“La principessa guerriera” di Marina Cvetaeva
Questa è la storia di un marito e di sua moglie –
lui vecchio, lei giovane – lei serpe, lui biscione […]
Questa è la storia di una giovane Matrigna e del figlioletto,
che non sa cavalcare, né rubare, né ammazzare – è un inetto […]
Nei giardini del palazzo, in piena notte, la gusla vibra…
Su, venite a guardare!
Insieme ad Anna Achmatova, altra immensa e straordinaria voce della poesia russa (e mondiale) del Novecento, Marina Cvetaeva fa parte di quella schiera di poeti universalmente riconosciuti e profondamente amati. Le sue liriche e i suoi racconti, così come le lettere alla figlia Alja o il carteggio con Rilke e Pasternak, sono da tempo celebri. Di certo meno nota è la sua opera Car’-devica (letteralmente “Zar-fanciulla”) che oggi vede la luce per la prima volta in lingua italiana per la Sandro Teti Editore, con il titolo La principessa guerriera, grazie al notevole e fortunato lavoro di traduzione di Marilena Rea.
Car’-devica è stato composto tra il 14 luglio e il 17 settembre del 1920, mesi sicuramente non facili per Cvetaeva. Nella sua Russia imperversava la guerra civile, il marito si trovava al fronte e la figlia Irina perdeva la vita. È proprio in questo scenario però che dalla sua penna viene fuori un’opera che, nonostante le critiche mosse da parte di chi in essa rintracciava una glorificazione dello zarismo, rimarrà sempre estremamente cara alla scrittrice.
Questa fiaba in versi ripesca direttamente dall’immaginario folclorico, epico e fiabesco russo e prende a piene mani dalle fiabe dell’etnologo Aleksandr Afanas’ev che aveva avuto l’occasione di leggere nel 1915 nelle Narodnye russkie skazki (Fiabe popolari russe).
La vicenda, scandita in tre Notti, altrettanti Incontri, una Notte ultima e una Fine, si snoda nel tempo astorico tipico della tradizione folclorica. I quattro personaggi le cui vicende si intersecano fra incontri e scontri sono quelli tipici della fiaba: lo Zar ubriacone, la Zarina e Matrigna innamorata del figliastro che tenta in ogni modo di sedurre, lo Zarevič e l’eponima eroina, la Zar-fanciulla. Cvetaeva opera però un rovesciamento: il topos dell’eroe che parte in cerca della sposa è qui ribaltato a favore delle gesta di Zar-fanciulla.
È lei, la Vergine guerriera e non lo Zarevič, a sfidare i marosi per dare la caccia all’amato che invece si crogiola nella bambagia presso il suo palazzo reale. I due rappresentano dunque delle figure antipodiche: lei possente, audace, battagliera, perennemente sfrontata; lui mingherlino, inetto, alla pugna di certo non avvezzo. Lei il Sole, lui la Luna. Elementi antitetici ma complementari che caratterizzano quindi l’unità androgina. Una concordia discors o una discordia concors il cui frutto però non è l’Armonia bensì il regno di Thanatos. C’è poi un ultimo personaggio: il popolo, la cui rivolta contro l’egemonica e strafottente tirannia dell’avvinazzato zar irrompe nei versi conclusivi. La sua voce grida collerica l’impetuosa rabbia di una gente da troppo tempo vessata e ora pronta a compiere la propria vendetta.
Il testo originale a fronte inoltre permette non solo di poter fruire del poema assaporando la straordinaria musicalità degli incastri operati da Cvetaeva nei dolci suoni della lingua russa ma anche di valutarne la traduzione. Scopriamo infatti così che Rea ha deciso di eliminare quasi completamente le rime nella resa in italiano preferendo invece mantenere la metrica a favore di un macro-ritmo che potesse restituire una cadenza quanto più vicina e corrispondente al russo. Decisione e impresa certamente non facile: a ogni personaggio, sequenza narrativa o dialogica corrisponde difatti un diverso metro. Le parti narrative, per esempio, che ricalcano il modello sillabico della bylina (il verso popolare), sono composte in esapodia trocaica proprio per riprodurre il procedimento precipuo della narrazione orale del cantastorie che anche qui fa sentire la sua voce. Così la straordinaria ricchezza lessicale che caratterizza la lingua della fiaba – Cvetaeva fa muovere i suoi eroi e le sue eroine in un dedalo di registri che vanno da quello colloquiale all’incolto, dalle vette dello slavo ecclesiastico o della Bibbia a uno stile decisamente più basso – è anch’essa mantenuta.
«Perché solcando i mari
senza remi la barca viaggia?».
– Perché al di là dei mari
c’è il regno di Zar-fanciulla!
Il nucleo principale della fiaba è tematizzato nell’incontro mai realizzato fra Zar-fanciulla e il suo amato. Potremmo forse scorgere in esso il dramma dell’amore perpetuamente rincorso e agognato fra Cvetaeva e gli uomini e le donne della sua vita? O financo un presagio funesto di quello che sarà poi, di lì a vent’anni, il suo tragico destino?
– In nessun-dove sono io.
In nessun-dove mi sono persa.
Nessuno mi raggiungerà.
Niente mi restituirà.
La traduzione è corredata da illustrazioni originali e foto e da una postfazione firmata da un altro “fiore guerriero”: Monica Guerritore. Non ci resta che solcare la soglia della nostra libreria di fiducia con passo dirompente proprio come Zar-fanciulla e fare nostro questo ricco bottino!