Arthur Schopenhauer e la Volontà
Una breve disamina
Tra i primi filosofi del XIX secolo ad asserire che l’essenza dell’Universo non è qualcosa di razionale c’è Arthur Schopenhauer. Egli, ispirandosi al pensiero di Platone e Kant, i quali ritenevano il mondo una realtà che può essere ridotta alla ragione, approfondisce e amplia la loro filosofia secondo una prospettiva in grado di riconoscere il carattere duplice di questa entità.
Infatti vi è, da un lato, il mondo fenomenico, ossia quello che apprendiamo dall’esperienza diretta delle cose, e dall’altro la “cosa in sé”, che per Schopenhauer coincide con la Volontà.
L’intima essenza delle cose è estranea al principio di ragione. Essa è la cosa in sé, e questa non è altro che volontà; la quale è perché vuole e vuole perché è. La volontà è in ogni essere la realtà assoluta.
(Parerga e paralipomena, Pensieri diversi, 65)
La Volontà è uno stimolo irrazionale che conduce al disordine e che è presente in ogni essere vivente, compresi animali e piante; soltanto l’uomo però è in grado di rendersene conto, in quanto dotato di una ragione capace di comprenderne la presenza e le sue conseguenti manifestazioni.
La Volontà dunque non si presenta come un semplice impulso tipico del carattere umano, ma come un vero e proprio ente a sé che, a detta del nostro pensatore, regge da sempre il mondo e sempre lo reggerà.
A differenza di quanto credono gli uomini, che in ogni cosa vedono e “vogliono vedere” un fine, il mondo si rivela come il risultato di una energia irrazionale e totale che non ha alcuno scopo, pur essendo un mondo disposto con ordine nelle sue leggi. La realtà esiste, ma è come se si trovasse nascosta dietro a un velo di interpretazioni e spiegazioni illusorie, che comunque noi percepiamo subito con i nostri sensi nella nostra quotidianità. Quindi, pur essendo reali, queste interpretazioni illusorie sono l’esito delle sensazioni soggettive della mente di ciascun individuo.
Per come è fatta la natura del nostro intelletto, i concetti dovrebbero nascere in seguito all’astrazione delle intuizioni, per questo le intuizioni dovrebbero esistere dentro di noi prima dei concetti stessi. Contrariamente a ciò, con l’educazione artificiale, attraverso l’insegnamento e lo studio, la mente viene ingombrata da una quantità di concetti prima ancora che vi sia un’ampia conoscenza del mondo dell’intuizione, creando così menti deformate e molto sciocche.
(Parerga e paralipomena, Pensieri diversi, 372)
Proseguendo nella lettura di tale opera, Parerga e paralipomena che, pubblicata nel 1851, sancisce la vera affermazione del filosofo con i dovuti riconoscimenti di critica e pubblico, troviamo la definizione di studio secondo Schopenhauer e la sua notevole rilevanza.
Lo studio, indispensabile per l’individuo attivo e concreto, è quello che consente di acquistare una conoscenza accurata e profonda di come in realtà vadano le cose nel modo; ma tale conoscenza comporta anche lo studio di più lunga lena, perché si protrae fino alla tarda età, senza che si finisca mai di imparare.
(Parerga e paralipomena, Pensieri diversi, 376)
L’uomo entra in contatto con la Volontà nell’intimo della propria mente, la quale è parte del corpo; ed è proprio il corpo l’unica cosa che può essere davvero conosciuta dall’uomo nella sua interezza e immediatezza. Il corpo è il mezzo usato dalla Volontà per estrinsecarsi, proprio perché ogni corpo percepisce e si identifica con la volontà, e con la volontà di vivere, che è uno stimolo irrazionale ed emozionale presente in tutti gli uomini.
Dove c’è un corpo c’è sempre una volontà; corpo e volontà dunque coincidono. E, secondo Schopenhauer, è da questo rapporto inscindibile che si origina il dolore esistenziale.
Vediamo perché.
Caratteristica necessaria della Volontà è l’assolutezza, l’infinità che spinge l’uomo a desiderare in maniera incessante e continua; il corpo, invece, non può che essere limitato e, conseguentemente, non può soddisfare questo desiderio infinito. Per tale motivo l’essenza della vita è la sofferenza, alla quale si può sfuggire soltanto per momenti fugaci, ossia quando, appagando nell’immediato la Volontà, si prova piacere.
Questa visione pessimistica costituisce la base del sistema filosofico di Schopenhauer.
Non esiste una persona felice eppure, per tutta la vita, si aspira ad una presunta felicità, che di rado si raggiunge e, se la si raggiunge, è solo per esserne delusi: la regola è che alla fine ognuno giunge al porto avendo fatto naufragio. Ma allora è indifferente essere stati felici o infelici, in una vita fatta solo di presente e che in un attimo ha fine.
(Parerga e paralipomena, Pensieri diversi, 144)Affinché il mondo, oppure l’uomo, raggiunga la suprema e vera felicità, sarebbe prima di tutto necessario fermare il tempo.
(L’arte di invecchiare, 104)
Un ruolo primario è assunto dalla nostra soggettività.
Non è ciò che le cose sono oggettivamente e realmente a renderci felici o infelici, ma piuttosto ciò che esse rappresentano per noi, secondo il nostro punto di vista.
(Aforismi sulla saggezza della vita)
Famosa la sua visione della vita che, come un pendolo, oscilla tra il dolore e la noia; noia che è sempre in agguato e porta a tormentare l’uomo, non appena il piacere sia scomparso e con esso la volontà urgente di soddisfare altri desideri. Quindi, secondo Schopenhauer, quello che si dovrebbe fare è ridurre al minimo i desideri, così da poter raggiungere una serena condizione mentale e una maggiore predisposizione verso la benevolenza universale.
Per evitare una grande infelicità, la via più sicura consiste nel ridurre il più possibile le proprie aspirazioni e le proprie pretese, in rapporto ai mezzi propri di qualunque genere.
(Aforismi sulla saggezza della vita)
Il filosofo fa un appunto anche sul ruolo giocato dalla fantasia.
È necessario tenere sotto controllo la fantasia in tutto ciò che riguarda la nostra felicità e infelicità, ciò significa che non dobbiamo costruire castelli in aria: questi infatti sono troppo costosi, perché subito dopo possono essere demoliti con un solo sospiro.
(Aforismi sulla saggezza della vita)
La concezione pessimistica di Schopenhauer, mettendo all’origine della vita e del mondo una forza irrazionale che governa ogni cosa e che spinge l’uomo in una continua, quanto vana, ricerca dell’appagamento dei desideri, non può fare altro che intendere l’esistenza come privazione e bisogno, e quindi preoccupazione e dolore.
Un filosofo, in quanto tale, poiché è “condannato alla lucidità”, ha maggiore consapevolezza di questa condizione e quindi è destinato, in maniera inevitabile, ad essere tra gli uomini più infelici. E’ da preferirsi, dunque, un “cammino” etico e ascetico che miri ad annullare o attenuare l’effetto della volontà. Soltanto esercitando la noluntas (non-volontà) si può giungere ad uno stato di quiete in cui ogni possibilità è indifferente e ogni sofferenza è privata del suo fondamento. La noluntas è dunque l’esperienza del nulla come ultimo fondamento del tutto, accettato con totale serenità poiché è l’unico atto concesso liberamente all’uomo.
Schopenhauer insiste nel sostenere che la maggior parte dei piaceri generalmente desiderati è del tutto superflua, oltre che “pesante e perturbatrice”, per usare le sue testuali parole; affermando che una qualità fondamentale per la felicità sia la saggezza, in quanto in grado di farci capire che solo quello che siamo, solo la nostra individualità sono importanti e non ciò che abbiamo e ciò che rappresentiamo.
È una preoccupazione molto più grande per gli uomini quella di procurarsi molte ricchezze piuttosto che quella di avere un’educazione spirituale, quando invece è assolutamente certo che ciò che si è contribuisce molto di più alla nostra felicità che non ciò che si ha.
(Aforismi sulla saggezza della vita)
L’immagine di copertina è tratta da: https://www.justnews.it/22-febbraio-1788-nasce-arthur-schopenhauer/