Martina Madia
pubblicato 5 anni fa in Recensioni

“Il manuale dell’eremita”, Vittorio Giacopini

“Il manuale dell’eremita”, Vittorio Giacopini

Adesso cercava soltanto l’isolamento perfetto, la reclusione, la garanzia totale di un’assenza.

Questo saggio di Vittorio Giacopini (Edizioni Dell’Asino, 2018) è un dettagliato ed elaborato ritratto dell’assenza e dei più svariati modi per attuarla. Ci si trova davanti a una galleria di personaggi un po’ sopra le righe: alcuni indimenticabili come Joyce o Bob Dylan, altri riusciti incredibilmente nel loro intento di sparire come Fernand Deligny e Malcolm Lowry. Tutti, però, accomunati dalla smania di evadere, di abbandonare il mondo e congedarsi da un presente che non gli appartiene più.

Per tutta la troppa vita che gli resta cercherà soltanto la pace ambigua e segreta di una tana, una reclusione perfetta, la scomparsa.

Quest’ultima citazione appartiene alla sezione dedicata a Ludwig Wittenstein, filosofo e logico austriaco ricordato nel mondo accademico per i suoi studi sulla logica e sulla filosofia del linguaggio. A un certo punto della sua vita, Ludwig combatte al fronte sempre intento a scarabocchiare i suoi quaderni cartonati, fino a quando non sente di aver detto tutto. Davanti a lui solo il nulla, uno strapiombo buio di cui non può parlare, così decide di mettere il mondo da parte e diventare uno straniero. Estremamente convinto del suo progetto e confortato dal ricordo del fratello Hans scomparso anni prima, sa che è possibile allontanarsi da quel tutto con cui non è in sintonia.

Giacopini riesce a raccontare la vita di questo eclettico pensatore, e di tutti gli altri personaggi che abitano il testo, con acutezza e maestria. Conclude la biografia con la descrizione dell’ultima foto che è stata scattata al filosofo prima della sua morte: Wittenstein seduto che fissa il vuoto con sullo sfondo soltanto un lenzuolo bianco, un epilogo perfetto.

Il mondo fuori dal mondo, il mondo vero, devi trovartelo proprio tutto da te, non c’è una regola.

Giunti all’ultima pagine del libro, diventa chiaro che non bisogna lasciarsi depistare dal titolo. Le biografie di questi personaggi non sono seminate di precetti manualistici o sentenze di matrice spirituale, tutt’altro. La lettura mostra come a volte si senta l’esigenza di essere altro o di essere altrove, magari nella odiata Roma di Joyce oppure in un chiosco pieno di caramelle e giocattoli come Georges Mélès (e se vi stesse chiedendo chi sia Mélès, leggete questo libro e lo scoprirete; Joyce dovreste averlo già sentito nominare, ma in caso contrario, il consiglio resta invariato).

Il messaggio ultimo, se ci si ferma a riflettere, è che non esiste un vero manuale dell’eremita ma che ognuno impara, o forse non imparerà mai, a stare da solo a modo proprio.

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