Jenny Bertoldo
pubblicato 5 anni fa in Letteratura

Manzoni, Verga: visioni e rappresentazioni della storia

Manzoni, Verga: visioni e rappresentazioni della storia

Paragonando due autori così distanti geograficamente e culturalmente come Verga e Manzoni si rilevano comuni delusioni e incertezze nella società italiana dell’epoca, nonostante le differenti ideologie e correnti dei due. Intellettuale di enorme cultura, Manzoni proprio in quest’ultima vede la chiave per la costruzione di un popolo italiano: essa soltanto può compensare l’assenza di una storia e di una politica unitaria.

Sarà anche questa necessità di creare una comune identità a condurre Manzoni ad indagare sempre di più le ragioni e le possibilità della Storia. Il Romanticismo stesso in Europa pone una nuova attenzione verso la dimensione storica e il genere del romanzo storico si impone, soprattutto grazie al successo di Ivanhoe di Walter Scott. Tuttavia la forma romanzata viene accusata di scarsa veridicità. Tale critica sarà tuttavia surclassata  dallo scrittore milanese, che nel saggio Del romanzo storico ( iniziato nel 1829 ma pubblicato solo nel 1850) giunge a teorizzare la Storia come uno scarno simulacro (“la carcassa di una bestia che è stata divorata dal tempo”) non assumibile come verità assoluta e che dunque necessita dell’invenzione del poeta che deve restituire un contesto ed un quadro globale ai fatti per ridargli vita.

Dalla corrente romantica Manzoni trae anche il proprio Idealismo: egli vede nella riscoperta dei valori dell’Illuminismo una possibile azione di miglioramento e perfettibilità, che va però accompagnata al concetto di edificazione morale del Cristianesimo.

Mettere in atto i concetti dell’Idealismo romantico significa soprattutto fare entrare la “piccola gente” nelle narrazioni della Grande Storia. Con l’avvento della filosofia rousseauiana  e della riflessione sulla coscienza individuale si presuppone per la prima volta l’esistenza di un Io psicologico e soggetto pensante che dunque trascenderebbe la classe sociale. Ogni singolo individuo avrebbe allora uguale importanza e partecipazione al processo storico. Queste idee, inaccessibili al popolo analfabeta, giungono però agli intellettuali e saranno riprese in epoca romantica. Manzoni, cosciente che la storia era fino ad allora costituita solo da grandi narrazioni, ambisce invece ad andare alla ricerca del vero storico, che dunque sarebbe rappresentato piuttosto dalle classi umili sempre adombrate. L’autore è però cosciente dell’utopia del progetto: la verità e oggettività storica non è realizzabile, ma si possono presentare diversi punti di vista per cercare di fornire una più ampia visione dei fatti. E infatti egli non tralascerà di inserire un proprio commento e punto di vista a fatti e personaggi, con lo scopo di fornire al nuovo popolo una morale edificante (sempre in chiave cattolica).

Manzoni giudica, osserva dall’esterno i propri personaggi, si fa narratore onnisciente, come spiega Giulio Ferroni, (Il Romanticismo e Manzoni: Restaurazione e Risorgimento (1815-1861), in Giulio Ferroni, Andrea Cortellessa, Italo Pantani e Silvia Tatti (a cura di), Storia della Letteratura Italiana, vol. 10, Mondadori, 2006): «la voce che narra distingue nettamente se stessa dai personaggi, dalle loro azioni, dalla realtà rappresentata, ne conosce dall’esterno i caratteri, gli aspetti centrali, le motivazioni più interne, fruendo di uno sguardo “centrale” che pare avere l’ampiezza di uno sguardo divino».

Se per l’autore milanese questo consente di fornire sempre la “buona morale” pur senza rinunciare al vero storico (in linea col proprio realismo romantico),  per Verga invece sarà necessario cercare una dimensione “scientifica” della letteratura. Il narratore verghiano non ha la pretesa dell’onniscienza ma piuttosto quella di una assoluta oggettività, rifacendosi al Naturalismo francese e a sua volta alla filosofia positivista, che pone fede soltanto nella logica delle relazioni causa-effetto. Per andare incontro a questo “eclissamento” del narratore, questi assume gli stessi termini, la stessa sintassi, la stessa visione dei personaggi. La focalizzazione si fa così interna al punto che tutti gli strumenti descrittivi appartengono all’ambiente e alla cultura siciliana. L’ambizione di oggettività si riflette anche sulla rappresentazione dei personaggi stessi: ne viene studiato solo il comportamento, ciò che è tangibile, ciò che si potrebbe fotografare, e non la psicologia o il pensiero. Tuttavia questa pretesa oggettività non sarà realizzabile nemmeno in Verga: inevitabilmente l’autore sceglie sempre una “porzione” della realtà e un ordine nella descrizione. Infatti nonostante la fiducia nel rapporto di causa-effetto tipico del determinismo genetico cui si rifanno gli scrittori naturalisti, essi comunque giudicano dall’alto una classe sociale (sottoproletaria) a cui non appartengono.

Introducendo il discorso indiretto libero (ne sarà il maggiore esempio della letteratura italiana) Verga consente di mescolare alla voce del personaggio la propria, in modo impercettibile: i suoi personaggi si fanno portavoce delle medesime speranze deluse del narratore, racchiudendo così quelle dell’intero popolo meridionale. Un pessimismo dunque radicato, ormai insito profondamente nella visione Verista: a differenza del Naturalismo il movimento italiano nega anche un possibile influsso della letteratura sulla realtà. Il determinismo genetico agisce, secondo l’autore siciliano, in maniera così potente da non lasciare alcuna opportunità di riscatto sociale: si pensi a ‘Ntoni de I Malavoglia, che a causa del suo tentativo di cambiamento si troverà infine perduto e vinto. È questo “l’ideale dell’ostrica”, che ancora una volta rappresenta tutta una storia di delusioni e sconfitte per il Meridione.

Resta dunque da chiedersi cosa abbia spinto Verga a ritrarre le classi più umili se, a differenza di Manzoni, egli non mira ad alcuna morale edificante. Già nel 1885 Capuana sostiene che sia meglio ritrarre le classi umili “dove ancora non c’è stata omologazione alla modernità”. Verga successivamente sosterrà che nei ceti bassi, e soprattutto nell’ancestrale Sicilia il “meccanismo delle passioni” sia ancora ad uno stato primordiale e dunque più semplice nella sua rappresentazione.

Infine, appare evidente come i due autori sebbene con intenzioni molto diverse e filosofie distanti, rappresentino una situazione analoga di delusioni e ingiustizie presenti nel nascente Stato italiano: entrambi gli autori scelgono però di ritrarlo a partire dal basso, dai ceti dimenticati, in un’ottica che vede la Storia protagonista, una storia che necessita di essere ridimensionata e di includere quella visuale che le “grandi narrazioni” miravano ad escludere per sempre.

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