Roberta Landre
pubblicato 4 anni fa in Gli animali che amiamo

Etica for dummies

Etica for dummies

A differenza di molte altre discipline, la filosofia morale è un argomento in cui chiunque possiede un proprio punto di vista e ha già fatto scelte personali […] temi quali il bene, l’eguaglianza, la felicità, l’egoismo, i diritti e la giustizia orientano in ogni istante i nostri discorsi e le nostre scelte […] Su questi temi è impossibile essere imparziali (Gianfranco Mormino, Storia della filosofia morale, Raffaello Cortina Editore).

Abbiamo tutti una nostra idea di cosa significhi bene e male, sappiamo quali azioni sono buone e quali dannose. Non fatichiamo a ritenere alcuni mezzi più idonei per raggiungere un certo scopo e, altrettanto, comprendiamo che non tutti i fini sono desiderabili.

Questa bussola morale che ci orienta è tutt’altro che neutra e oggettiva: deriva dalla tradizione che ci ritroviamo quando veniamo al mondo, per quanto a volte non ci facciamo troppo caso. Ereditiamo gli ordini valoriali dalla cultura in cui ci formiamo e spesso diamo per scontata la correttezza dei nostri giudizi; d’altronde, le norme morali prescrivono chiaramente cosa è buono e cosa non lo è.

Queste riflessioni basate sul senso comune dovrebbero già farci riflettere: ciò che intendiamo per comportamento retto dipende dalla specifica idea di bene che adottiamo e in cui ci identifichiamo.

Per gran parte di noi alcuni comportamenti – come allevare e mangiare animali – fino a pochi decenni fa non costituivano un problema morale, perché in linea con quanto insegnato dalle generazioni precedenti. Eppure, molti hanno insidiato l’abitudine a un’alimentazione onnivora.

Riflettere criticamente su una consuetudine – cioè su un comportamento socialmente definito come buono/utile o cattivo/dannoso – significa prima di tutto contestare una morale e il suo insieme di valori, norme e scopi, indagare i presupposti e le conseguenze delle norme vigenti, ridefinire i termini usati, cambiare il valore riconosciuto fino a quel momento, per smascherare la supposta legittimità della morale adottata.

Chiedersi come funziona la nostra condotta, da quali assunti parte, qual è il suo fine e se questo è in qualche modo giustificabile sono questioni filosofiche che difficilmente non ci poniamo.

Ma andiamo per gradi. La morale si situa nella storia e nella cultura ereditate da ogni individuo alla nascita; agisce tramite e sugli individui con funzione prescrittiva, cioè indicando le norme preferibili in una determinata società; infine, avendo funzioni sia personali che sociali, funge da criterio per valutare le proprie e le altrui azioni.

Con questo articolo, nel modo più indolore possibile, vorrei raccontarvi di una disciplina che mi sta a cuore, l’etica, spesso chiamata anche filosofia morale.

Il termine etica deriva da èthos (dal greco ἦϑος), mentre morale dal latino mos moris; entrambi i termini significano ‘costume’, ‘consuetudine’, ‘comportamento’ e definiscono l’agire umano.

Per aprire le porte dell’etica da un punto di vista prettamente filosofico, suggerisco di riflettere su una panoramica terminologica proposta da Francesco Allegri:

È ormai una prassi comune chiamare “etica normativa” la branca dell’etica che si occupa dei giudizi e dei principi morali veri e propri (ossia di mettere a punto adeguate valutazioni morali), “metaetica” il settore dell’etica che ha per oggetto le considerazioni sulla morale di natura filosofica, e raggruppare le considerazioni antropologiche, storiche, pedagogiche ecc. sulla morale sotto l’espressione “etica descrittiva”. Se l’etica è la disciplina che si occupa in generale di questioni morali, la filosofia morale, che possiamo anche chiamare etica filosofica, è quel suo sottoinsieme che ingloba metaetica ed etica normativa, lasciando fuori l’etica descrittiva, che non è di sua pertinenza diretta. Ciò non significa che le ricerche empiriche non siano rilevanti per i filosofi morali. Tutt’altro. La filosofia deve attingervi a piene mani. Soltanto che esse non sono più condotte direttamente dai filosofi, ma dalle scienze umane […] e dalle neuroscienze (Francesco Allegri, Obbligo morale, Edizioni Universitarie LED).

Può essere utile soffermarsi ancora un momento sui tre tipi di indagine propri dell’etica – o filosofia morale. A un primo livello, quello dell’etica normativa, troviamo i giudizi morali (quali buono, cattivo, giusto, sbagliato, utile e dannoso), ovvero le norme e i principi che vengono riconosciuti dalle varie teorie morali. L’etica normativa teorica formula giudizi e cerca di strutturarli in un sistema logico coerente, per creare teorie su cosa è giusto e doveroso fare e proporre criteri con cui discernere le azioni, L’etica applicata – o pratica –si occupa più propriamente, appunto, di applicare le teorie etiche entro certi campi specifici; si pensi ad esempio alla bioetica o all’etica animale.

Esistono tre tipi di etica normativa: quella che ha come fine la valutazione morale degli individui, secondo le loro intenzioni e motivazioni, comunemente chiamata teoria del valore morale; quella che ha per scopo la valutazione delle azioni, denominata teoria della condotta (o obbligo) morale, che valuta le azioni non in base alle intenzioni di chi le compie, ma piuttosto a seconda delle loro conseguenze; quella che stima gli enti suddividendoli in cose che hanno valore intrinseco e cose che hanno solo valore estrinseco – la teoria del valore non morale.

Per la metaetica ci sono anche i giudizi sulla morale, dove l’oggetto di analisi ontologica, epistemologica, logica e semantica è la morale stessa – e non le sue norme o principi.

Infine troviamo l’etica descrittiva, intesa come quell’insieme di affermazioni a proposito dell’etica che, a differenza della metaetica, attingono da diverse scienze particolari.

In questo articolo, anche per ragioni di spazio, vorrei fermarmi sull’etica formativa, inerente agli obblighi morali.

Quando ci occupiamo di etica normativa teorica vogliamo capire se una certa azione è lecita, illecita o obbligatoria, ci domandiamo cioè quale sia lo statuto deontologico di un’azione. Per farlo, abbiamo bisogno di indagare cosa la renda legittima in un determinato contesto, facendo riferimento ai principi che la giustificano.

Un esempio potrebbe essere chiedere a una persona che convive con un animale domestico come mai lo porta a fare una passeggiata almeno una volta al giorno. Probabilmente risponderà che lo fa perché i suoi compagni hanno bisogni fisiologici che devono essere soddisfatti. Chiedendole poi perché desidera soddisfare i bisogni degli animali, vi risponderà che lo fa perché, avendo accettato di prendersene cura, è suo dovere mantenere la promessa fatta. Qui il principio etico primo è il mantenere le promesse fatte: è questo assunto che rende la mia azione vincolante.

Stabiliamo che qualcosa ha un valore intrinseco, ossia un valore di per sé, indipendente dall’uso (strumentale) che ne facciamo. Possiamo attribuire questo tipo di status a una cosa soltanto, come gli edonisti fanno con il piacere e gli eudemonisti con la felicità, aderendo quindi a un monismo del valore, oppure ritenere che ci siano più cose ad avere valore intrinseco, se per esempio crediamo che anche la conoscenza e le emozioni, oltre alla felicità, siano valori di per sé – abbracciando così un pluralismo valoriale.

Allo stesso modo la contrapposizione tra pluralismo e monismo vale anche per gli obblighi; si può affermare che ci sia un solo principio a vincolarci – è il caso dell’egoismo, che vede come unico obbligo di ricercare solo il proprio vantaggio personale – oppure sostenere che i principi siano più di uno.

Tra questi il principio di beneficenza e non maleficenza implica che si ha il dovere di promuovere il bene, tentando di rimuovere il male e prevenirlo, astenendosi da condotte che potrebbero recare danno a sé o agli altri, per esempio. Oppure, in linea con il principio di autonomia, dobbiamo rispettare le scelte altrui. Molte volte due o più principi (riconoscenza, riparazione, veridicità, fedeltà), come si capisce dalla vita di tutti i giorni, entrano in conflitto.

Immaginiamo una situazione in cui siamo a conoscenza di una bugia detta da Caio a Tizio. Caio è un ragazzo giovane che ha voluto tutelare il nonno Tizio da una sofferenza, quella di sapere che il loro animale domestico è gravemente malato prima di avere la certezza sul da farsi. Il nonno Tizio chiedendo a Caio come sta il loro animale si è sentito rispondere che sta bene. Come dovremmo valutare l’azione di Caio? Ha agito secondo il principio di beneficenza, evitando la sofferenza al nonno, eppure ha disatteso i suoi obblighi di veridicità.

Possiamo – e alcune teorie morali lo fanno – ritenere che non tutti gli obblighi e i valori derivati dai principi morali siano da intendersi in senso assoluto. Secondo questa prospettiva ci sarebbero doveri e valori assoluti, e quindi inderogabili, e doveri e valori di prima facie, che ammettono deroghe. In questo modo sarebbe possibile, a seconda della situazione, gerarchizzare i vari obblighi e valori morali, preferendone alcuni rispetto ad altri.

Da ultimo, sempre a proposito dei diversi approcci etici, vorrei evidenziare la distinzione tra agente morale e paziente morale.

Ogni teoria vede nella condizione di agente chi si trova nella posizione di agire – cioè di applicare le norme etiche – e ha quindi doveri morali verso altri, intesi come pazienti. Tutti i soggetti destinatari di tali obblighi sono nella posizione di pazienti morali. L’insieme dei soggetti a cui sono rivolti tali obblighi diretti prende il nome di comunità morale, più o meno estesa a seconda dell’impostazione teorica di riferimento. Ci sono sistemi morali che prevedono doveri indiretti nei confronti di certi individui: tuttavia, in casi come questo, si avranno obbligazioni nei loro confronti solo in quanto riflesso degli obblighi che dobbiamo, in modo diretto, a coloro che hanno status morale autonomo. È un discorso meno complicato di quanto sembra.

Da un’ottica antropocentrica, ad esempio, gli unici ad avere valore per sé sono gli esseri umani, mentre nessun animale o vegetale ha valore interno; possiamo rispettare altre specie, insomma, solo se gli attribuiamo un qualche valore.

La seconda prospettiva è quella del razionalismo: secondo questo approccio, abbiamo obblighi diretti esclusivamente verso tutte le entità autocoscienti e razionali; sono quindi inclusi molti mammiferi superiori e, tuttavia, non si accolgono nella comunità morale le persone che hanno subito gravi danneggiamenti cerebrali, o gli infanti.

Un’altra posizione può essere quella sensiocentrica – accettata da gran parte dell’etica animalista –, per cui tutti gli esseri senzienti sono dotati di valore intrinseco e, in quanto tali, rappresentano soggetti sui quali ricadono i nostri obblighi morali diretti.

Infine, l’approccio biocentrico conferisce status morale diretto a tutti gli esseri viventi, mentre quello dell’ecocentrismo estende questo valore all’intero ecosistema. Da questa prospettiva olistica, le specie, gli habitat, gli oggetti inanimati e gli individui avranno valore morale intrinseco e meritano dunque una considerazione morale diretta.

In questo articolo ho presentato una panoramica sulla filosofia morale. Ci sarebbe ancora molto da dire: ho dato giusto qualche spunto per partecipare al dibattito contemporaneo da un altro punto di vista, quello, appunto, etico.

Nel prossimo articolo analizzerò la prospettiva antropocentrica, paragonandola alla sensiocentrica, tipica dell’etica animale.