Chiara Masotti
pubblicato 3 anni fa in Letteratura

“L’Amour fou” di André Breton

“L’Amour fou” di André Breton

Vi auguro di essere amata follemente.

Con queste parole dolci e autentiche Breton conclude una delle più appassionanti e originali dediche mai scritte da un padre a una figlia. Racconto autobiografico dell’autore surrealista, L’Amour fou venne pubblicato nel 1937 da Gallimard, destando un’immediata attenzione da parte del pubblico e della critica. Complessa e indimenticabile, l’opera è un vero e proprio manifesto letterario che tratta in tutte le sue sfumature l’amore, la sola risorsa del mondo e «l’unico rigore che l’uomo deve conoscere».

Il sentimento che lega due amanti deve essere folle, libero, come ricorda anche il titolo della poesia Union libre: sessanta versi in cui Breton celebra la donna evocando una dopo l’altra, come in un ritratto, le parti del corpo e le imperfezioni che la rendono bella ai suoi occhi. Le immagini eccentriche con cui la descrive sono frutto della scrittura automatica, capace di creare associazioni imprevedibili e destabilizzanti tra l’universo femminile e la natura. 

L’autore vuole celebrare l’infinità della donna: non esiste luogo né dimensione che non venga pervaso e sconvolto dalla sua presenza. Breton scrive la stessa cosa anche a Aube, la figlia di otto mesi, che dovrà leggere quest’ultima lettera una volta compiuti sedici anni: 

Qualsiasi cosa accada da qui a quando leggerete questa lettera, lasciatemi pensare che sarete pronta allora a incarnare questa forza eterna della donna, la sola davanti alla quale io mi sia mai inchinato. 

L’artista non era effettivamente incline a piegarsi facilmente: se da un lato il suo carattere sovversivo e la sua spiccata personalità lo portarono a dare vita all’avanguardia più rivoluzionaria del XX secolo, dall’altra lo condussero a rompere legami e amicizie con poeti e letterati che negli anni aveva radunato attorno a sé. Da leader fu estremamente coerente con sé stesso nell’anteporre le priorità del movimento al resto, e non rinunciò mai ai valori comunitari di cui si era fatto portavoce nei manifesti. Tuttavia, ciò che lo contraddistinse di più nella sua marcia creativa fu la capacità di mantenere un’autentica autonomia espressiva e comunicativa che lo accompagnò sempre nella ricerca incessante del sublime, sia nella vita che nelle opere.

Fu senza dubbio per questo che rappresentò un modello per la sua generazione e quelle a venire: capace di risvegliare la spiritualità nel cuore della conoscenza poetica, Breton non vedeva limiti all’uso dell’immaginazione e al potere dell’ispirazione per rappresentare tutte le realtà possibili. Al centro di ogni cosa c’era sempre l’amore: 

Non ho mai smesso di credere che l’amore, tra tutte le tappe fondamentali della vita di un uomo, sia la più grande riserva di soluzioni, essendo esso stesso il luogo ideale dove tutte le soluzioni si incontrano e si fondono. Gli uomini disperano stupidamente dell’amore – e anche io ne ho disperato – vivono asserviti a quest’idea che l’amore sia sempre dietro di loro, e mai davanti (…) Eppure, per ciascuno la promessa di ogni ora a venire contiene l’intero segreto della vita, in grado di rivelarsi per caso un giorno in un altro essere.

Sin da giovane Breton manifestò una grande inclinazione per l’avventura del pensiero: la grandezza del suo spirito impetuoso e selvaggio risiedeva nella capacità di attingere le forze proprio dalla consapevolezza della sua umana e naturale fragilità. Ciò che viene definita la poétique de la subversion, o sovversione poetica, non emerge solo da ciò che scrive, ma soprattutto da quello sguardo costantemente rivolto verso il mondo capace di cogliere ogni cosa – anche la più sfuggente – grazie alla magia dell’ispirazione.

L’universo della logica non poteva che capovolgersi attorno all’asse della poesia: alla sicurezza del rigore e della razionalità, Breton preferiva l’anarchia erotica ed effervescente della vita. Si trattava per lui di tener stretta l’unica vera certezza dell’esistenza: il possibile, l’eventuale. Nei confronti della straordinarietà del caso il surrealismo nutriva infatti una vera e propria passione: contro ogni categoria artistica e linguistica, contro ogni norma prestabilita, il poeta scommette definitivamente sulla vita strappando la poesia dal mero dominio culturale per estenderla a quello dell’intera esistenza. 

La casualità fu un ingrediente fondamentale anche nella conoscenza di Jacqueline Lamba, futura madre della piccola Aube: nell’Amour fou viene raccontato di come, secondo il principio dell’hasard objectif, Breton incontrò quella donna «scandalosamente bella» che undici anni prima aveva preannunciato nel poema La Nuit de Tournesol. «Nella sua borsetta c’era il mio sogno», aveva scritto il poeta, immaginandosi quel fascino contradditorio e sublime che nell’opera Nadja (1928) avrebbe poi definito beauté convulsive: la bellezza sarà «erotico-velata, magica-circostanziale, esplosiva-fissa (…) La bellezza sarà convulsiva o non sarà». L’incanto della vita (come quello della reale bellezza) non risiede nella sua armonia ma nei suoi contrasti, nei turbamenti e nelle emozioni che questi provocano. 

Con lui termina la magia arcaica del “c’era una volta” e ha inizio quella futura del “ci sarà una volta”, come recita il titolo di una sua raccolta. Breton non si limita a scriverlo come la maggior parte dei poeti: si sforza sempre per dimostrare che ogni uomo possiede in sé stesso la chiave del meraviglioso, che rappresenta una fonte inesauribile di esperienze e l’unica arma contro la disperazione. Il possibile si oppone al limite, la poetica scommette sul disequilibrio umano, e tutto ciò che possiamo essere si erge contro il nulla del presente. Come l’autore stesso affermò riferendosi al surrealismo, la vera missione era quella di ridurre «l’arte alla sua espressione più pura, l’amore». 

Il testo Plûtot la vie, contenuto nella raccolta Clair de terre del 1923, esprime la grande devozione e gratitudine che Breton provava verso questo mondo: al centro di ogni cosa c’è la presenza, «la vita della presenza / nient’altro che la presenza».

Il poeta lascia in eredità alla figlia l’augurio che tutti i suoi sogni, le sue speranze e le sue illusioni possano danzare notte e giorno alla luce dei suoi boccoli, in attesa di imparare a vivere e ad amare. Perché se nulla è eterno, lo è l’arte, lo è l’amore. Contro ogni finitudine dell’esistenza, Breton decide di mantenere quel sempre che per lui era la chiave di ogni cosa: «ciò che ho amato, che io l’abbia conservato o no, lo amerò sempre».