Le guerre di Oriana
Una donna incredibile, autoritaria, a tratti misteriosa, mai banale. Una giornalista, una scrittrice, una vera guerriera, viaggiatrice instancabile, anima ribelle in un mondo troppo stretto e ingiusto. Forse non è sufficiente a disegnare l’immagine di Oriana Fallaci, ma questa cornice è sicuramente necessaria per comprenderne la sua natura. Lei che amava l’etichetta di scrittrice nonostante alcuni suoi libri nascano dalla sua esperienza da giornalista e da corrispondente di guerra, a cui piaceva accettare il rischio, raccontarlo, sfiorare la morte e fotografarla con le parole, allestirla in un libro e farne un romanzo. Sin da bambina ha dovuto confrontarsi con l’orrore: la sua Firenze era bombardata e anche la sua vita era sotto assedio, e forse proprio quell’esperienza precoce di ponti distrutti e case dilaniate l’ha spinta a ricercare un senso alla guerra. Come quando parte per il Vietnam e decide dinarrarlo, l’orrore, per poi partorire Niente e così sia: che a leggerlo sembra quasi un diario di un soldato, con la data a tracciare i combattimenti o i bombardamenti sulla collina; che a scriverlo devi essere un soldato, pensare e dormire come lui, vestirne l’uniforme, toglierla ogni sera e ogni sera è come strapparsi “di dosso il disgusto, lo spavento, il dolore”. La sua anima guerriera si mimetizza tra i guerriglieri in Vietnam accettando il ruolo di testimone vivente di un’atrocità indecifrabile, rischiando la vita pur di raccontarla e fare da specchio a chi non è lì, riflettergli le immagini, le narrazioni macabre di chi uccide.
Sembra quasi che la guerra sia una costante nelle sue pagine. Anche quando fa rivivere la vita di Panagulis, politico e rivoluzionario greco recluso in carcere per moltissimo tempo a cui dedica un intero libro, Un Uomo. Anche qui battaglie, torture, orrore. Non di un esercito ma di uno, di un uomo e basta. Delle sue battaglie combattute contro il regime, delle torture per questo subite e dell’orrore passato come conseguenza della difesa dei suoi pensieri, aggravato dalla costanza con cui li difendeva, dalla forza con cui li gridava.
Guerrigliera anche quando si scopre nel suo lato più intimo, la relazione con lo stesso Panagulis, proprio lei che aveva scritto che l’amore non esiste e se esiste è un imbroglio, e che proprio con lui scopre che invece esisteva, e no, non era un imbroglio. Era piuttosto come una malattia, una morbosa malattia di cui poteva elencarne tutti i sintomi a tal punto che “un amore simile non era neanche una malattia, era un cancro” ed era incredibile come si era ridotta per non averlo estirpato prima, quando era ancora “un granellino di sabbia, un chicco di riso”. Ecco una nuova battaglia, tutta personale, paradossalmente contro se stessa e nei suoi sentimenti, un soldato che si era ammalato di quell’amore che voleva combattere usando la carta dell’abbandono: parte per New York, e fugge via. Ci riuscì, ma non per sempre, quel cancro sentimentale lo aveva solo abbandonato, non estirpato. Tanto da ritornare e attaccare più forte, da costringerla a diventare alleata di Alekos, da spingerla a narrarlo, a scrivere Un Uomo. Un libro che canta la vita ribelle di Panagulis, ma nel sottofondo urla anche dell’animo guerriero di una donna che condivide le sue battaglie, mischiandosi nella sua guerra e sfidando insieme il potere: proprio quello che ha sempre cercato di capire e di interrogare. E lo farà nel suo libro Intervista con il potere, da cui emerge tutta l’autorità della Fallaci giornalista, il suo carattere mai banale e le sue domande mai scontate.
E come le sue domande, anche la sua vita non è mai banale, e il suo percorso mai scontato. Quando scopre di essere malata di cancro, capisce che lo spirito guerriero non può nulla di fronte alle dinamiche di quel “mostro”. “La cosa” come lo chiamava. Un animo libero che non accetta i dogmi ed anzi li sfida, dovrà chiamare la resa in una battaglia in cui non si trattava di lottare contro il cancro ideale dell’amore, ma contro quel cancro che le bombardava i polmoni. La sua ultima battaglia combattuta in vita.
Oriana Fallaci è semplicemente un esempio di forza, di una vita vissuta sotto assedio fino all’ultimo respiro. Una guerra con tante battaglie, tante combattute direttamente e tutte narrate con una scrittura sfacciatamente elegante e dannatamente coinvolgente.
Ed è sopratutto un modello di successo, specie per chi è donna, per chi appartiene ad un genere troppo spesso usato come termometro di incapacità e misura di inferiorità. E allora appartenerci a quel genere sembra quasi sfortuna, un fardello da sopportare, un neo nella propria vita che a volte è il segno distintivo per facilitare discriminazioni, e tutto per il solo fatto di esistere. E quando accade sembra di esistere a metà, un’esistenza parziale che la Fallaci però non considera: perché ritagliarsi uno spazio tra uomini in guerra che uccidono e raccontarlo, da interlocutore col potere e interrogarlo, da compagna di un rivoluzionario e supportarlo, da donna malata di cancro e combatterlo, significa che così come lei, si può diventare una donna incredibile, autoritaria, a tratti misteriosa, mai banale, una giornalista, una scrittrice, una vera guerriera, viaggiatrice instancabile, anima ribelle in un mondo troppo stretto e ingiusto.
Qui la sua più grande battaglia, di cui non dismetterà mai l’uniforme da soldato.
Articolo a cura di Giovanni Aversente