti diventa una storia, ogni storia si svolge davanti alla successiva: ascolta chi incontri, non cercare di essere razionale, non cercare il principio, chi sogna sta seguendo una storia, trovala, prima che cambi scenario. Lo ripeto sempre agli Orfani, lo capiscono solo gli Animali.
Nel laggiù, cioè qui, il pensiero inventa le forme, non viceversa. I corpi escono dalle tenebre, le case non esistono, siamo circondati da luoghi paralleli, io conosco la vita vera perché vedo quella di chi mi sta via via attorno, io so come si odia, ho sentito le parole che spezzano, il potere dei sogni è la conoscenza intima e segreta del mondo, è come possedere il lato oscuro dell’umanità, è pericoloso come un ricordo, è dolce come un addio, visioni di sentimenti, delusioni, aspettative, cose che vogliono dire altro di continuo, nel primo sogno, sono decine gli anziani nudi, alcuni leggono, altri parlano a una festa che pare di millenni fa, certi sembrano loro stessi finché non diventano qualcuno che hanno incontrato prima di addormentarsi, in un angolo è spuntato un albero di frutti che non conosco, cresce, mi accorgo che è diventato una schiena, una schiena gigante e piena di foglie, cadono tutti i frutti dal collo, fanno il rumore dell’aria quando è tanta e muove i rami delle piante, si staccano come pezzi di scapole, sono piccoli, sono rossi, sono gocce di vento, ne mangio uno, mi si gonfia la faccia, gli Animali anche, sono tondi, rotolano, sembrano barili, ci sono molte Milizie che marciano, si lasciano attraversare da noi, siamo inconsistenti, siamo vivi ma è come se fossimo già dall’altra parte, sono ovunque, fanno cose che mi fanno schifo, usano i calci, alcuni sputano, non capisco, uno di loro è in ginocchio, con le mani giunte davanti a un divano verde fatto di lana lunga, potrebbero essere capelli del mare, alghe, o giacche tritate. Il divano diventa grandissimo, ci sono molte nuove persone sedute sopra, sempre di più, il divano ora è una panca, la panca è un piano alto di un grattacielo, sotto c’è una città che non ho mai visto, è lontanissima, piena di auto e oggetti che si muovono, e sui palazzi cartelli pubblicitari con scritte e video, laggiù, dev’essere il sogno di qualcuno che viene dal Novecento, quando ancora si usava l’acqua per l’energia elettrica e tutto poteva stare acceso per giorni, senza ansie di chissà come facciamo a scaldarci la casa, anch’io sono vestita strana, ho un abito che fa una luce più forte di quelle che provengono dal soffitto, c’è un soffitto, qualcuno mi dà una mano, è Duplo, lo riconosco anche se non ha la testa, gli Orfani sono tante luci tutte vicine, poi si moltiplicano, la sala diventa un prato brinato, non ha più nulla di Metropoli, siamo al centro del prato, il prato non ha un centro ma io sento che questo lo è, invito tutti, Orfani e Animali, sul tappeto, si muove ogni cosa, la mia testa è collegata al tappeto, il tappeto ha un cuore, lo sento battere, ho lo stesso cuore del tappeto, la stessa eccitazione furibonda, alcuni camerieri ci scontrano con i loro vassoi pieni di cibo, ci giriamo, io vedo da una finestra il mare in subbuglio, siamo in mezzo al mare in tempesta, siamo in quella che sembra una nave, gli Animali si rendono conto che la terra non va bene, la terra fa troppo su e giù, le bestie paiono impazzire con le onde che li portano a un livello tale di confusione da costringermi a intervenire, devo calmare l’acqua, devo cambiare il sogno, cerco tra tutti chi sta sognando, di solito è il protagonista, di solito parla, o è simpatico a tutti, o è in un posto definito e visibile, un palco, una premiazione, il sogno è l’unico luogo dove chiunque è lì per noi, ogni sogno ti incorona re, supero vari signori ben vestiti, donne giovani con abiti luccicanti e collane persino in testa, uomini che suonano strumenti musicali con lunghe code di stoffa che pendono dal retro delle cosce, alcune code sono serpenti, finché non mi arriva una freccia nella pancia, non una di quelle che uccide, una strana, con la punta di gomma: piacere, sono Giovanni, non so chi sia, ora sono una comparsa del suo sogno, domani Giovanni si chiederà chi ero, devo cambiargli subito il sogno, serve un breve spostamento della logica: hai tirato tu la freccia, Giovanni?, il bimbo mi guarda interdetto, mi guardo le mani, per vedere se ce l’ho fatta, se sono in un altro sogno, sto invecchiando, le braccia sono quelle di un’anziana, mi guardo intorno, sono dentro un’auto, non ha niente di quella di papà, devo trovare il sogno del Presidente. Urlo al Branco «Non fermatevi», siamo circondati da altre auto più grandi, gli Animali e gli Orfani mi guardano da terra, sono di nuovo nell’ambiente da cui siamo partiti, io non riesco a uscire da quello di Giovanni. Sai, gli dico, ho molta voglia che mi porti in centro. Precipitiamo con l’auto in picchiata, Giovanni scompare, non ha retto al salto, si è svegliato, io sono a terra, in un altro sogno.