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pubblicato 6 anni fa in Storia

Hollywood: covo di comunisti

Quando la caccia alle streghe colpì il mondo del cinema

Hollywood: covo di comunisti

Hollywood, 1947. La “Paura Rossa” invade il mondo stellato della più grande industria cinematografica.

La seconda guerra mondiale è finita da due anni, ma negli Stati Uniti spirano i venti gelidi di un altro conflitto: la Guerra Fredda. È in questo clima che la “caccia alle streghe” contro i comunisti comincia a mietere le sue vittime anche tra attori, registi e sceneggiatori.

Il repubblicano Joseph Mccarthy era appena diventato senatore. Nello stesso anno, il Presidente degli Stati Uniti Harry Truman enunciò quella che passò alla storia come la “Dottrina Truman”, diretta a contrastare le mire espansionistiche del nemico sovietico.In questa atmosfera la Commissione per le attività antiamericane, istituita già nel 1938, cominciò (sotto la presidenza del repubblicano del New Jersey John Parnell Thomas) a seminare il panico anche a Hollywood.

Iniziarono a Washington, nell’ottobre ’47, i primi interrogatori della Commissione nei confronti degli artisti dell’industria dello spettacolo accusati di essere comunisti o simpatizzanti tali. Il clima progressista che si respirava in quegli ambienti non era infatti visto di buon occhio dai settori più reazionari del paese . “Ad Hollywood si respira l’aria malsana del comunismo”, commentava John Edgar Hoover, capo indiscusso dell’Fbi per quasi 50 anni (dal 1923 al 1972), che nell’assalto all’industria cinematografica giocò un ruolo di primo piano fornendo “ogni aiuto possibile e immaginabile alla Commissione”.

Tra udienze (trasmesse persino in tv) e testimonianze (tra le più celebri quelle di Ronald Reagan e Walt Disney), il 25 novembre si giunse alla stesura della prima black list di Hollywood. Dieci i nomi degli importanti sceneggiatori e registi che la componevano, accusati di essersi rifiutati di rispondere alle domande della Commissione o di appartenere, o essere stati iscritti, al partito comunista americano: il regista Edward Dmytryk e gli sceneggiatori Alvah Bessie, Herbert Biberman (anche regista), Lester Cole, Ring Lardner Jr, John Howard Lawson, Albert Maltz, Samuel Ornitz, Adrian Scott (anche produttore) e Dalton Trumbo. Sono i celebri “Hollywood Ten”, arrestati per oltraggio al Congresso e che al loro rilascio si ritrovarono con la carriera in pezzi.

La black list fu solo il primo assaggio di una purga che sconvolse la Hollywood dell’American Dream fino ai primi anni ’60. Il fantasma della “Red Scare” segnò profondamente l’industria dello spettacolo, causando gravi danni all’enorme macchina produttiva cinematografica: carriere distrutte, vite rovinate, suicidi e artisti costretti a lavorare sotto pseudonimo se non addirittura a fuggire dagli Stati Uniti.

Finì sotto accusa persino il grande Charlie Chaplin. Il suo fu un caso a parte rispetto al blacklisting, ma è comunque emblematico di come negli Stati Uniti la lotta al comunismo stesse trasformandosi sempre più in una vera e propria crociata contro i presunti colpevoli, annidati non solo dentro l’amministrazione pubblica, le forze armate e le università, ma anche nel mondo della cultura e dello spettacolo.

Solo l’America maccartista poteva infatti arrivare al punto di negare a Charlie Chaplin, in quanto cittadino britannico, il visto di rientro negli Usa per sospetto filocomunismo allorchè, nel 1952, andò a Londra per presenziare alla prima mondiale di Luci della ribalta. A nulla era valso il fatto che Chaplin avesse sempre sostenuto con forza la propria estraneità alla politica. Da allora, l’artista fissò la sua residenza in Svizzera e si riconciliò con l’opinione pubblica americana soltanto nel 1972, quando ritornò negli Usa per ricevere il suo Oscar alla carriera.
A fronte di tutto ciò, potrebbe far sorridere pensare che il partito comunista americano tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 contasse pochissimi iscritti. Si parla addirittura di appena 5000 membri di cui, tra l’altro, circa 1500 sarebbero stati infiltrati dell’Fbi. Dunque, il partito comunista in sé non si può dire rappresentasse una vera e propria minaccia. A spaventare era, però, la grande influenza che i rossi effettivamente esercitavano in particolare sul mondo degli intellettuali e degli artisti.

La blacklist andò infoltendosi nel corso degli anni anche dopo l’uscita di scena di McCarthy, censurato dal Senato in seguito alla sua disastrosa inchiesta sull’esercito (1955). A pagare le spese di quella campagna persecutoria continuarono ad essere molti nomi illustri del mondo dello spettacolo.
Il clima creato a Hollywood da quella ondata di intolleranza è ricostruito anche nel film del 2016 L’ultima parola – la vera storia di Dalton Trumbo che ripercorre gli anni bui vissuti dal celebre sceneggiatore, dopo il suo inserimento nella lista nera degli “Hollywood Ten”. Per ben 13 anni Trumbo era stato costretto a vivere lontano da Hollywood, dal momento che le più importanti produzioni si rifiutarono di farlo lavorare per paura di essere associate alle accuse di comunismo. Ma Trumbo continuò a lavorare sotto pseudonimo. La sua rivincita, raccontata nel film, avvenne nel 1960, quando Kirk Douglas e il regista Otto Preminger inserirono il suo vero nome nelle sceneggiature di Spartacus ed Exodus.

 

Articolo a cura di Camilla Andreassi.

 

 

 

 

 

L’immagine è tratta da: https://www.theguardian.com/film/2016/jan/16/dalton-trumbo-hollywood-blacklist-mitzi-trumbo-bryan-cranston

FONTI
– Eric J.Hobsbawm, Il Secolo Breve 1914 – 1991, BUR Rizzoli, 2015
– Anthony Summers, La Vita Segreta di J. Edgar Hoover, Bompiani, 2012
– Sciltian Gastaldi, Fuori i Rossi da Hollywood! Il maccartismo e il cinema americano, Lindau, 2013