Culturificio
pubblicato 1 anno fa in Letteratura

La Recherche avant la lettre II

i primi passi della Recherche di Marcel Proust verso la Nouvelle Revue Française

La Recherche avant la lettre II

Nel primo articolo di questa serie sul viaggio editoriale della Recherche abbiamo seguito i primi passi che Proust ha mosso addentrandosi nella giungla di editori parigini, in particolare la «NRF» e Fasquelle. L’anno 1912 si era concluso in maniera deludente per l’autore, con due scottanti rifiuti.

Ma perché le due case editrici hanno rifiutato il manoscritto?

Per quanto riguarda Fasquelle, pare che quest’ultimo si fosse affidato a un lettore che nutriva dei forti pregiudizi nei confronti di Proust: tale Jacques Normand, un poligrafo, avvocato, archivista-paleografo, drammaturgo e poeta. Come Proust, era un assiduo frequentatore di salotti mondani, ma le somiglianze tra i due, a quanto si sa, si limitano a questo. Eppure qualcosa dev’essere successo, dal momento che lo stesso Proust ne aveva tracciato una caricatura non troppo lusinghiera e Normand aveva espresso, nella sua scheda di lettura per Fasquelle, dei giudizi netti:

Après d’infinies désolations d’être noyé dans d’insondables développements et de crispantes impatiences de ne jamais remonter à la surface – on n’a aucune notion de ce dont il s’agit.

Per quanto riguarda la «NRF» invece, Gallimard si limita a dire: «l’énorme manuscrit dépassait alors les possibilités de la jeune maison».

Schlumberger – direttore precedente a Copeau –, dal suo canto, accenna ai fondi esigui della giovane casa editrice ma allo stesso tempo aggiunge: «Lorsque, en 1913, Proust nous offrit A la Recherche du temps perdu, nous dûmes écarter, sans même les ouvrir, les blocs de ses manuscrits, la publication d’un ouvrage qui s’annonçait en huit ou dix tomes risquant d’écraser notre naissante maison», commettendo due passi falsi circa la data e il titolo. Proust presenta il manoscritto nel 1912 e risulta impossibile che, a quella data, l’autore avesse chiesto di pubblicare l’integralità della Recherche così come si sarebbe presentata negli anni ’50 – quando Schlumberger commenta –, e soprattutto con un titolo che ancora non aveva ideato, come fa notare Kolb nell’introduzione alle lettere di Proust. L’opera non contava già otto o dieci volumi, ma al massimo due, e l’esiguo budget a disposizione non poteva essere una scusa plausibile dato che lo stesso Proust si offriva di pagare a sue spese la pubblicazione. In realtà, è molto probabile che sia stata proprio questa sua insistenza nel voler stampare a sue spese a portare la «NRF» a consolidare il pregiudizio secondo il quale Proust era un autore mondano.

Le motivazioni fornite da Gallimard e Schlumberger sembrano pretesti accampati a posteriori, nel tentativo di coprire l’onta di una decisione errata che li metteva in imbarazzo. Le loro giustificazioni del resto cozzano con i fatti. Ma se le motivazioni fornite da Gallimard e Schlumberger non sono sufficienti, su chi ricade la responsabilità del rifiuto? Per Kolb la decisione fu presa da un uomo soltanto, la cui autorità non poteva essere messa in discussione: André Gide, che si è assunto pienamente la responsabilità del rifiuto, come affermerà nella famosa lettera di scuse dell’11 gennaio 1914. Secondo Proust, invece, Gide o chi per lui alla «NRF» non ha neppure aperto il pacchetto con cui aveva confezionato il manoscritto. Céleste Albaret, infatti, si ricorda del preciso momento in cui Marcel, affranto, si confidava con lei, convinto che il pacco fosse rimasto intonso. I due avevano anche una prova a sostegno della loro teoria: a quel tempo, Céleste era solita far incartare libri, manoscritti e pacchi da tale Nicolas Cottin. La particolarità che aveva colpito Proust era l’attenzione con la quale Cottin si dedicava ai nodi, considerata una vera e propria arte del nodo, «con uno stile particolarissimo e difficile da imitare». Secondo Proust, quando la «NRF» restituisce il manoscritto, il famoso nodo di Cottin che chiudeva l’involucro del manoscritto non era neppure stato toccato:

Sono assolutamente certo che mi è tornato intatto. Per quanto abili si possa essere, sciogliere quel particolarissimo nodo di Nicolas e poi rifarlo esattamente come prima – e, per di più nello stesso punto – è difficilissimo, ne convenga, per non dire impossibile (Albaret, 2004, p. 264).

Secondo Kolb, la versione reale dei fatti è quella raccontata da Gide – il quale ammetterà nel 1914 di aver solamente sfogliato il manoscritto e di aver letto soltanto poche porzioni di testo –, per cui se non si può sospettare della buona fede di Céleste, bisognerà supporre che Proust abbia inventato questo aneddoto per mantenere la propria dignità. Come prova a sostegno di questa supposizione, Kolb afferma che probabilmente Proust ha inventato l’aneddoto ispirandosi a un episodio di Illusions perdues, in cui Lucien de Rubenpré riceve i sonetti che aveva inviato a Dauriat ed è Lousteau a dirgli di far caso al sigillo: cera e cordicella erano ancora intatte.

Non riuscendo a stabilire quale sia la versione più vicina alla realtà tra quella di Céleste e la – a detta di Kolb – lettera apocrifa di Bibesco, è difficile capire quante copie dell’opera di Proust circolassero all’interno della «NRF». Se la storia di Bibesco corrisponde a verità, in redazione girano due copie: la dattiloscritta consegnata o a Copeau o a Gallimard, e una seconda non ancora corretta – per cui diversa dalla prima – che finisce nelle mani di Gide.

Anche secondo Masson

Il y avait deux textes, qu’aucun ne correspondait à celui que nous connaissons aujourd’hui, dont ils ne détenaient ni la perfection ni le prestige. Celui qui fut transmis à Gaston Gallimard allait être par la suite l’objet de modifications considérables (Masson, 2020, p. 75).

Dunque, plausibilmente, ci sono più copie che circolano in redazione; ma chi è il lettore incaricato del rifiuto? Dalle lettere di Proust si potrebbe dedurre che sia Copeau, ma dal diario di Schlumberger si può supporre, a ragion veduta, che il lettore sia stato lui.

14 novembre [1912]. Commencé lecture d’un manuscrit de Proust. […] 21 novembre Passé Villa Montmorency. […] Décidément on refuse le Proust (Schlumberger, 1999, p. 43, 45).

Quell’«on» fa supporre si sia trattato di una decisione collettiva. Se si accredita questa versione, la storia della «ficelle» di Proust e Céleste non regge.

Si può pensare che il manoscritto annodato con cura sia uno di quelli presenti in redazione e che il comitato di lettura non abbia utilizzato quella copia. Ma queste, purtroppo, sono solo congetture, fabbricate a partire da affermazioni intrise di vergogna; una vergogna dovuta, da un lato, alla consapevolezza di aver scartato un capolavoro del Novecento, dall’altro allo smacco di vedersi scartato dalla propria casa editrice d’elezione.

L’idea che Schlumberger sia il lettore viene, però, messa in dubbio quando nell’agosto del 1950, in una lettera a Jean Lambert, l’ex direttore della «NRF» sente il bisogno di ritornare sulle sue dichiarazioni e di discolpare Gide:

Il s’est le plus gauchement du monde frappé la poitrine et confondu en excuses sur le refus du Swann. Or je soutiens que personne, ni Gide, ni Gaston, ni Copeau, ni moi n’avait lu le manuscrit. Tout au plus y avait-on piqué, çà et là, quelques pages dont l’écriture avait paru décourageante. On a refusé l’ouvrage pour son énormité et pour la réputation de snob qu’avait Proust. […] Je fournis [à Gide] la meilleure des excuses et je le lave de ce qu’on a présenté comme un manque de sens critique (Masson, 2020, pp. 78-79).

Teoria che potrebbe essere confermata anche dal fatto che la corrispondenza incrociata dei membri fondatori della «NRF» rivela che, nella settimana che precede il rifiuto, l’opera e il nome stesso di Proust non vengono mai menzionati, neppure nei diari. In quella settimana, infatti, Gide lavora alle Caves du Vatican, chiedendo a Ghéon di occuparsi della lettura del manoscritto, Copeau lavora alla sua pièce La Maison natale e Gide passerà il 15 novembre a casa sua per ascoltarla. Qualche giorno prima della fatidica data del rifiuto del 21 novembre, Schlumberger va a Losanna per assistere il figlio in occasione di un’operazione: dal treno – dove si può supporre stesse leggendo Proust – scrive a Copeau, ma non c’è traccia del nome di Marcel. Sabato 16, quasi tutti si incrociano negli uffici della «NRF»: certamente Gide vi incontra Copeau e Rivière, e poi anche Schlumberger, con il quale discute dell’opera di Joseph Conrad. Anche Ghéon li raggiunge. Il 21, il giorno del rifiuto, Gide consegna delle riflessioni su Rouart e del nome di Proust non c‘è traccia.

Che alla «NRF» abbiano aperto o no la busta con il manoscritto, che l’abbiano sfogliato o letto davvero, che ci siano stati più lettori o uno solo, in ogni caso, una cosa è certa: il rifiuto della casa editrice non è venuto da un giudizio sull’opera, ma da un giudizio sulla persona. Come afferma Assouline: «Marcel Proust, ils le rejettent a priori. A leurs yeux, il incarne tout ce qu’ils détestent : frivolité et dilettantisme, mondanités et oisiveté, duchesses et Figaro… Proust? Un snob. La cause est entendue avant même d’avoir été plaidée» (Assouline, 1988, p. xv). Lo stesso Proust sembra essere consapevole del pregiudizio che alla «NRF» nutrono nei suoi confronti. A Céleste, infatti, racconta:

Mi ha giudicato in base all’idea che si faceva della mia vita, delle mie apparizioni in società. La mia camelia all’occhiello aveva probabilmente indotto lui e i suoi amici a immaginare che fossi un buono a nulla (Albaret, 2004, p. 264).

Per Kolb, inoltre, alla «NRF» si sono rifiutati di pubblicare «une œuvre qu’ils ont dû juger trop dissemblable, par sa matière, par sa composition, par ses dimensions du roman classique». Oltre ai pregiudizi e al problema rappresentato dalla materia troppo composita, c’è da considerare che c’è un’altra possibile ragione per cui il manoscritto è stato scartato quasi a priori: il suo aspetto. L’opera si presenta male: è enorme, irsuta, difficile da decifrare. Non invita alla lettura ed è, per di più, piena di errori.

In ogni caso, dopo i due rifiuti di Fasquelle e della «NRF», Proust vive una prima fase di disperazione, a cui fa seguire, però, una fase di ripresa. Senza perdere troppo tempo, scrive a Louis de Robert raccontandogli la propria delusione ma affermando allo stesso tempo di avere, a quel punto, un’opinione «meilleure, plus sympathique que je n’aurais cru» di Fasquelle in seguito alla sua lettera di rifiuto. Quest’ultimo ha dovuto usare tutta la sua diplomazia scrivendola, onde evitare di offendere Calmette, che l’aveva tanto raccomandato. Eppure, ciò che sorprende di più Proust è che l’editore non sembra aver avuto la minima curiosità di esaminare di prima mano un’opera che gli era stata consigliata, affidata e garantita non solo da Calmette, ma anche dai Rostand, da Jean Cocteau e Louis de Robert. La conclusione a cui arriva è:

Quoi qu’il en soit son refus est net, définitif et il n’y a plus a y revenir. Alors j’ai repensé à ce que vous m’avez dit d’Ollendorf. Ne nous faisons pas d’illusions […], les objections de Fasquelle, tous les éditeurs pourront les faire. Et le point de vue de Fasquelle, parfaitement juste commercialement, n’est même pas bête au point de vue littéraire (vous voyez que je n’ai aucune amertume contre lui). Je le crois faux, mais on peut se tromper d’une manière intelligente. Donc pour éviter les stages épuisants chez les éditeurs, des demandes de remaniements etc., je ne songe plus qu’à faire éditer le volume à mes frais. […] Je ne tiens qu’à une chose c’est que ce soit à mes frais pour rester libre, et avoir une certitude.

E così riprendono la ricerca, le connessioni mondane, i passaparola. La prossima tappa del viaggio editoriale è Ollendorff, una casa editrice diretta da Alfred Humblot, per arrivare alla meta finale: la pubblicazione. Una meta per la quale Proust ha sempre trovato naturale darsi da fare, «comme un père pour son enfant».

Bibliografia

  • Céleste Albaret, Monsieur Proust, SE, Milano, 2004;
  • Grasset édite « Du côté de chez Swann » à 1 750 exemplaires, «Le Monde», 7 maggio 1999;
  • Articolo di «Le monde»
  • Jean Schlumberger, Notes sur la vie littéraire, Paris, Gallimard, 1999;
  • Marcel Proust, Correspondance, a cura di Philip Kolb, Plon, Parigi, voll. XI, XII (1984);
  • Marcel Proust, André Gide, Autour de «La Recherche», lettres, prefazione di Pierre Assouline, Complexe, Bruxelles, 1988;
  • Pierre Masson, André Gide & Marcel Proust. À la recherche de l’amitié, Presses Universitaires de Lyon, 2020.

di Elisabetta Tommarelli


(fonte della fotografia di Marcel Proust)