Anita Orfini
pubblicato 2 anni fa in L'angolo russo

“Vita di A.G.” di Vjačeslav Staveckij

Opinioni di un clown

“Vita di A.G.” di Vjačeslav Staveckij

Un tiranno vivo messo in mostra avrebbe giovato alla Spagna ben più di un tiranno morto dato in pasto ai vermi.

Qual è la punizione più adatta per uno spietato e sanguinario dittatore? Avvelenarsi in un bunker? Fare il pipistrello a piazzale Loreto? Aspettare che muoia per un arresto cardiaco? Una possibile risposta la fornisce Vjačeslav Staveckij con il suo romanzo d’esordio Vita di A.G. finalista ai prestigiosi Bol’šaja Kniga e Jasnaja poljana nel 2019 e pubblicato per la prima volta sulle pagine della rivista «Znamija» (in Italia è disponibile grazie alla traduzione di Elisabetta Spediacci e a Francesco Brioschi Editore, nella collana «Gli altri»).

Il feroce dittatore spagnolo Augusto Goffredo Avellaneda de la Gardo, destituito dopo anni di terrore e insuccessi militari, è destinato, a edificazione dei posteri, a «un esperimento antropologico senza precedenti, una specie di museo itinerante del tiranno, assai istruttivo sia per gli spettatori che per l’oggetto esposto», ovvero l’ergastolo pubblico. I vincitori repubblicani hanno difatti stabilito che il rubicondo satrapo, colpevole dello sfacelo della Spagna pre e post-bellica, dovrà essere esposto per tre giorni sulla piazza principale di tutte le città in cui sono stati perpetrati dei crimini per ordine del suddetto caudillo. Il destino, fino a poco tempo prima allineato alla fortuna di Avellaneda, gli gioca un tiro mancino. La condanna a quella punizione tanto umiliante quanto esemplare, coincide infatti con il peggior incubo che aveva sempre cercato di scacciare: venire rinchiuso in una gabbia ed essere esibito come un animale, lui che all’apice del suo regno aveva iniziato a fantasticare sulla conquista dello spazio. 

Il popolo preferisce di gran lunga assistere alla vergogna e alla caduta del truffatore che fino a qualche giorno prima era assiso sul trono delle divinità piuttosto che vederne la repentina morte. Durante lo strampalato e insolito tour per tutte le città della Spagna Avellaneda, come una bestia in gabbia, diventa il cencioso bersaglio del lancio di pomodori, degli insulti e degli sputi tenuti in canna dalla popolazione per tanto, troppo tempo.

Ovunque comparisse il suo polveroso furgone nero con il marchio ‘A.G.’, era tutto un trionfo di odio, un baccanale di rancore, un carnevale di ostilità.

Avellaneda era convinto di riportare il paese a essere la Spagna degli eroi e dei condottieri dell’età dell’oro e per farlo era pronto a farsi carico del pesante compito di rappresentare «l’uomo del futuro, un brillante semidio, una miscela di nobiltà d’animo, amore per la vita e audacia». Quelli che non veneravano il magnifico salvatore della patria accogliendo a braccia spalancate gli augusti doni del munifico dio non erano altro che «spagnoli venuti male, nullità e sediziosi che si rifiutavano di diventare superuomini e andare al passo con il resto del popolo».

La vendetta pensata dai suoi avversari non sembra però sortire gli effetti desiderati: l’ex dittatore non cambia, non è consumato dai rimorsi, continua a credere che ogni sua azione sia stata giusta e necessaria, persino l’eccidio di più di quarantacinquemila comunisti i cui corpi ha accuratamente sepolto in una cava. Avellaneda, dietro le sbarre, non smette di odiare il popolo, secondo lui incapace di riconoscere un buon governo. D’un tratto però il caudillo, stanco e anche leggermente annoiato dalle insolenze dei rozzi spagnoli, reagisce. Con il passare del tempo, decide di dare una svolta del tutto inaspettata alla sua cattività: si pittura la faccia di bianco e si calza sul naso una bella pallina rossa trasformandosi così in un clown. È un pagliaccio che il bestiale popolo desidera? Ebbene, è proprio quello che otterrà.

Si ritorna così con la memoria ai ricordi d’infanzia dell’ex dittatore, quando a Melilla imparava l’arte della giocoleria insieme al brusco zio. Avellaneda, quindi, torna a stupire, questa volta non con la violenza ma con le palline lanciate in aria in una ipnotica danza.

Tuttavia, con il tempo anche questa novità finisce per annoiare il popolo che arriva perfino a pensare che quello nella gabbia non sia più il tiranno bensì un suo sosia. Il tema della memoria collettiva, che si dipana nel corso di tutta la storia, si concretizzata nel popolo spagnolo che, dopo i primi furori di vendetta, tende in realtà a dimenticare abbastanza facilmente non solo gli orrori dell’ex dittatore, ma anche tutti quelli perpetrati dai governi successivi.

L’Augusto Avellaneda di Staveckij ci riporta agli studi di Propp e Meletinskij sulla fiaba. Il caudillo, difatti, pare incarnare l’archetipo mitologico del trickster. La pasta bianca e il naso rosso usati da Avellaneda per trasformarsi nel giullare delle piazze spagnole rimandano forse al tema del travestimento e della maschera, alle burle e alle beffe carnevalesche. Il dittatore, tuttavia, rappresenta un tipo particolare di trickster: in lui, infatti, troviamo una dimensione dialettica delle sue parti col sé, in cui Avellaneda e il clown diventano pezzi di un’unica complessa figura nella quale le due anime antitetiche per temperamento e dignità si fondono.

Contrariamente al giullare, A.G. non si esibisce per mostrare al popolo i suoi vizi. I suoi guitti sono invece una sfida. Un intento moralizzatore lo aveva invece Augusto Avellaneda, convinto che durante il suo impero gli spagnoli avessero finalmente l’occasione di confrontarsi con il malcostume generale e finalmente redimersi.

L’ascesa e il declino di Avellaneda, da pingue dittatore a flaccido vecchio, un tempo temuto e riverito, ora sbeffeggiato e da ben pochi compatito si concludono con un autodafé per il quale i comunisti, che hanno scalzato i repubblicani, scomodano persino una ghigliottina.

Ancora uno o due minuti e poi quell’affare l’avrebbe spedito tra le stelle. In pratica, era il modello base di navicella spaziale: legno, acciaio inossidabile, cinghie per assicurare il pilota.

Riaffiora pertanto il tema del cosmo e della corsa alle stelle che rimane un sogno rincorso e contemplato anche attraverso le sbarre della gabbia nelle varie piazze. 

E così, dopo quasi ventisette anni, Augusto Goffredo Avellaneda de la Gardo può finalmente timbrare il suo personale “biglietto stellato”.

Si concluse così l’epoca di Augusto Goffredo Avellaneda de la Gardo, dittatore e dio, meglio noto in Spagna e nel resto del mondo come A.G.