L’inconfessabile Egon
vizio su tela
Sulla città di Vienna, all’alba del Novecento, splende una luce differente e ambigua, che affascina e intimorisce, una luce che proviene da due grandi pulsioni che sorgono dalle tenebre e passano dal nascondiglio dell’inconscio alla bocca di tutti: Eros e Thanatos, vita e morte.
Dalle pagine dense della letteratura alle tele volitive dell’arte, le pulsioni irrompono e scuotono la calma apparente dell’Ottocento.
Basti pensare alla Giuditta di Klimt, opera paradigmatica. Vita e morte combaciano e si fondono accorpati. Lei, ritratto della soddisfazione e della goduria nei tratti duri del volto, tiene tra le mani la testa mozzata e di Oloferne, colui che nella leggenda aveva osato sfidare il suo potere.
Grande allievo e amico di Klimt è Egon Schiele. Un giovane problematico, sicuramente conserva un bagaglio ingombrante ed imponente del passato, e tutto questo emerge, con forza, nei suoi ritratti.
Nel corso della sua lunga e travagliata esperienza artistica la prima musa è la sua giovane sorella, troppo giovane in effetti, morbosamente giovane.
L’accusa mossa a Schiele non è solo quella di produrre un’arte il cui confine con la pornografia risulta pericolosamente labile, il dito viene puntato con decisione anche contro quella che sarà un’imputazione ben più grave e difficile da lavare, quella della pedofilia.
Le donne di Schiele, disegnate con tratto nervoso, ossute, intense, tortuose, bisognose nei loro languidi e terrificanti sguardi, sono molto spesso ragazzine al limite con l’infanzia, ritratte in pose dalla provocazione altisonante e sgraziata.
Schiele è accusato da un certo Von Mosig, ufficiale della marina in pensione, di aver sedotto sua figlia Tatjana Georgette Anna, non ancora quattordicenne.
Egon Schiele fu arrestato; nel corso delle pagine del suo diario scriverà: «Non mi sento punito! Mi sento purificato».
Le avvisaglie per una possibile mente in qualche maniera traviata al di là dell’opera d’arte che osserviamo in effetti erano riscontrabili da tempo, mai probabilmente in questa misura ad ogni modo.
Quando sentiamo, leggiamo, vicende simili però, una sola questione sono in grado di pormi: ho osservato, amato, per tanti anni quest’arte, senza conoscere chi fosse realmente l’artista, perciò chissà, è possibile prescindere l’esperienza personale del fautore dall’opera d’arte?
Non sono in grado di rispondere a questa domanda, non lo sono oggi come probabilmente non lo sarò mai, eppure credo che l’arte, attraverso tutte le straordinarie sfumature di cui essa si compone, sia innanzitutto comunicazione. Non so chi fosse Egon Schiele, forse non lo saprò mai, eppure di fronte alle sue tele non sono in grado di provare alcun tipo di freddezza.