“I cinocefali” di Aleksej Ivanov
eretico cammina con me
Le torbiere bruciavano anche qui, nei pressi del fiume Kerženec. La strada scorreva sul fondo di una fitta foresta che sembrava una gola di pioppi, attraverso la quale strisciava svogliato e bollente un flusso di soffocante foschia grigiastra. La pallida macchia sfocata del sole rimaneva sospesa in fondo alla prospettiva della strada, gocciolando verso l’orizzonte.
Benvenuti a Twin Peaks, o meglio, nel villaggio di Kalitino in cui David Lynch potrebbe benissimo ambientare una delle sue storie. I cinocefali di Aleksej Ivanov (Psoglavcy, 2011, tradotto per Voland nel dicembre scorso da Anna Zafesova che ha curato anche una precisa e utilissima postfazione) non può essere incasellato in un’unica definizione. Il critico Lev Danilkin, per esempio, lo ha etichettato come un «thriller sulla moderna provincia russa», ma non basta. Questo libro ha infatti diverse anime: thriller, horror, romanzo storico, un’avventura per ragazzi e addirittura un mystery tinto di misticismo.
La trama è quella tipica di un qualsiasi romanzo di avventura: tre ragazzi moscoviti devono portare a termine una missione. Kirill, un giovane incerto e sognatore dallo spirito rivoluzionario, Valerij, un intellettuale e Guger, un gamer, si mettono in viaggio su un pulmino blu verso il villaggio di Kalitino. Hanno cinque giorni per rimuovere l’affresco eretico di San Cristoforo dal muro della chiesa del paesino. La spedizione è finanziata da una misteriosa fondazione che si occupa di ricerche sulla funzione sociale delle opere d’arte.
La raffigurazione ha però qualcosa di particolare. Il santo, infatti, è stato rappresentato con una testa di cane. Da qui il nome “cinocefalo”. La missione prevede anche una seconda tappa: i ragazzi devono registrare la reazione degli abitanti alla notizia della sparizione dell’affresco. Poiché la pittura è datata ben cento anni dopo il divieto di raffigurare San Cristoforo con la testa canina, ciò può significare solo una cosa: a Kalitino è sopravvissuto il culto locale del Cinocefalo, molto antico, risalente ai tempi in cui venivano battezzati i pagani, di cui era una divinità. Il santo dalla testa di cane finisce così per rappresentare quella frangia degli eretici che, guidati dall’arciprete Avvakum, contrastarono l’abbandono della “vera fede” per il (de facto ritorno al) rito bizantino. Il villaggio era nato difatti come una comunità di scismatici che per sfuggire alle repressioni causate dalle riforme del patriarca Nikon nel XVII secolo si era rifugiata fra le cave di torba.
Anche un posto sperduto e all’apparenza insignificante come Kalitino, quindi, ha in realtà una storia singolare. Il territorio peraltro successivamente era stato adibito a zona e la presenza del lager aveva permesso agli abitanti di vivere. Una volta smantellato, il luogo si è lentamente svuotato e a popolarlo sono rimasti solo in pochi fra reietti e povera gente. Tuttavia, la complessa vicenda – che vede i seguaci della “vera fede” prima e gli Ivan Denisovič del caso poi passare e lasciare traccia su queste terre – sembra non significare nulla per chi ci vive in questo momento:
In questo mondo, il passato non possedeva alcun valore, perché appariva nel presente solo sotto forma di una desolazione sofferta e umiliante.
La conoscenza delle traversie dei vecchi credenti, una delle chiavi che poi li aiuterà a risolvere il mistero dell’affresco e delle arcane presenze nel villaggio, non verrà scoperta da Kirill attraverso i racconti dei locali. La storia del loro paese è coperta da una fitta nebbia, la stessa che circonda il villaggio, nella quale questo ragazzo con la maglietta di Che Guevara si fa largo un click dopo l’altro illuminato dalla luce blu del computer.
La vicenda degli scismatici, e dunque del passato della Russia, è percepita dal giovane come una leggenda lontana e quasi irreale. Alla stregua della trama di un film sui lupi mannari, sente che non gli appartiene.
L’antica contrapposizione fra città e campagna viene qui ribaltata. Quella provincia russa mitizzata, culla delle immutate tradizioni e ultimo baluardo contro la corruzione cittadina tanto cara alla tradizione letteraria russa, qui risulta nient’altro che un mondo di degenerazione. Gli abitanti di Kalitino non vedono la propria condizione sociale e culturale come negativa o inferiore. Non fanno nulla per uscire dalla mediocrità delle loro vite anzi, sembrano quasi impegnarsi affinché tutto rimanga uguale. Il mondo dei ragazzi, infarcito di parole in inglese e riferimenti culturali ai film americani, si scontra con quello chiuso, sospettoso e dall’accento “altro”, cantilenante della provincia o con il gergo carcerario.
L’incontro con una ragazza, Liza, che assumerà in seguito un ruolo cardine soprattutto per lo sviluppo del personaggio di Kirill che in lei troverà la forza per staccarsi dall’apatia e dalla delusione della sua vita cittadina e agire nel tentativo di salvare sé stesso e gli altri da singolari mostri sanguinari, rappresenta il primo ed enigmatico tassello di questo strano mosaico.
A Kalitino è tutto un non detto, tutto un enigma, tutto un segreto da tenere rinchiuso nella gabbia del villaggio che non deve essere sporcato dai forestieri. Tutti pensano infatti che non ci siano cani nei dintorni ma per i tre protagonisti è chiaro che non sia così: inequivocabili rumori e tracce fanno pensare il contrario. Si narra poi che i cinocefali fossero stati usati come guardie per dissuadere i prigionieri del lager a scappare. Gli abitanti sembrano quasi deliziarsi nell’ammantare di ignoto le loro misere vite e tingono di mistero anche ciò che di misterioso non ha proprio nulla. Pur tuttavia, nell’aria aleggia una strana presenza, come di invisibili e antiche rovine.
Il Cinocefalo sulla parete aveva girato la testa e ora guardava vero la porta. Kirill indietreggiò. Ma sì, sicuro, ha girato la testa! Prima il suo muso si sovrapponeva alla croce nella mano destra, e ora copriva la lancia sinistra! Kirill strizzò gli occhi, li riaprì e osservò di nuovo il Cinocefalo. Il Cinocefalo guardava verso la porta. Aveva sempre guardato la porta, da centocinquanta anni. Gli era sembrato. Gli era solo sembrato.