Le dissonanze cognitive
o sul perché, alle volte, ti sei sentito messo alle strette da te stesso
Era il 1957, nelle radio americane spopolavano le hit di Elvis e Leon Festinger iniziava a parlare della teoria della “dissonanza cognitiva” nell’ambito della psicologia sociale.
Uno dei punti fondamentali di questa teoria consiste nel fatto che, probabilmente, noi esseri umani tendiamo a sentirci a disagio nel momento in cui nella nostra mente si insinua il virus dell’incoerenza. Per rispondere a questo stato di disagio, inoltre, tenderemmo a mettere in atto tutta una serie di manovre cognitive e tutta una serie di comportamenti atti a eliminare questo stato di sospensione, di tensione ineludibile tra due idee, pensieri, opinioni, esperienze riferite alla stessa cosa. Come? Innanzitutto evitando il più possibile di incappare in tutto ciò che può essere ricollegato a quella situazione che ci sta scomoda; in secondo luogo modificando la nostra opinione in merito a essa, in modo da renderla maggiormente malleabile, al fine di giustificare i nostri misfatti.
Di solito le persone si rendono conto che in loro qualcosa non va nel momento in cui le loro azioni non corrispondono a ciò che realmente quelle persone pensano. Alle volte però modificare un comportamento può essere molto difficile, così come può sembrare difficile anche convincersi che la propria idea sia sbagliata.
Esempio innocuo: per qualche tempo ti è capitato di uscire con un certo gruppo di persone. Questo gruppo di persone aveva determinate preferenze musicali, codici di comportamento, modi di fare, locali da frequentare, standard di vita da considerare. Tu eri attaccato a quelle persone, magari non condividevi (esattamente) tutto ciò che dicevano o facevano, tuttavia continuavi a frequentarli con una certa assiduità. Inoltre, nel momento in cui, durante la serata, qualcuno faceva spuntar fuori un discorso per te scomodo, prendevi il volo. All’inizio tentavi di controbattere ma, bastonato, eri costretto a tornare a cuccia. Poi hai provato a distrarti, oppure a dirottare la conversazione verso tasti meno dolenti. Niente. Dopo infiniti quanto vani tentativi di armonizzazione hai deciso infine di cambiare idea. Tentando di conformarti, però, hai sentito una pressione interna crescere sempre di più. Quando parlo di dissonanza cognitiva allora mi riferisco proprio alla sensazione di lotta interna tra ciò che ti obbligavi a fare e quello che invece pensavi fosse giusto fare, ma non solo. Dopo un po’ di settimane passate a dismettere il ruolo di Grande Inquisitore che ti eri guadagnato nella compagnia, probabilmente hai iniziato anche a cercare delle ulteriori giustificazioni al tuo comportamento. “Non mi piace la musica jazz, solo che andare in quel locale dove la mettono su è sicuramente l’unico modo per trovare qualcuno con cui fare amicizia il sabato sera”. La mente si trova a dover scegliere tra l’ammettere di condurre una vita sociale poco soddisfacente, aprendo scenari di solitudine e magari anche di sofferenza e il compiere lo sforzo di rimodellare le proprie convinzioni in maniera più o meno profonda (quel tanto che basta per rendere soddisfacente quello che per te soddisfacente non è). A quel punto bisogna che tu scelga: rimodellare la realtà esterna secondo le tue nuove e probabilmente non molto convincenti vedute oppure riappropriarti delle tue scelte e attraversare sentimenti quali la sconfitta, il senso di colpa e l’abbandono. Sembra proprio che l’essere umano non sia stato programmato per stare in tensione, per rischiare in continuazione il collasso.
Ha detto Francis Scott Fitzgerald: “il banco di prova di un’intelligenza di prim’ordine è la capacità di tenere due idee opposte in mente nello stesso tempo e, insieme, di conservare la capacità di funzionare”. A questo punto possiamo dire di Fitzgerald che fosse una persona in piena armonia con lo spirito dei ruggenti anni venti, ma anche che, in realtà, nessun cervello ha realmente voglia di rimanere nel limbo. Per funzionare bene infatti le cognizioni che abbiamo devono organizzarsi in maniera più leggera, coerente e integrata possibile. Sembrerebbe dunque che per vivere serenamente sia necessario avere ben presente chi siamo, anche e soprattutto attraverso l’armonia tra ciò che pensiamo di essere e ciò che facciamo all’interno del nostro ambiente. Inoltre, nella lotta per l’integrità che instauriamo nel momento in cui costruiamo la nostra omeostasi, una delle cose che conta è l’economia delle risorse cognitive. In questo senso mantenere attive due idee in contrasto tra loro è più difficile che trovare una fragile giustificazione rispetto ai piccoli atti di codardia che consumiamo nei confronti di noi stessi.