Roberta Landre
pubblicato 2 anni fa in Gli animali che amiamo

Domesticazione dei viventi: retaggi e conseguenze

Domesticazione dei viventi: retaggi e conseguenze

Il nostro pianeta è sempre stato, ed è tuttora, un luogo di relazioni complesse dove la vita (citando Darwin) come un corallo ramifica in ogni direzione, imparentando tra loro le specie più disparate e distanti nel tempo. I nostri antenati vissero per migliaia di anni come raccoglitori cibandosi di tutto ciò che le zone boscose potevano offrirgli. Da raccoglitori, sul finire del Paleolitico, divennero raccoglitori-cacciatori, intuirono le migrazioni delle mandrie di mammiferi, impararono a muoversi con loro e a seguirle, diventando così nomadi. Solo con l’avvento del Neolitico (circa 12-10.000 anni fa) l’uomo iniziò ad approcciarsi agli animali selvatici con lo scopo di radunarli e addomesticarli.

La raccolta selettiva di cereali e vegetali originò aree floride nei pressi degli accampamenti umani e permise l’intuizione della semina, tecnica che, sfociando nell’agricoltura, aumentò notevolmente la capacità produttiva della terra e, soprattutto, comportò un migliore sostentamento umano. La nostra specie, disponendo di maggiori risorse, si affrancò dalle necessità insite in ogni rapporto preda-predatore, mettendo in crisi la conservazione degli animali cacciati: caccia che, circa 10.000 anni fa, portò ad una drastica diminuzione, e nei casi peggiori all’estinzione, dei grandi mammiferi.

Questa nuova tecnica di sostentamento implicava un certo tipo di interazione con la preda: alcune popolazioni trovarono utile plasmare il proprio stile di vita in conformità a quello animale, seguendo le mandrie e vivendo in prossimità dei gruppi per meglio cacciarli; altre comunità umane – circa 14.000-8.000 anni fa – instaurarono una relazione basata sul modellamento dell’animale, dando origine alla domesticazione.

Da un rapporto di reciprocità tra uomo e animale (e quindi tra preda e predatore) – i quali condividono le risorse e l’ambiente – con la rivoluzione del neolitico si assiste a uno sbilanciamento degli equilibri a favore dell’uomo, che diviene l’unico detentore del controllo delle risorse, dell’ambiente e anche della vita animale.

La domesticazione, a livello biologico, è un fenomeno di simbiosi nel quale una specie, detta domesticante, organizza e controlla la vita della specie addomesticata, prendendosene cura al fine di ricavarne un utile per sé stessa.

Due diverse influenze determinano e guidano il processo di domesticazione: quella biologica e quella culturale. La prima ha come protagonisti la selezione naturale e la selezione artificiale umana e si origina quando un certo numero di animali, prelevato dallo stato selvatico, viene isolato entro una nicchia ecologica artificiale posta sotto il controllo umano e qui si abitua alla presenza dell’uomo riuscendo a riprodursi. In questo contesto, grazie alla selezione naturale e a quella artificiale, le nuove generazioni saranno sempre più diverse rispetto alla specie selvatica d’origine. 

La seconda influenza è invece di tipo culturale e inizia quando gli animali selvatici vengono resi parte della struttura sociale di una comunità, inquadrati come oggetti di cui disporre, da acquistare, scambiare, tramandare e uccidere – in altre parole, vengono considerati come possedimenti. È un processo mirato a modificare la cultura dell’animale che prevede l’allontanamento dal suo habitat originario, il distacco dalle relazioni sociali costruite e l’adattamento a un nuovo ambiente, con nuove dinamiche sociali, nuovi attori, nuove condizioni stabulative, nuovi alimenti, nuovi agenti potenzialmente letali (virus e batteri) e nuovi sistemi riproduttivi.

Potremmo quindi descrivere l’animale domestico come un artefatto culturale umano che vive in una nicchia ecologica più o meno artificiale e, come tale, varia a seconda della cultura in cui la specie viene domesticata, proprio perché co-evolve a seconda delle preferenze dettate dell’uomo.

Nel 1865 Francis Galton, inventore dell’eugenetica, scrisse The First Steps towards Domestication of Animals, dove elencava le condizioni che un animale doveva rispettare per essere addomesticabile; le stesse furono poi ampliate e aggiornate nella letteratura scientifica odierna.

Brevemente, affinché una specie animale sia addomesticabile è indispensabile che questa dimostri certe predisposizioni comportamentali, come l’essere un animale gregario, avere una bassa aggressività, una ridotta territorialità, tollerare la presenza di conspecifici e, a volte, anche di animali di specie differenti, riuscire a vivere e riprodursi entro spazi limitati; infine, è necessario che tolleri la presenza umana e che risulti utile e conveniente addomesticarla. 

Oltre agli aspetti comportamentali, anche le caratteristiche evolutive e morfologiche sono di grande importanza; infatti, l’uomo ha da sempre preferito le specie e varietà che meglio riuscivano ad adattarsi all’ambiente artificiale, che potevano riprodursi nell’ambiente umano e mostravano una maturità sessuale precoce e, cosa forse tra le più importanti, che avevano un tasso di crescita maggiore, garantendo così maggiori quantità di alimenti. 

L’uomo si è servito di questi criteri selettivi – prima in maniera del tutto inconsapevole, poi in modo sempre più informato – per orientarsi nella scelta degli animali da addomesticare; così la specie entrata a far parte dell’ambiente umano – soggetta in prima battuta alla selezione naturale – venne poi plasmata principalmente dalla selezione artificiale umana.

Questo tipo di selezione, a differenza della prima, non favorisce tanto i caratteri volti alla sopravvivenza, quanto piuttosto quelli in linea con la cultura umana. Sono quindi le preferenze di una data comunità a dirigere il percorso evolutivo degli animali addomesticati.

Gli effetti della domesticazione negli animali sono molteplici, tra cui alterazioni anatomiche e comportamentali di vario genere, probabilmente legate sia alla selezione artificiale che a fattori di stress e variazioni ormonali derivanti dalla dipendenza fisica ed emotiva nei confronti dell’uomo.

Notiamo in tutti gli animali una generale riduzione della taglia corporea; da una prima riduzione per effetto della domesticazione l’uomo ha poi distinto gli animali a seconda della taglia, selezionandoli per creare nuovi ecotipi o razze. Anche i connotati esteriori vanno mutando con la domesticazione: scopriamo infatti caratteristiche anatomiche sconosciute in natura come le code arricciate, le orecchie pendule, i musi più corti, il mantello di colorazioni particolari, l’allungamento delle orecchie e della coda, il pelo più lungo e folto, la perdita delle zanne, il ridotto dimorfismo sessuale e la neotenia. Tutte modificazioni dovute alle preferenze umane che si sono verificate – in vario grado – nelle specie addomesticate. 

Non mancano i cambiamenti comportamentali: con la vicinanza all’uomo sappiamo che vi è stata una tendenza alla mansuetudine, intendendo con questo termine una generale propensione dell’evoluzione – tramite la selezione prima naturale e poi artificiale – verso soggetti che più facilmente si avvicinavano alla nostra specie. Pare che alcune modificazioni comportamentali (forse anche la stessa mansuetudine) possano essere ricondotte a una più generale ritenzione dei caratteri infantili – neotenia – che ha permesso la diffusione di atteggiamenti più sottomessi.

Tutto questo ci riporta alla dimensione genealogica e storica dell’evoluzione e della co-evoluzione delle specie animali e dell’uomo, e rende evidente come quella che spesso risulta essere una conseguenza naturale dello sviluppo umano – la domesticazione – è invece il prodotto di specifiche scelte fatte per motivi di convenienza.

La domesticazione come evento storico è stata certamente agevolata dalle condizioni ambientali tipiche dell’ultima glaciazione. Anche l’allevamento è risultato una forma di sussistenza utile alla sopravvivenza umana ma, non per questo, priva di connotati culturali. Infatti, solo alcune specie sono state addomesticate, proprio le uniche abbastanza simili all’uomo da permettergli una qualche forma di interazione e dominio. I criteri con cui ha poi selezionato gli esemplari erano culturalmente definiti: si pensi all’esempio dei maiali Meischan allevati oggigiorno in Cina che derivano da progenitori selvatici presenti nel territorio fin dall’origine della domesticazione. Questi animali conservano il manto nero – tipico delle razze cinesi – segno della preferenza culturale per questa colorazione, riconducibile alla dinastia Shang (età del Bronzo), la quale considerava il nero il colore prediletto dalle divinità e utilizzava i suini come offerta sacrificale.

La storia della domesticazione può aiutarci a comprendere come la nostra storia e quindi il nostro destino siano intimamente legati al resto del vivente e all’ambiente che ci ospita; ma conoscere l’alterità animale può anche far nascere in noi quella meraviglia tanto cara ai greci, specialmente (e qui spero di stupirvi) quando apprendiamo che l’uomo non è l’unico essere vivente domesticante: infatti alcune specie di formiche allevano e si servono gli afidi delle piante (piccoli insetti della famiglia dei rincoti, comunemente chiamati “pidocchi”), altre sottomettono diverse specie di formiche sfruttandole e, altre ancora, coltivano funghi su alcuni particolari tipi di foglie.

Forse un dibattito sulla storia comune dei viventi potrebbe permetterci di andare oltre la pretesa di eccezionalità umana per comprendere quanto di ciò che crediamo umano è in realtà patrimonio di tutto il vivente.


Per approfondire gli argomenti trattati consiglio:

F. Galton, The first steps towards the domestication of animals, Wentworth Press, 2016.

J. Cutton-Brock, Storia Naturale della domesticazione dei mammiferi, Torino, Bollati Boringhieri, 2017, edizione Kindle.

M. Zeder, The domestication of animals, in “Reviews in Anthropology”, IX, 4, 1982.

N. Guppy, Wai-Wai trough the forests north of the Amazon, John Murray Publishers, 1958.

R. C. Francis, Addomesticati. L’insolita evoluzione degli animali che vivono accanto all’uomo, Torino, Bollati Boringhieri, 2016..

R. Massa, Gli animali domestici. Origini, storia, filosofia, evoluzione., Jaka Book, 2011.

T. Ingold, From trust to momination: an alternative history of human-animal relations, In Animals and human society: changing perspectives, a cura di A. Manning e J. Serpell, Routledge, 1994.