Di pinguini, necrologi e post-sovietismo
ovvero “Picnic sul ghiaccio” di Andrei Kurkov
Il Trio Lescano cantava le pene d’amor perdute d’un pinguino innamorato, Kurkov la solitudine e le peripezie di un suo simile, anch’egli in frac, in una Kiev post-sovietica che fa da sfondo a un thriller satirico e amaramente ironico.
Il romanzo è apparso per la prima volta nel 1996 con il titolo Smert’ postoronnego (Morte di uno sconosciuto) e l’anno seguente con quello di Piknik na l’du (Picnic sul ghiaccio). Il secondo titolo, adottato anche per la versione italiana tradotta da R. Mauro per Keller nel 2017, è di certo più accattivante e se da un lato riprende un episodio presente nel romanzo, ovvero i picnic che la sgangherata compagnia composta da Viktor, il pinguino Miša e altri due personaggi fa sulle rive del Dnepr, dall’altro ricorda quel Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugackij.
Ma mettiamo da parte queste quisquilie e parliamo un po’ della trama.
ZeroCalcare vive con un armadillo, Viktor Alekseevič Zolotarev con un pinguino. Insolito animale da tenere in casa, direte voi, ma insolite sono anche le vicende che travolgeranno i due protagonisti, sia quello in carne e ossa che quello in piume e becco.
La loro convivenza ha inizio quando lo zoo cittadino, ormai non più in grado di badare ai propri inquilini, li aveva donati a chi se ne volesse prendere cura:
Lui era andato a prendersi un pinguino reale, la ragazza l’aveva mollato giusto una settimana prima e si sentiva solo. Non che il pinguino avesse risolto la questione della compagnia. Aveva portato con sé la propria solitudine, affiancandola alla sua, di conseguenza nella loro convivenza a due si era istaurato più un rapporto di dipendenza reciproca che di amicizia.
Il pinguino naturalmente non parla, si limita a guardarsi allo specchio con occhi tristi e a consolare Viktor (o a farsi consolare). Tuttavia è attorno a lui che si sviluppa la storia ed è grazie a lui che il suo padrone – forse sarebbe meglio dire “coinquilino” – farà incontri decisivi per la sua esistenza.
Così ho preso il pinguino e tutto è diventato subito più semplice. Solo che lui, va’ a sapere perché, è sempre triste.
Miša è dotato di ali ma non è adatto al volo, così come Viktor ha un qualche talento letterario ma non ha mai scritto la parola “fine” a nessuna delle pagine da lui scribacchiate:
Gli era andata male con le muse, per qualche ragione non si trattenevano nel suo bilocale abbastanza a lungo da consentirgli di portare a termine almeno un racconto […] non era un poeta, bensì uno scrittore impantanato tra pezzi giornalistici e prosa breve. Meglio di tutto, se la cavava con i racconti stringati. Anzi stringatissimi. Al punto che anche glieli avessero pubblicati, non ci avrebbe campato.
Tutto cambia quando comincia a collaborare, del tutto inaspettatamente, con il giornale locale “Stoličnye vesti”. Il direttore lo convoca per affidargli il compito di scrivere necrologi per persone ancora in vita, i cosiddetti “coccodrilli”.
Il romanzo ricalca il tipo di scrittura di Viktor. Le vicende infatti si susseguono in una scoppiettante catena di capitoli molto corti (il più lungo conta, pensate un po’, ben sette pagine!) e la prosa è caratterizzata da uno stile che da un lato sembra ricalcare una ipotetica narrazione breve chiusa in un cassetto dal protagonista, dall’altro strizza l’occhio ai necrologi filosofeggianti di questo nostro novello giovane Pereira.
Il primo coccodrillo è dedicato a un ex scrittore e attuale deputato: Nikolaj Bessmertnyj. La sua morte alquanto bizzarra coglie Viktor di sorpresa, in un beffardo gioco del destino (o per meglio dire di Kurkov) che decide che la prima vittima a cui donare la morte sia uno che di cognome fa “Immortale”. La sua dipartita si inserisce in una guerra fra clan che insanguina le strade di Kiev ma Igor’ L’vovič, il capo, dall’alto del suo immenso cuore colmo di squisito cinismo rassicura subito il suo pupillo:
Ma non preoccuparti, se lo meritava, eccome… Fatto sta che la sua morte ha reso orfani alcuni appassionati della privatizzazione, dai quali lui aveva preso degli anticipi… Senza contare che conservava certi documenti che gli garantivano la vita, delle carte riguardanti suoi colleghi deputati… Ragion per cui, lassù adesso se la passano malissimo… Tipo guerra…
Con il passare del tempo però Viktor si rende conto che quello che inizialmente gli era sembrato solo un gioco suggestivo si è ora trasformato in qualcosa che non può più controllare: tutti i personaggi di cui scrive i coccodrilli muoiono fatalmente qualche mese dopo. Si tratta perciò di morti pianificate. Ma da chi? E soprattutto perché? Cerca così di capire chi siano queste persone e di indagare, come può, nel loro passato per riunirli tutti con un unico filo rosso:
I ‘candidati’ ai necrologi erano una ventina, uniti armoniosamente nelle loro caratteristiche dalla nostalgia del passato e dal traffico d’armi. Però, andando più a fondo, emergeva ben altro, tra cui il trasporto illegale di emigranti attraverso il confine ucraino-polacco a bordi di elicotteri militari e il fittizio affitto di aerei da trasporto destinati a non tornare mai più.
Se nel racconto di Buzzati La giacca stregata il protagonista, a suon di diecimila lire, si macchia – pur indirettamente – di rapine, incendi e altri crimini pagati col sangue, qui Viktor grazie ai necrologi insanguinati riceve non solo il tanto atteso riconoscimento come scrittore dando sfogo così alle sue velleità letterarie, ma anche soldi, un sacco di soldi (anche grazie all’aiuto del pinguino).
Addirittura la vita gli sembrava lieve e spensierata, a dispetto dei momenti duri e delle congetture, ormai sempre più rare, circa il suo coinvolgimento in qualche sporco affare. Del resto, cosa poteva mai definirsi sporco in un mondo che certo non brillava per pulizia?.
La città nella quale si snodano le vicende è una Kiev post-sovietica (siamo a cavallo tra 1995 e 1996) in cui sembra non esserci differenza fra centro città e bassifondi. Il sottotesto (ex) sovietico è arricchito anche dalla comparsa in scena (pardon, su carta) delle automobili simbolo dell’Urss prodotte negli stabilimenti ubicati nella gloriosa Togliatti. Ecco che i nostri personaggi vedono passare la famosa Žiguli, prendere tutto e salire sulla Zaporožec rossa di Sergej, seminare la Lada della polizia o, ancora, pedinare la Moskvič-Kombi blu che porta al parco un misterioso individuo. Il passato sovietico riemerge inoltre negli stessi ricordi di Viktor: sua nonna viveva infatti in una chruščëvka, uno di quegli edifici prefabbricati – tutti orribilmente e alienantemente uguali – ordinati da Nikita Chruščëv negli anni Sessanta che garantirono un appartamento privato a milioni di cittadini fino ad allora destinati a vivere nelle kommunalki (gli appartamenti in coabitazione). Tutto il romanzo è dunque costellato di piccoli rimandi agli anni del regime. Vengono spesso citati film, canzoni o personaggi delle fiabe ancorati al recente passato sovietico.
Kiev sembra un’unica bolla dove regnano l’alcolismo, il banditismo, in cui sentimenti e legami tra individui sono atrofizzati. Viktor, nonostante l’attaccamento a Sonja – la dolce bambina affidatagli dal suo nuovo amico Sergej e di cui si prenderà cura – o al suo altrettanto nuovo amico omonimo dell’animale e per questo chiamato “Miša-il-non-pinguino”, sembra rimanere sempre sulla superficie dei propri sentimenti. Glissa, slitta, scivola sull’amore proprio come un pinguino su una lastra di ghiaccio. I suoi non sono mai legami profondi, anche quello col pinguino, in un certo qual modo suo alter ego, non evolve mai in un qualcosa di profondo. Avendo però trovato una apparente stabilità e una illusoria pace domestica con la bizzarra famiglia composta da lui, Miša-il-pinguino, Sonja e una donna di cui non svelerò l’identità, Viktor è restìo ad andare a fondo alla faccenda dei necrologi e decide di farsi trascinare dagli eventi perché, in fin dei conti,
La vita è una strada e, se ci si muove ‘per aggiramento’, dura più a lungo.
Questa sua filosofia però non è destinata a durare molto poiché, messo alle strette dalla sorte e costretto a scontrarsi con un finale di partita che, se lasciato in balìa del caso, vedrà Viktor dalla parte dello sconfitto, prende per la prima volta in mano la propria vita che fino a quel momento, nonostante gli ultimi baci della fortuna, aveva assomigliato a nient’altro che un grigio palazzo staliniano. E se Cathy in Cime tempestose si rivolge a Nelly dicendo “Io sono Heathcliff”, Viktor saluta i suoi lettori con un enigmatico e culturificiamente-parafrasato-per-non-spoilerare-troppo “Il pinguino? C’est moi!”.
Il romanzo ha anche un seguito: I pinguini non vanno in vacanza.
Se qualcuno di voi lo legge mi fa sapere com’è?