Culturificio
pubblicato 8 anni fa in Letteratura

Insetti: esseri insignificanti o in-sé-significanti?

gli insetti attraverso la letteratura e cultura dell’uomo, dall’insignificanza al valore simbolico

Insetti: esseri insignificanti o in-sé-significanti?

Sono pressoché ovunque, eppure sembriamo non tener conto della loro presenza.
Gli insetti popolano, da milioni di anni, la terra su cui viviamo, e costituiscono la classe più numerosa di animali: si pensa siano approssimativamente dieci trilioni in tutto il pianeta; e in gran parte ed in molti casi essi influiscono sulla nostra vita. Nonostante ciò, di norma non siamo del tutto consapevoli della loro presenza, o tendiamo a considerarli come animali infimi, non degni della nostra attenzione.
Eppure, vi è una serie di autori che, scegliendo gli insetti come veicolo per il loro messaggio, ha caricato la loro impercettibile presenza di significati specifici alquanto interessanti, che riprendono e rispecchiano diversi tipi di approccio – ad essi e a ciò che rappresentano – caratterizzanti intere culture e società, così come diverse reazioni e sensazioni che possono nascere in certi casi all’interno dell’animo umano.

Di certo, nel pensiero comune, gli insetti sono in genere associati ad aggettivi quali “inutile”, “insignificante”; ed è proprio in questo senso che Leopardi, nel canto “La ginestra”, instaura un parallelismo tra la sorte di un formicaio che viene accidentalmente devastato dalla caduta di una mela e la distruzione delle città di Pompei ed Ercolano causata dall’eruzione del Vesuvio, evento che dimostra l’irrimediabile e assoluta precarietà dell’esistenza umana. Le formiche, esseri piccoli e indifesi, in preda a un caso ch’è determinato da null’altro che leggi meccaniche, causali, naturali, vengono così a rappresentare e denunciare l’insignificanza del genere umano, in opposizione all’antropocentrismo che caratterizzava il secolo di Leopardi e che egli rinnegava fermamente.
“Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz’altra forza atterra,
D’un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l’opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l’assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d’alto piombando,
Dall’utero tonante
Scagliata al ciel, profondo
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli,
O pel montano fianco
Furiosa tra l’erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d’infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l’estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti”

Altro è il punto di vista di Verga, che sceglierà gli stessi insetti – le formiche – come modello per illustrare, in “Fantasticheria”, i pregi ch’egli celebra degli (e negli) umili pescatori Malavoglia, quali la caparbietà e la laboriosità: anche qui tali insetti vengono trattati in relazione alla vita dell’uomo, e in riferimento a un suo sistema di valori, annullando la distanza che sembrerebbe intercorrere tra questi due mondi che paiono tanto diversi.
2Tale distanza è invece presente, e accentuata, nel celebre romanzo “La metamorfosi”, di Franz Kafka, fino a rivelarsi come una sostanziale incompatibilità. Più concretamente, Kafka rende manifesta e analizza con lucidità sorprendente l’incompatibilità che vi è tra il mondo degli insetti – o meglio ciò che rappresenta – e una specifica realtà umana: quella della società. In essa gli insetti stanno a simboleggiare quegli individui che sono “diversi” e per questo “spregevoli”, “malati”.
Il protagonista, Gregor Samsa, subisce una metamorfosi che gli fa assumere la forma di uno scarafaggio, riducendolo a uno stato di degradazione fisica che lo esclude inevitabilmente dal sistema sociale poiché gli impedisce di adempiere ai suoi doveri, lavorativi quanto familiari, rendendolo inutile e per questo disprezzabile, anzi da disprezzare. Il ribrezzo che il suo essere diverso provoca in chi gli sta intorno sovrasta ogni altro sentimento, persino l’affetto dei famigliari, ed egli viene escluso, relegato, condannato. Kafka svela così gli spietati meccanismi della realtà sociale, attraverso la figura dello scarafaggio come simbolo di ciò ch’è ripugnante, o ch’è comunemente considerato tale.

Un fotogramma tratto dalla pellicola de "Il signore delle mosche" (1963), diretto da Peter Brook.

Un fotogramma tratto dalla pellicola de “Il signore delle mosche” (1963), diretto da Peter Brook.

Ripugnanza che viene resa anche da William Golding ne “Il signore delle mosche”, sempre a scopo critico ma in tutt’altro senso, spingendosi più a fondo sotto il livello della società fino a quello della natura stessa dell’uomo, che egli vede come sostanzialmente e atavicamente malvagia.
Immaginando un contesto in cui alcuni bambini – che proprio in quanto bambini non sono ancora influenzati, corrotti dalla società – si trovano in uno stato quasi primitivo di totale libertà e tentano di regolare e armonizzare la loro vita comunitaria per poi sfociare tuttavia, fatalmente, nel caos e nella bestialità, egli sembra scoprire nell’uomo un tratto quasi demoniaco, suggerito dall’elemento chiave che sono le mosche, probabile riferimento a Belzebù – anche chiamato “Baal delle mosche” – e comunque chiaro segno della corruzione e degradazione verso il male che è nell’uomo un carattere innato, ovvero un carattere fondante della sua stessa natura.
aracne_doreDiametralmente opposto è il modo in cui gli antichi guardavano a certi insetti, che in molti casi potevano essere considerati sacri: un chiaro esempio è lo scarabeo, che per gli Egizi era simbolo di resurrezione, di vita e rinnovamento – simbolo dunque estremamente positivo. Inoltre, noto a tutti è il mito di Aracne, riportato da Ovidio nelle “Metamorfosi”, il quale lega la figura del ragno alle vicende e al volere di una divinità: Atena, sfidata a duello da Aracne nell’arte del tessere, infuriatasi per l’affronto subito trasforma la fanciulla in ragno; è evidente come già gli antichi tendessero ad individuare negli insetti, quali il ragno in questo caso, alcune caratteristiche tipiche che li rendevano ai loro occhi misteriosi e affascinanti, conferendo loro un’aura quasi divina.

Puramente umana, strettamente legata alla psiche dell’uomo, è invece la valenza che gli insetti assumono all’interno della corrente e delle opere del Surrealismo. Evidentissima l’attenzione che molti artisti surrealisti dedicano a tali animali, in modo quasi ossessivo e certo sintomatico di un’esigenza nuova e tutta umana, psicologica. Dalí rappresenta spesso nei suoi quadri api, formiche e altri insetti, carichi di significati profondi legati al mondo del sogno e dell’inconscio, con chiaro riferimento alla teoria freudiana. “Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana, un attimo prima del risveglio” ne è un esempio rilevante.

Fotogramma de "Un chien andalou" (1929).

Fotogramma de “Un chien andalou” (1929).

Allo stesso modo, il cineasta Luis Buñuel si serve della figura degli insetti per rendere manifesto l’affiorare dell’inconscio: nel cortometraggio “Un chien andalou” si può vedere un flusso di formiche che esce dalla mano di un uomo; flusso inarrestabile che indica l’emergere di quegli aspetti della coscienza che gli uomini tentano inutilmente di tenere nascosti e soffocare.

Gli insetti, esseri apparentemente così distanti dalla nostra realtà, assumono dunque un valore simbolico fondamentale per comprendere la nostra stessa natura. Questo fenomeno fa probabilmente parte di quelle caratteristiche che dell’uomo non smettono di affascinare ed intrigare: il suo modo, cioè, di ricercarsi ovunque e con qualsiasi mezzo, fin dentro a esseri piccoli e (apparentemente) insignificanti come sono gli insetti.


 

Articolo a cura di Elena Cappai