Alessandro Di Giacomo
pubblicato 4 anni fa in Storia

Dalle Olimpiadi al campo di battaglia

Dalle Olimpiadi al campo di battaglia

Questa è la storia di Takeichi Nishi e di Louis Zamperini, due uomini molto diversi tra loro: diversi per censo e origini, il primo era un nobile giapponese mentre il secondo il figlio di un ferroviere italoamericano; diversi per idee, il primo legato alle antiche tradizioni nipponiche ereditate dai Samurai, il secondo con lo spirito di rivalsa tipico di chi cresce per strada senza un passato. Eppure il Samurai e il figlio del ferroviere condivisero le incredibili e contrastanti emozioni di gareggiare ai giochi olimpici e, su fronti opposti , di combattere durante la Seconda guerra mondiale.

La vita di Takeichi Nishi è, da subito, una sfida: nasce ad Azabu, il 12 luglio del 1902, dalla relazione illegittima tra il Barone Tokujirō Nishi e sua madre che, secondo le leggi nipponiche del tempo, non essendo sposata con lui, fu costretta a lasciare, assieme al figlio, la casa del nobile. Tokujirō Nishi oltre ad una carica nobiliare ne aveva una politica di alto livello, al Ministero degli Affari esteri, ed era nella ristretta cerchia del Consiglio Privato Imperiale.

Grazie alle importanti cariche paterne, nonostante l’allontanamento, il giovane Takeichi ricevette un’educazione di prim’ordine e divenne uno studente assai diligente. Fin dall’infanzia, venne preparato a diventare nobile, a conoscere la storia del Giappone feudale, a ricoprire il ruolo di servo leale del Mikado, l’Imperatore, e a combattere a cavallo, come doveva saper fare ogni nobile. Con la morte del padre, nel 1912, a soli dieci anni, Takeichi assunse la carica nobiliare e, cinque anni più tardi, s’iscrisse alla scuola militare di Hiroshima, di antica tradizione prussiana, dove venivano forgiati i più importanti ufficiali dell’Esercito Giapponese. Nel 1920 si diploma e, in sette anni, raggiunge il grado di Tenente.

Nobile, Ufficiale, ottimo cavallerizzo e di bell’aspetto: il profilo ideale per rappresentare il Giappone nel mondo. Compie diversi viaggi e, durante uno di questi, in Italia, nel 1930, vede un cavallo di nome Urano: è amore a prima vista e chiede ai suoi superiori di poterlo portare nella scuola dell’esercito ma il comando non vuole pagare la somma per l’animale e il Barone, ormai sedotto, decide di comprarlo con il proprio denaro.

Il Barone Nishi e Urano parteciparono ad alcune competizioni in Europa con buoni risultati sino a qualificarsi ai Giochi olimpici di Los Angeles 1932.

È qui che la vita del Barone cambia per sempre; grazie ad una sinergia unica tra uomo e cavallo, ottiene una serie di prestazioni incredibili, fino al premio più ambito: la medaglia d’Oro olimpica nel salto ad ostacoli individuale, ad oggi l’unica della storia olimpica del Giappone in questa disciplina. Divenne una vera celebrità: tutte le star di Hollywood volevano il Barone ospite a cena, gli amanti dell’equitazione volevano un suo autografo; la vittoria servì a spezzare il clima di ostilità nei confronti del Giappone in seguito all’invasione della Manciuria e i giapponesi di seconda generazione, cresciuti negli Stati Uniti, lo vedevano come un eroe perché rese il popolo nipponico simpatico agli americani che prima li osteggiavano.

Quell’edizione delle Olimpiadi fu seguita in tutti gli Stati Uniti con grande interesse. Tra coloro sempre “sintonizzati” c’era anche un ragazzo di quindici anni che di lì a poco le Olimpiadi le avrebbe vissute in prima persona.

Louis Zamperini, detto Louie, nasce a Olean, non lontano da New York, il 26 gennaio 1917 dal padre Antonio e la madre Luisa Dossi, entrambi italiani, cattolici e molto umili, originari di Castelletto di Brenzone (Verona) ed arrivati negli Stati Uniti nel 1903.

Louis aveva due anni quando la famiglia si trasferisce a Torrance, nella California del Sud, l’ideale linea di partenza della lunga corsa di Zamperini attraverso la storia degli Stati Uniti d’America e del Novecento. Fin da bambino, vive quasi in povertà e con le difficoltà della lingua: a casa, per volere paterno, la lingua ufficiale è l’italiano e diventa presto vittima dei “bulletti” di quartiere. Se da una parte il padre lo istruisce ai rudimenti della boxe per risolvere il problema, a “salvarlo” realmente è il fratello maggiore Pete che, sorprendendolo in un negozio di alimentari a rubare per fame, lo porta in pista a correre per tenerlo lontano dai guai. Così Louis scopre la sua vocazione per l’atletica.

Cresceva rapidamente e, dal liceo all’Università della California del Sud, si rivelò un talentuoso mezzofondista ; dopo aver ottenuto il soprannome di Torrance Tornado si ritrovò ad avere dei tempi talmente buoni da entrare nella squadra olimpica e qualificarsi per le Olimpiadi di Berlino 1936. Ma tra il sogno olimpico e Louie rischiava di intromettersi la dura realtà economica: gli atleti americani dovevano pagare di tasca propria il viaggio per l’Europa; la famiglia Zamperini era povera e non poteva permetterselo. Furono i suoi concittadini che, considerandolo un idolo locale, lo volevano vedere alle Olimpiadi e organizzarono una colletta per mandarlo a Berlino.

Quelle di Berlino dovevano essere le Olimpiadi del Führer: stadi e palazzetti all’avanguardia, spettacolari parate militari, prestazioni sportive di alto livello, il tutto ripreso nel documentario Olympia di Leni Riefenstahl, la migliore regista tedesca “di propaganda” del tempo. Sarà invece l’edizione di Jesse Owens, l’afroamericano capace di umiliare Hitler, vincendo quattro ori e monopolizzando il medagliere dell’atletica leggera.

Durante la gara finale dei 5000 metri piani, il giovanissimo Louis arrivò ottavo riuscendo però a concludere la gara con un ultimo giro da record di appena 56 secondi. Questa prestazione ebbe un notevole impatto tanto che, dopo esser salito nella tribuna autorità e aver chiacchierato casualmente con uno “sconosciuto” (era Joseph Goebbels, il Ministro della propaganda del Reich), Adolf Hitler chiese di incontrarlo. Quel ragazzo di appena 19 anni ebbe la possibilità di parlare al Führer che gli strinse la mano e disse:

Ah, tu sei il ragazzo dal finale veloce… complimenti.

Alle olimpiadi di Berlino era presente anche una nostra “vecchia” conoscenza: il Barone Nishi con il suo fedele Urano. La medaglia d’oro olimpica della precedente edizione non ebbe gli stessi esiti. Durante la finale del salto ad ostacoli, cadde da cavallo perdendo le speranze di una nuova medaglia.

I due atleti tornarono a casa, dopo l’esperienza olimpica, in modo diverso: il Barone in aereo e accolto, nonostante la sconfitta, come una celebrità in tutto il Giappone, mentre Louie in nave, dove prese ben cinque chili. Cibo in quantità, che da solo, non si sarebbe potuto permettere, offerto dal comitato olimpico.

Ero un ragazzino dell’era della depressione che non aveva mai neppure comprato un panino al supermercato. E lì tutto il cibo era gratis. Non prendevo una fetta di dolce al mattino, ma almeno sette, insieme a uova e pancetta. I miei occhi erano come piattini.

La vita di entrambi ha un punto di svolta nello stesso giorno: domenica 7 dicembre 1941. Il Giappone attacca senza preavviso la base navale di Pearl Harbor, distruggendo gran parte della flotta e uccidendo quasi quattromila americani. La guerra è inevitabile.

In quegli anni, il Giappone Imperiale stava modernizzando il suo esercito tagliando i fondi relativi alla cavalleria per destinarli ai nuovi e moderni reparti corazzati. Proprio Nishi, il migliore degli ufficiali a cavallo, venne inviato in un nuovo reparto di carristi, il 26° reggimento con sede a Mudanjiang, con funzione di addestramento e difesa. Ottenne il grado di Tenente Colonnello nell’agosto del 1943.

Louie invece, svanito il sogno di partecipare alle Olimpiadi di Tokio, cancellate a causa del conflitto, decide di arruolarsi dopo quel 7 dicembre, e viene assegnato ai bombardieri B-24.

Nel 1943, il suo aereo precipita a causa di un malfunzionamento mentre sorvola l’Oceano Pacifico: si salvano solo Louis e i suoi commilitoni Russel Allen Phillips e Francis McNamara. L’equipaggio aveva lanciato l’Sos ma erano in mezzo al Pacifico e senza coordinate era davvero difficile trovarli. Sotto il sole cocente, circondati dagli squali, assetati e affamati… potevano mangiare solo ciò che riuscivano a pescare, bere solo quando pioveva e, quando i pescecani tentavano un attacco alle scialuppe, dovevano allontanarli colpendoli con i remi. Nelle tante ore in cui non potevano far altro che aspettare i soccorsi, trascinati dalla corrente, Louie parlava del cibo italiano che la madre cucinava: descriveva ogni passaggio della preparazione e, paradossalmente, questo aiutava i suoi commilitoni a non demordere. Dopo 33 giorni “Mac” McNamara morì e ne passarono altri 14 prima che i due superstiti potessero vedere una linea di terra e raggiungere la salvezza.

Sembrava la fine dell’incubo ma era solo apparenza: l’isola era occupata dai Giapponesi che, dopo averli percossi, li catturarono e portarono nel campo di prigionia militare di Ofuna. Il peggio avvenne però una volta trasferito nel campo di Omori, diretto dal brutale torturatore Mutsuhiro Watanabe. “The Bird”, come era soprannominato l’aguzzino giapponese, riconobbe Zamperini e, forse ispirato dalla rivalità che ebbe con l’atleta nipponico Kohei Murakoso, lo sottopose a torture e continue umiliazioni per spezzare il suo animo mai domo. Louie era cresciuto per strada, sopportava angherie e razzismo da tutta la vita, non solo accettò la sfida impari del suo carceriere ma riuscì a non piegarsi mai nonostante le percosse, le minacce, la paura.

Nel frattempo il Tenente Colonnello Barone Nishi riceve l’ordine, assieme al 26° reggimento carristi, di partire per Iwo Jima: quest’isola è di fondamentale importanza nello scacchiere del Pacifico non solo per la sua posizione ma perché era territorio giapponese da oltre duemila anni, terra sacra, per estensione la casa del Mikado. Ogni passo fatto dagli americani sarebbe stato un insulto all’Imperatore.

Sull’Isola c’è un grande comandante: il Generale Tadamichi Kuribayashi, capitano di cavalleria della prima guerra mondiale, grande ammiratore del Barone. Kuribayashi è un esperto di tattica e rivoluziona la difesa dell’isola, rispetto alla normale organizzazione giapponese, facendo scavare tunnel e gallerie sotterranee, capaci di creare costantemente un vantaggio ai suoi soldati che devono sopperire un rapporto di forze con gli americani impossibile da colmare: la guarnigione che difende Iwo Jima è composta da 22.786 soldati giapponesi senza supporto aereo o navale. Gli americani attaccano con 110.000 soldati, 1.200 aerei ed un grande numero di navi in supporto.

Il 19 febbraio del 1945 inizia la Battaglia di Iwo Jima, e dopo terrificanti bombardamenti aereo-navali inizia l’invasione.

Tuttavia, per gli americani, Iwo Jima divenne una dura lezione: erano convinti che avrebbero conquistato l’isola in cinque giorni, ce ne vollero quaranta e il sacrificio di 23mila marines. A partire dall’inizio della battaglia, gli americani inviarono messaggi via radio, chiedendo al Barone Nishi di arrendersi, affermando che il mondo intero avrebbe pianto la sua morte.

Non rispose mai.

Scelse di restare fedele al Mikado e, quando la battaglia aveva ormai decretato un vincitore, nella notte fra il 21 ed il 22 marzo 1945, dopo un mese di assedio, condusse un attacco disperato alla guida dei suoi soldati, contro gli invasori. La morte di Nishi è avvolta da un’aura di eroismo, a volte con teorie contrastanti, ma la versione più accreditata dice che il Barone, dopo essere stato ferito nell’attacco finale, ormai circondato dagli americani, decise di togliersi la vita con un colpo di pistola.

Il Barone Nishi, uno degli uomini simbolo del ’900 in Estremo Oriente, muore a 42 anni, difendendo Iwo Jima. Una settimana dopo la morte del Barone, forse percependo la tragica notizia con quel sesto senso tipico solo del mondo animale, muore improvvisamente anche il suo amato cavallo Urano, fedele destriero anche nell’ora più buia.

Siamo nel 1945 e l’aviere Louie è prigioniero dei giapponesi da ormai due anni. Omori, ironia della sorte, è vicino a Tokio, quella stessa Tokio che avrebbe dovuto vedere da atleta olimpico e che ora lo vedeva magro, con i segni delle torture sulla pelle, sofferente per la fame e per i lavori forzati. Improvvisamente, in un caldo giorno di metà agosto, i Giapponesi armati entrarono nel campo ma invece di fucilare i prigionieri li liberarono: la guerra era finita.

Louie era sopravvissuto ma ad un prezzo altissimo: divenne alcolista e abbandonò per sempre il sogno delle Olimpiadi a causa dei traumi riportati. Fu grazie a sua moglie Cynthia Applewhite, sposata dopo la guerra, che riuscì ad uscirne, dedicando la sua vita alla preghiera e alla fede cattolica.

Nel 1998, viene chiamato a portare la torcia olimpica, in vista delle Olimpiadi invernali di Nagano, in Giappone (non lontano dai luoghi in cui era stato prigioniero), in concomitanza con il suo 81° compleanno. In tale occasione, tenta di incontrare il suo aguzzino, Mutsuhiro Watanabe, ma quest’ultimo, sfuggito per anni alla giustizia, in quanto riconosciuto come criminale di guerra, si rifiuta di vederlo.

Due film celebrano questi due protagonisti della storia del ’900: Lettere da Iwo Jima di Clint Eastwood, nel quale il Barone Nishi è interpretato da Tsuyoshi Ihara, e Unbroken, di Angelina Jolie, con Jack O’Connell nel ruolo di Louis Zamperini.

Louie non è riuscito a vedersi sullo schermo: è morto due mesi prima dell’uscita di Unbroken nel 2014, al suo ultimo sprint, a 97 anni.

Fonti

Libri:

Laura Hillenbrand, Unbroken, Mondadori, Milano 2012.

Kakehashi Kumiko, Così triste cadere in battaglia. Rapporto di guerra, Einaudi, Torino 2007.

Martin Gilbert, La grande storia della Seconda Guerra Mondiale, Mondadori, Milano 2009 (ristampa).

Film:

Clint Eastwood, Letters from Iwo Jima, Stati Uniti e Giappone, 2006.

Angelina Jolie, Unbroken, Stati Uniti, 2014.

Collegamenti esterni:

Mitico Giappone

Sport660

la Repubblica

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