La legge Bacchelli
O come le formiche lavorano anche per fare cantare le cicale
Cosa hanno in comune Franco Califano, Edgar Allan Poe e Peter Falk (l’attore che interpreta l’ispettore Colombo)?
Questi tre personaggi, che hanno indiscutibilmente contribuito al mondo della cultura nel campo della musica, della letteratura e del cinema, hanno in comune il fatto di essere morti in stato di indigenza.
Nonostante le carriere, i successi e i guadagni, infatti, i tre personaggi citati vanno ad aggiungersi alla nutrita schiera di personalità pubbliche che sono cadute in disgrazia, vivendo gli ultimi giorni in uno stato di povertà che solo pochi anni prima – quando erano all’apice del successo – pareva inimmaginabile.
Non è un luogo comune che gli artisti, presi dal loro genio creativo e dalle loro vite vissute in ovattata contemplazione della fama, tralascino di pensare alle più terrene preoccupazioni della gente comune, come assicurarsi i mezzi di sostentamento per la vecchiaia.
In Italia, tuttavia, esiste una norma creata proprio per tutelare situazioni analoghe a quelle citate in precedenza.
La normativa italiana annovera infatti una vera e propria legge salva-artisti, la legge n. 400 dell’ 8 agosto 1985.
La legge n. 400/85 è più comunemente conosciuta come “legge Bacchelli” dal nome dello scrittore italiano Riccardo Bacchelli, che con la sua condizione ispirò il legislatore ad approvare la disposizione salva-artisti.
Questa legge è stata varata sotto l’egida del primo Governo Craxi ed era primariamente volta a costituire un “Fondo per gli interventi a favore di cittadini illustri che versino in stato di particolare necessità”.
In buona sostanza la legge consente al Presidente del Consiglio dei Ministri, previa comunicazione al Parlamento, di “un assegno straordinario vitalizio a favore dei cittadini italiani, di chiara fama, che abbiano illustrato la Patria con i meriti acquisiti nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell’economia, del lavoro, dello sport e nel disimpegno di pubblici uffici o di attività svolte a fini sociali, filantropici e umanitari e che versino in stato di particolare necessità”.
Questa norma, però, non deve essere letta come la costituzione di un fondo pensione illimitato al quale possono accingere tutti gli artisti che non abbiano raggiunto il successo, bensì come una possibilità per lo Stato di tutelare quei cittadini che con la loro opera abbiano contribuito a innovare e arricchire il panorama culturale italiano.
Si può sostenere, quindi, che questa disposizione consenta all’Italia di prendersi cura di quegli artisti che, impegnati a seguire il proprio genio, non abbiano curato anche l’aspetto commerciale della propria opera o non si siano venduti al migliore offerente pur di tenere incontaminata la propria creazione.
Parafrasando la nota favola di Esopo della cicala e la formica (che notoriamente costituisce un elogio alle virtù della modesta e lavoratrice formica e un ammonimento verso la dissolutezza della cicala), si può affermare che idealmente questa norma mira a conservare una parte degli averi messi da parte delle formiche al fine di consentire alle cicale più meritorie di continuare a cantare.
L’immagine in evidenza proviene da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Nino_Rota_Riccardo_Bacchelli_e_Bruno_Maderna.jpg