A ciascuno il suo
Omicidi, corruzione e poteri forti. In questo appuntamento della rubrica Tra Immagini e Parole cerchiamo di tracciare delle similitudini e dei parallelismi tra l’opera letteraria A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia e l’omonima pellicola di Elio Petri del 1967. Le vicende del romanzo di Leonardo Sciascia si svolgono in una calda estate del 1964: un farmacista, Manno, riceve una lettera minatoria in cui viene brutalmente minacciato di morte. L’uomo inizialmente non è impaurito dall’accaduto perché pensa ad uno scherzo ma successivamente il suo stato d’animo cambierà. Infatti, poco tempo dopo, durante una battuta di caccia, il farmacista e il dottor Roscio vengono uccisi senza alcuna traccia che possa far risalire ad un indiziato. Da quel momento, il professore Laurana, amico di una delle vittime, inizierà privatamente le indagini. Pezzo dopo pezzo e indizio dopo indizio si ritroverà a stretto contatto con diversi indiziati lasciandosi trascinare personalmente dagli eventi, dalle nuove conoscenze e dai fragili sentimenti.
Il maresciallo dettava tendendo in mano la lettera spiegata, e sulla lettera cadeva di taglio la luce della lampada. Il professor Laurana, che aveva curiosità riguardo al rito e al linguaggio della denuncia, vide dal rovescio del foglio chiaramente emergere UNICUIQUE e poi, in caratteri più piccoli, confusamente, ordine naturale, menti, obversantu, tempo, sede. Si avvicinò per meglio decifrare, a voce alta lesse “umano” e il maresciallo, infastidito e difendendo quello che era ormai un segreto del suo ufficio, disse “Per favore, non vede che sto dettando?”
Senza soffermarsi troppo sulla trama, ma analizzando il racconto, si possono delineare diversi punti fondamentali su cui ruota la storia. Il contesto rurale di un piccolo paese della Sicilia, dei primi anni Sessanta, aiuta notevolmente la creazione di vicende familiari e, soprattutto in questo caso, dove l’influente fattore della criminalità organizzata fatto di potere, occultamento, spinte dello stato e della chiesta nutrono intensamente la narrazione. Il narratore è esterno e descrive con estrema minuziosità tutti i particolari sia dei delitti che delle ambientazioni dove si svolgono le vicende, incrementando l’immedesimazione e di conseguenza il ruolo di detective. Inoltre, in tale romanzo, bisogna sottolineare anche il modo con cui vengono narrate le vicende, perché attraverso i brevi capitoli vengono evidenziati e presentati i personaggi: prima il farmacista Manno e il Dottor Roscio poi, diventando le vittime, si passa a Laureana, che diventa protagonista, utilizzando i diversi incontri, “interrogatori”, come cartelli per la strada narrativa. Un giallo di denuncia ambientato proprio in Sicilia, terra natia di Sciascia, che cerca di palesare non solo la criminalità mafiosa, ma soprattutto le sue ramificazioni che tracciano delle linee che possono andare dai grandi poteri forti della politica e della chiesa sino al piccolo paesino abitato apparentemente da normali cittadini; evidenziando l’omertà e la semplicità con cui entra in funzione il meccanismo, un filo rosso già abilmente cucito con la precedente opera Il giorno della civetta. Schietto, diretto e cinico lo scrittore siciliano è vicino allo stile cupo e regionalmente misterioso di Verga, dove in poche pagine di romanzo restituisce una panoramica narrativa tra la finzione romanzesca del giallo e la dura realtà dei fatti. L’omonimo film, tratto dal romanzo, si apre con una macchina da presa in costante movimento e introduce lo spettatore in una Sicilia selvaggia, avvicinandolo alla natura, al mare e poi entrando con calma all’interno di un paesino di provincia. Chi guarda è esterno alla vicenda e dunque è portato immediatamente a cercare di comprendere e di legare i pezzi di un puzzle che mano a mano, nel dipanarsi della storia, si palesano e si uniscono. Un farmacista fedifrago riceve delle lettere anonime, ma non si preoccupa della cosa, attribuendo la colpa ad un grafomane qualunque. L’uomo va a caccia con il suo amico dottor Roscio ed i due vengono improvvisamente assassinati. Gli accusati sono i parenti della giovane cameriera con cui il farmacista intratteneva una relazione, immediatamente tenuti in stato di fermo dalla polizia. Il professor Laurana, insegnante di un liceo palermitano, interpretato da Gian Maria Volontè, trova curiosa la vicenda e comincia ad indagare, con il sospetto che una società corrotta stia insabbiando l’omicidio e dando la colpa alle persone sbagliate. Il film dà inizio ad un sodalizio tra Petri e Volontè che si consoliderà nel tempo e che vedrà il suo apice in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Il protagonista di A ciascuno il suo rappresenta in qualche modo la purezza di spirito, la ricerca di una verità che fatica ad emergere in un contesto in cui tutti si conoscono, si salutano in maniera quasi spasmodica, ma al contempo temono la realtà, chiudono guccinianamente le mani sporche, così nessuno lo saprà. Volontè ricostruisce la vicenda, ma, insieme allo spettatore, sente la mancanza di un unico pezzo del puzzle, incappa in un limite che gli risulterà fatale. La sua è una partita a scacchi in cui «il tempo dei poeti con la testa fra le nuvole è finito» e quando sembrerà ad un passo dal re, verrà sconfitto dalla regina di cui si è innamorato. Una storia in cui la cultura fa fatica ad adattarsi al mondo e i buoni sentimenti perdono e cadono rovinosamente. La colonna sonora si muove insieme alle sequenze, danza con la macchina da presa e dona all’intera vicenda toni incalzanti ed una suspense necessaria per proseguire nella visione. Il continuo uso degli zoom permette invece a chi guarda da esterno di dare un’occhiata più approfondita per cercare di comprendere l’elemento mancante. Il rapporto con l’ambiente è particolarmente interessante: nelle sequenze collocate negli interni si vive una sorta di claustrofobia, dovuta sicuramente al continuo rimarcare i dettagli delle stanze, che vanno anche a sottolineare le personalità di chi le abita. Quando lo spettatore è portato negli esterni è invece come se finalmente possa respirare e godersi panorami naturali immensi. Una sorta di simbolica antitesi tra la bellezza della Sicilia e le problematiche dei suoi abitanti. La sceneggiatura risulta invece impregnata di continui riferimenti ironici: si racconta di una Palermo paragonata a Dallas e di una provincia in cui si usano ancora dei «metodi tradizionali» per compiere gli omicidi. Unicuique suum, una locuzione latina nella quale si inserisce il significato dell’intera vicenda: a ciascuno il suo, ognuno deve ottenere ciò che gli è dovuto. In un mondo in cui i diritti ed i doveri sono dettati da una società che rifugge dalla legge, anche al professor Laurana sarò donato ciò che di merita, nel bene e nel male. Il romanzo di Sciscia e la pellicola di Petri non presentano differenze così incisive ai fini del racconto, tranne che per la sottolineata e marcata morte di Laurana. Se nel libro accade per un mancato appuntamento con Luisa – dove quest’ultima non si presenta al Caffè Romeris – nel film, invece, i due si incontrano e il professore viene abbandonato sulla spiaggia prima di ricevere l’agguato spietato, e definitivo, per mano del cugino di Luisa. Petri mette in tavola una sceneggiatura perfettamente calzante con il libro dal quale è tratto il film, mentre però Sciascia esplicitava il coinvolgimento della chiesa in tutta la vicenda, il regista decide di lasciare allo spettatore la possibilità di trarre le proprie conclusioni. Una corruzione velata, ma ovvia, che va compresa in maniera deduttiva.
di Maria Cagnazzo e Alessandro Foggetti