Culturificio
pubblicato 3 anni fa in L'angolo russo

Festività russe starter pack

Festività russe starter pack

Le celebrazioni del Natale (in russo Roždestvo Christovo, ovvero “Nascita di Cristo”) hanno origini antiche: furono introdotte da Vladimir I di Kiev nel X secolo. La Chiesa ortodossa, seguendo ancora le date del calendario giuliano, festeggia il Natale tredici giorni dopo quello cattolico, ossia il 7 gennaio (e, di conseguenza, il Capodanno Staryj Novyj God – “Vecchio Anno Nuovo” – il 13). Dalla rivoluzione del 1917 fino al crollo dell’Urss il Natale scomparve e al suo posto vennero introdotti i festeggiamenti del Capodanno (Novyj god) il 31 dicembre.

Iniziamo il nostro viaggio dal fantasmagorico e caleidoscopico mondo della Piccola Russia narrato da Nikolaj V. Gogol’ ne La notte prima di Natale (Noč’ pered Roždestvom), racconto che apre la seconda parte della raccolta Veglie alla fattoria presso Dikan’ka (Večera na chutore bliz Dikan’ki, 1832). Nell’incipit il narratore, l’apicoltore Rudyj Pan’ko, descrivendo una tipica notte di festeggiamenti, menziona le koljadki, ovvero i tradizionali canti natalizi che venivano intonati sotto le finestre aspettando che il padrone di casa lanciasse nel sacco dei cantori un salame, un pezzo di pane o una moneta. Le koljadki hanno origini antiche, precristiane, sono conosciute già ai tempi della Rus’ di Kiev e fanno parte del folklore slavo. 

Il giorno della vigilia di Natale era finito. Cominciò la chiara notte invernale. Spuntarono le stelle. La luna si levò maestosamente nel cielo per far luce alla brava gente e al mondo intero, perché per tutti fosse lieto cantare le koljadki e glorificare Cristo.

A Dikan’ka il tempo della festa non è ancora arrivato, le strade sono vuote così come il cielo stellato. La quiete notturna viene però squarciata dal frenetico sfrecciare in aria del diavolo – col suo muso da maiale e le sue gambette rinsecchite – «cui era rimasta un’ultima notte per gironzolare per il mondo e indurre in peccato la brava gente». Palleggiandola tra le mani per non scottarsi, l’astuto diavolo compie la sua marachella rubando nientemeno che la luna. Il perché di tale azione smisurata è presto detto: l’avvocato dalla lunga coda rossa mal sopporta il fabbro Vakula, timorato di Dio e artefice di un dipinto raffigurante san Pietro nel giorno del Giudizio universale mentre caccia dall’inferno proprio lui, il maligno. Oscurato l’orizzonte, il giovane non può incontrarsi in gran segreto con Oksana, figlia del ricco cosacco Čub il quale, pigro e sedentario, difficilmente metterebbe piede fuori dalla sua isba con un tale buio. Deciso a creare più inconvenienti possibili al suo acerrimo nemico, il dispettoso diavolo si ingegnerà in ogni modo per intralciare il viaggio che il fabbro dovrà intraprendere per arrivare a San Pietroburgo e trovare gli stivaletti della zarina da recare in dono a Oksana, l’unico modo per sposare la fanciulla. Questo racconto, come gli altri del ciclo di Dikan’ka, è perfetto per farsi trasportare dagli elementi e dai personaggi del folklore ucraino tanto ricercati e studiati da Gogol’: la superstizione che si mischia alla tradizione, il diavolo e i semplici ma sfaccettati abitanti del villaggio, le loro scanzonate e fiabesche avventure e la dettagliata e ironica descrizione di un microcosmo fantastico e carnevalesco. 

Il nostro viaggio si conclude la notte del 31 dicembre.

L’anno nuovo si avvicina e le famiglie russe si sono riunite per accoglierlo. D’altronde, tra tutte le festività, il Novyj God è sicuramente quella più importante. Tre sono le cose che non possono mai mancare: l’insalata Olivier (o russa, che dir si voglia), l’albero di Capodanno e Ironja sud’by in televisione. Ma di quest’ultimo torneremo a parlare tra poco, perché altrettanto immancabile sotto la nostra ëlka è un biglietto d’ingresso al balletto… quale? Ščelkunčik, ovviamente!

Assistere a una rappresentazione de Lo schiaccianoci è in assoluto nella tradizionale to do list russa dell’ultimo giorno dell’anno. Trasposto nelle versioni più disparate e originali di cui tutti ricorderanno probabilmente l’adattamento cinematografico di Walt Disney, il memorabile film d’animazione Fantasia (1940), il celebre balletto natalizio resta un grande cult e riempie tutt’oggi le poltrone del Teatro Bol’šoj nelle nevose sere moscovite, esattamente come la prima volta, nel 1892, al Teatro Mariinskij di Pietroburgo, in una gelida notte di metà dicembre.

Lo Schiaccianoci è uno dei capolavori del balletto ottocentesco: coreografato da Marius Petipa – prima – e Lev I. Ivanov – poi –, musicato dal compositore Pëtr I. Čajkovskij, Ščelkunčik incanta il pubblico con le sue danze fatate e le battaglie tra soldatini. Anche questo ‘racconto’ in due atti si inserisce, come La notte prima di Natale, nella cornice fiabesca di una magica notte durante la quale tutto può succedere. Ispirata in parte alla storia di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Nussknacker und Mausekönig (Schiaccianoci e il re dei topi), del 1816, la trama segue la versione ‘raddolcita’ e attenuata dello scrittore e drammaturgo francese Alexandre Dumas padre e narra le strabilianti avventure della piccola Сlara e dell’amato Principe Schiaccianoci. Un’atmosfera incantata cattura il pubblico, sognante proprio come la bimba. 

Sebbene valga la pena, non tutti sono disposti ad aspettare sotto la neve nelle lunghe file fuori dallo storico Teatro moscovita per assicurarsi l’accesso e preferiscono godersi una serata davanti alla tv. Ivan Vasil’evič menjaet professiju (1973), film sovietico del regista Leonid Gajdaj o, ancora, l’indiscusso Ironja sud’by, ili S lëgkim parom! – tradotto in italiano come L’ironia del destino, oppure Buona sauna! – sono tra le pellicole più gettonate. Quest’ultimo, in particolare, è un film cult del 1975 diretto da Ėl’dar Rjazanov. Questa commedia sovietica è talmente radicata nella cultura popolare russa che alcune battute del film sono diventate espressioni ricorrenti della lingua parlata, e le canzoni della colonna sonora dei tormentoni che tutti conoscono.

Il film è ambientato negli anni di Brežnev e prende le mosse da una frase pronunciata nei primi minuti: «In Unione Sovietica, ci si può sentire a casa ovunque». Questo perché l’architettura sovietica è talmente uniforme da cancellare qualsiasi differenza, anche tra città molto lontane.

Ecco quindi che il moscovita Ženja, dopo un pomeriggio passato a bere con i suoi amici, per un fortuito errore si ritrova a Leningrado. Ubriaco e convinto di trovarsi a Mosca, Ženja sale su un taxi e chiede di portarlo a casa, in via Stroitelej. Lì ritrova il suo palazzo, prende l’ascensore ed entra nel suo appartamento con le sue chiavi. Peccato che quella non sia casa sua, ma di Nadja. Le case dei due protagonisti sono talmente uguali da non generare il minimo turbamento in Ženja, che capisce di trovarsi a Leningrado solo quando è ormai troppo tardi. Così, Ženja e Nadja si ritrovano a festeggiare il Capodanno insieme e nascono da qui una serie di incomprensioni e di vicissitudini che porteranno all’avvicinamento dei due.       

Ironja sud’by è una bellissima commedia romantica, che racconta di un amore che nasce e matura nel corso di una sola notte. Una di quelle magie che solo le feste possono regalare.  

di Francesca Belfiore, Sara Gargano, Anita Orfini