Culturificio
pubblicato 4 anni fa in Tra immagini e parole

Una questione privata

(Beppe Fenoglio/Paolo e Vittorio Taviani)

Una questione privata

Le parole di Fenoglio solcano una linea immaginaria che divide il tempo tra passato e presente. La guerra ha cambiato gli animi di chi l’ha vissuta e, soprattutto, di chi l’ha combattuta sperando di liberare il proprio Paese. Il giovane Milton è ormai segnato dall’esperienza e, divenuto da tempo un partigiano “badogliano”, sente la necessità di risolvere una questione privata per continuare a sopravvivere mettendosi l’animo in pace.

L’autore decide di utilizzare il presente come pretesto per raccontare il passato, in un momento storico in cui il futuro sembra essere incerto e dunque privo di definizione. Il tempo diviene l’unica arma a disposizione del protagonista, che sopravvive attraverso il ricordo di un amore impossibile. Il mondo subisce mutamenti, così come l’uomo ed in questo indeterminato divenire delle cose Milton osserva il suo volto avvizzito dallo scorrere dei mesi che si sovrappone alla vecchia villa di Alba in cui viveva Fulvia, un tempo rigorosa e adesso ricoperta di foglie macerate. Nel romanzo il paesaggio non funge da sfondo, ma diviene un tutt’uno con il racconto. Le Langhe di Fenoglio entrano a gamba tesa nell’immaginario del lettore, che riesce a comprendere le sensazioni del protagonista anche grazie alle descrizioni dei posti che lo circondano. La parola scritta si fa quasi immagine e così le vigne, le colline, le cittadine che si susseguono lungo la strada percorsa da Milton, divengono sempre più vivide negli occhi di chi legge.

Da un promontorio della collina Milton guardava giù a Santo Stefano. Il grosso paese giaceva deserto e muto, sebbene già interamente sveglio, come dichiaravano i comignoli che fumavano bianco e denso. Deserto era pure il lungo rettilineo che collegava il paese alla stazione ferroviaria, e vuota, dalla parte opposta, la diritta strada per Canelli, tutta visibile fin oltre il ponte metallico, fino allo spigolo della collina che copriva Canelli. Sbirciò l’orologio al polso. Segnava le cinque e minuti ma si era certamente rallentato nella notte. Erano perlomeno le sei. La terra era fradicia e nera, non faceva gran freddo e il cielo, sebbene grigio, era leggero ed ampio come da lunghi giorni non appariva. I calzoni di Milton erano schizzati di fango fin sulla coscia e gli scarponi erano due gnocchi di mota. Si calava su Santo Stefano aggirando i macchioni scheletriti e puntando là dove sapeva esistere una passerella su Belbo. Quando arrivava a piombo delle sporgenze poteva intravvedere certi tratti del torrente. L’acqua era scura e pastosa, ma ancora lontana dallo straripare e la passerella era certamente in piedi. Il solo pensiero di dover passare a guado lo scuoteva come una febbre.

L’elemento naturale funge anche da espediente narrativo e influisce sugli esiti dell’avventura del protagonista. La pioggia, il freddo, il vento, accompagnano Milton nel suo viaggio per liberare l’amico Giorgio e risolvere così i suoi dilemmi sentimentali. La nebbia in particolare è la causa scatenante dalla quale prende vita l’intero racconto, quasi sinonimo dell’incertezza del protagonista, che spera di conoscere la verità e di non avere più dubbi sulla sua Fulvia. Il narratore è onnisciente, ma concentra il suo sapere quasi esclusivamente sulla figura di Milton. Gli altri personaggi che compaiono nel racconto sono brevemente presentati, ma mai approfonditi. Il lettore è portato immediatamente ad empatizzare con il protagonista, condividendone le speranze e le illusioni.

Milton ha conservato i suoi antichi sentimenti, associando alla bella Fulvia gli oggetti che un tempo ebbe la possibilità di regalarle e così, nel presente, coltiva la speranza di tornare a vivere nella normalità e ripensa a quando ascoltava con l’amata Over the rainbow, quasi come se sperasse che da qualche parte spunti un arcobaleno in grado di rimettere il mondo al suo posto. Nel film Una questione privata (Paolo e Vittorio Taviani, 2017), la trama e i protagonisti rimangono gli stessi del romanzo, ma l’atmosfera delle immagini in movimento prende un valore narrativo differente dalle parole scritte da Beppe Fenoglio. Se nel romanzo la cruda, difficile, realtà della guerra viene messa sullo stesso piano della “questione privata” del protagonista, nel racconto filmico, invece, viene rappresentata in modo più etereo, come una sorta di visione appartenente al linguaggio onirico.

La nebbia, elemento sottolineato più volte anche da Fenoglio, diventa una presenza che circonda Milton, e gli altri partigiani, come uno spirito traghettatore di tempo e spazio, restituendo alle scene dei tagli, degli stacchi, tra la crudeltà della guerra e quello che c’è fuori, o meglio, che c’era prima. Ma dove sono le colline, le vigne e i paesaggi tipici delle Langhe? I fratelli Taviani, Paolo e Vittorio, hanno optato per distaccarsi – anche – geograficamente dalla narrazione originale scegliendo la Valle Maira per ambientare le vicende di Milton e i suoi compagni, non menzionando mai le terre dove si sono davvero battuti i partigiani, come Alba, Mango o Treiso. Così facendo, Milton (Luca Marinelli) cammina per sentieri montani e rocciosi, allontanando lo spettatore – forse precedentemente lettore – dall’immaginario previsto. Come accennato poc’anzi, la nebbia non è solo un elemento visivo, scenografico, ma aiuta il continuo passaggio tra il presente e il passato del protagonista, costituito dagli episodi, come l’ascolto di un vinile e le lezioni di inglese, trascorsi con la persona che ama, Fulvia, e l’amico d’infanzia Giorgio. Passato però che funge proprio da scintilla per innescare le vicende del presente, la continua ricerca di certezze e di “cocci rotti”, da riparare. Purtroppo, se la potenza delle parole per l’opera scritta è di fondamentale importanza per penetrare nella struttura psicologia e caratteriale dei protagonisti, nel film alcuni dialoghi si perdono nell’interpretazione delle diverse comparse che circondando Milton, restituendo uno stacco netto, e non equilibrato, con la recitazione alienante di Marinelli. I fratelli Taviani mettono in scena una continua ricerca, di qualcosa e di qualcuno, che va al di là del racconto amoroso e di quello bellico. Una ricerca per certi versi di sé stessi e delle lacunose certezze celate nella figura di Milton, e dello stesso Fenoglio, verso un futuro ignoto, fino a quel momento costruito dagli elementi e dai ricordi del passato, cuciti come un vestito su misura difficile da togliere e cambiare. Come si può dedurre, dalla riflessioni scritte fino a questo punto, il film mantiene la stessa linea narrativa del romanzo eccetto, e in parte, per il finale.

Ma andando in profondità i fratelli Taviani hanno aggiunto alcune scene, non presenti nel libro, dando corpo alla crudeltà della guerra e alla caratterizzazione dei personaggi: come l’atto di forza di Giorgio verso i nuovi e giovani partigiani, smorzando così la figura del belloccio viziato e delineando radici moralmente profonde; oppure l’incontro casuale di Milton, sotto i portici di un paesino, con i suoi genitori, in un abbraccio tanto amorevole quanto fugace o, per concludere, la toccante scena della bambina, sopravvissuta alla barbarie degli “scarafaggi neri”, che vedendo tutti i suoi cari morti e caduti sull’umida terra contadina finge di esserlo anche lei, beve un bicchiere d’acqua e torna a sdraiarsi insieme a loro. Ma tornando al finale del film, già inconcluso anche nel romanzo, Milton dopo la sua apparente corsa contro la morte, non incontra nessun essere vivente («aveva bisogno di veder gente e d’esser visto, per convincersi che era vivo, non uno spirito che aliava nell’aria in attesa di incappare nelle reti degli angeli») e non crolla a terra nel bosco, ma penetra nella nebbia «densa come il latte» e scompare.

di Maria Cagnazzo e Alessandro Foggetti