Joan Miró
tra materia e forme
Catalano classe 1893, attivo praticamente fino alla morte, Joan Miró è il protagonista della mostra Materialità e Metamorfosi curata dalla Fondazione Bano negli spazi espositivi di Palazzo Zabarella a Padova. Le fortunose vicende delle 85 opere tra dipinti, sculture, collages e arazzi, realizzate dal pittore fra il 1924 al 1981, già di per sé fanno notizia ed invitano ad una riflessione sui percorsi delle opere d’arte nel corso del tempo.
Questa collezione di capolavori, creata addirittura dal gallerista Pierre Matisse, figlio del più conosciuto pittore Henri, è passata per circa cinquant’anni in mani private rimanendo all’oscuro del grande pubblico. Le opere, passate più recentemente di proprietà del Banco Português de Negociós, che tra il 2004 e il 2006 le aveva acquistate da una importante collezione privata giapponese, sembravano ormai aver trovato sede stabile nel caveau della banca. Invece il Banco portoghese, nazionalizzato una decina di anni fa perché in forti difficoltà economiche, si era visto costretto a mettere sul mercato la prestigiosa acquisizione tramite la londinese Christie’s. La possibile asta aveva aperto immediatamente una protesta su scala nazionale così che le opere di Miró hanno finito per rimanere in Portogallo dove sono custodite presso il Museo Serralves di Porto.
Difficile stendere una biografia esaustiva di Miró senza tralasciare avvenimenti o particolari tanto densa e lunga è stata la vita del pittore morto nel 1983 all’età di novant’anni a Palma di Maiorca. L’unico contorno che si può tracciare attorno alla sua figura è forse quello geografico, intendendo con questo l’area del Mediterraneo che va dalla Spagna alla Francia passando per la più grande delle Isole Baleari.
Nato a Barcellona dove compie i primi studi, è a Parigi che, già dal primo soggiorno nel 1920 quando conosce Picasso, Ernst, Masson e compagnia, frequenta il gruppo surrealista ma si intrattiene pure con il movimento Dada nella figura di Tristan Tzara e si inserisce a pieno titolo nella vita culturale ed espositiva del periodo. La capitale francese lo ospiterà anche durante la Guerra Civile spagnola. In seguito Miró trascorre la sua vita accompagnato dalla moglie tra la cittadina di Mont-roig in Catalogna e Palma di Maiorca, dove si era trasferito stabilmente dal 1956.
La mostra patavina punta l’attenzione su due aspetti fondamentali del suo linguaggio: la materia delle opere e il biomorfismo dei soggetti. L’attività di Miró si spinge fin dall’inizio oltre la pittura convenzionale, attraversa attività parallele come la scultura, la litografia e l’acquaforte, giunge a sperimentare materiali di varia natura quali metallo e tessili, quasi sempre di riuso, realizza collages e papiers collés fino ai cosiddetti sobretexim degli anni Sessanta, termine con il quale si intendono quelle opere in bilico tra scultura, dipinto e collage, veri arazzi in tre dimensioni che invadono lo spazio dello spettatore. Preme sottolineare che la materialità in Miró non è mai fine a se stessa ma mezzo per superare l’arte.
La precisa definizione grafica, talvolta con contorni netti e ben sottolineati mira all’isolamento degli elementi costitutivi dell’opera dove la tridimensionalità non esiste più. Le forme simboliche non sono ancora astratte in quanto prendono spunto da un modello sia esso antropomorfo o legato al mondo animale-vegetale ma hanno subito una metamorfosi, da qui appunto il biomorfismo degli elementi che popolano le tele del catalano. Da buon surrealista, Miró aveva aderito al manifesto nel 1924, a guidare il processo creativo è l’automatismo psichico, temine che Bretòn aveva mutuato dalla psicanalisi per indicare la prassi pittorica del movimento: le immagini dell’inconscio arrivano al supporto in totale assenza del controllo della ragione e al di fuori di condizionamenti estetici o sociali. Forse è proprio questo il motivo per cui le opere di Miró, pur assimilabili in modo concettuale a quelle degli altri pittori surrealisti, se ne discostano in maniera netta e rimangono riconoscibili a prima vista in quanto a originalità e spensieratezza.
La mostra, che sarà visibile a Palazzo Zabarella fino a domenica 22 luglio, merita di essere vista se non altro per riflettere sulla destinazione pubblica o privata dell’arte in genere e, in particolare, sul fatto che queste 85 opere di Joan Miró potevano non arrivare fino a noi.