Le avventure di un teppista
"Limonov" di Emmanuel Carrère
Limonov è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados.
Emmanuel Carrère presenta così il suo protagonista nelle prime pagine di Limonov (edito da Adelphi e tradotto da Francesco Bergamasco). Biografia dello scrittore russo Eduard Savenko, in arte Limonov, era stata inizialmente concepita per essere pubblicata in un semplice articolo, e solo in un secondo momento si è trasformata in un libro. Da un lato perché il materiale raccolto si era rivelato troppo ampio da poter essere esaurito in una trattazione tanto breve. Dall’altro, la vita di Limonov è così straordinaria, controversa e scomoda che sarebbe stato quasi uno spreco non dedicargli un libro intero.
La stesura non è sempre lineare, la scrittura ha richiesto molto tempo. Prima bisogna organizzare le informazioni, poi capita anche che Carrère smetta di scrivere, perché quasi disgustato dal suo protagonista. Carrère, come un bravo biografo, è onesto e distaccato, ma non troppo. In alcuni casi, si sente simile al suo protagonista, crea dei parallelismi tra le loro vite. In altri, i due sono distanti anni luce. Come gli è venuto in mente di scrivere di una persona simile?, si chiede mentre racconta l’episodio di Limonov soldato nei Balcani, ripreso a sparare sulla città di Sarajevo. La biografia di Limonov non è la sua celebrazione, anzi. Carrère ne evidenzia tutti i difetti, ma senza esprimere giudizi personali sulla sua morale.
In effetti, rimanere distaccati mentre si scrive (e legge) di Limonov non è semplicissimo. Nonostante la vita piena di avventure, la personalità e le idee dello scrittore russo non lo rendono certo un eroe letterario. I sentimenti motore della sua esistenza sono stati la rabbia e l’invidia. Limonov è cattivo, egoista e un po’ narcisista. Sin da ragazzo il suo sogno è quello di diventare famoso, per il semplice gusto di esserlo. Per questo odia tutti coloro che ce l’hanno fatta prima di lui, soprattutto se sono nati e cresciuti nelle sue stesse condizioni. E innalza la violenza a strumento primo di sopravvivenza. Questa, però, è una cosa che ha imparato già da bambino.
Nato in Russia ma cresciuto nella periferia di Char’kov, in Ucraina, sin dall’infanzia Eduard si riconosce perché è sempre il più piccolo della compagnia, il più magro e quello con gli occhiali più spessi. Tuttavia, sebbene il suo aspetto innocuo, capisce presto qualcosa di importantissimo:
Eduard capisce allora una cosa fondamentale, ossia che ci sono due categorie di persone: quelle che si possono picchiare e quelle che non si possono picchiare, non perché́ siano più̀ forti o meglio allenate, ma perché́ sono pronte a uccidere. È questo il segreto, l’unico, e il bravo piccolo Eduard decide di passare nella seconda categoria: sarà̀ un uomo che nessuno colpisce perché́ tutti sanno che è capace di uccidere.
Così il piccolo Limonov inizia a girare con un coltello sempre in tasca, pronto ad attaccare alla prima offesa. La violenza diventa una degli aspetti che lo definiscono meglio e, anche quando ha ormai raggiunto una vita agiata e non ha più bisogno di lottare per restare a galla, continua a cercarla per sentirsi vivo. Quindi, durante la guerra in Jugoslavia, parte come mercenario e si arruola al fianco di Radovan Karadžić, criminale di guerra serbo. E poi, tornato in patria, fonda il partito Nazionalbolscevico, la cui ideologia è una sintesi tra il nazismo tedesco e il comunismo sovietico.
Limonov di Carrère non è solo il racconto di una vita piena di avventure. È anche un modo per parlare della Russia che cambia. La vita dello scrittore diventa una linea temporale su cui si stagliano i cambiamenti politici e sociali che portano alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e al caos degli anni Novanta. Eduard interpreta questi cambiamenti a modo suo, sposando delle posizioni spesso anacronistiche.
Limonov è sempre in controtendenza, il suo ruolo è quello della voce fuori dal coro in ogni circostanza. Questo si riversa anche nella sua scrittura. I suoi libri, quasi tutti autobiografici, sono scritti sì, per raccontarsi, ma conservano il gusto un po’ futurista per lo scandalo. Limonov vuole farsi ricordare, e per questo sceglie di parlare di sé nel modo più estremo possibile.
C’è una domanda ricorrente quando si parla di arte, e cioè se sia giusto separare l’artista dalla sua opera. Possiamo apprezzare un’opera d’arte anche se il suo autore è una persona dalla dubbia morale? Con Limonov di Emmanuel Carrère, invece, la questione si fa più complicata. La domanda si trasforma in: possiamo apprezzare un libro se il suo protagonista è una persona che va contro ogni nostro ideale? È difficile provare simpatia per Limonov, questo lo si capisce già dalle prime pagine. Fascista praticante, rancoroso e cattivo, è quasi innaturale sentirsi affini a una persona del genere. Ma, allo stesso tempo, con il suo stile lucido, Carrère riesce comunque a innalzare Limonov a eroe letterario, forse più di quanto faccia lo stesso scrittore nei suoi romanzi autobiografici. Dalla lettura di Carrère emerge un Limonov fermo e saldo nei suoi principi, sebbene questi non siano sempre condivisibili; un uomo che ama poche persone, ma visceralmente; una persona fedele, in un modo quasi primordiale, affidabile e generosa. Limonov di Carrère è un libro incredibile, in grado di tenerci incollati alle pagine anche quando il suo protagonista ci appare gretto e deprecabile.
La forza delle avventure di Limonov, comunque, sta proprio nel riuscire a vivere ogni istante della sua vita con violenta e sfrontata passione. Tutto è estremo nella vita di Limonov, ma sempre vissuto appieno, nel bene o nel male.