Nikola Tesla
un eccentrico rivoluzionario
L’uomo fuori dal tempo. L’uomo che ha inventato il ventesimo secolo. Il Signore del mondo. Il Dio del fulmine.
Tanti appellativi m’han dato, eppure io rimango sempre il solito Nìkola; quello che da bambino era troppo alto, con le braccia troppo lunghe, con i capelli troppo ricci, il naso troppo aquilino ed i voti scolastici troppo alti. A New York ero quello troppo elegante, troppo presuntuoso, troppo poco interessato ai soldi e troppo antipatico per una cena informale fra amici.
Sono colui che ha scoperto il campo magnetico rotante ma il cui brevetto è stato assegnato a Galileo Ferraris. Sono colui che ha progettato e realizzato il primo motore ad induzione magnetica ma che ha stracciato il contratto che lo avrebbe reso miliardario.
Sono colui che nel 1898, utilizzando il primo comando radio, ha pilotato a distanza un piccolo sottomarino ma che è stato accusato di averci infilato dentro una scimmia ammaestrata.
Sono colui che ha trasmesso il primo segnale radio ma che ha dovuto vedere Guglielmo Marconi vincere un nobel per il medesimo merito.
Chi sono in realtà? Sono un moderno Prometeo che ha amato l’umanità più di quanto meritasse di essere amata.
[In foto Tesla con in mano una lampadina, accesa senza connessione ad alcun cavo]
C’è una curiosa storia sulla mia nascita; una storia che non posso confermare ma che, mio malgrado, non posso neanche smentire. È una storia che mio zio Petar mi raccontava spesso durante le nostre lunghe escursioni sul caro vecchio monte Krčmar. Mi diceva che il giorno della mia nascita, il 10 luglio 1856, un insolito e violento temporale si abbatté su Smijan, la mia cittadina di nascita, e un fulmine squarciò il cielo nel medesimo istante in cui mia madre mi mise al mondo.
“È figlio del fulmine!” urlò la levatrice.
“No, è figlio della luce!” replicò mia madre.
Thomas Edison, tuttavia, mi darebbe ben altra maternità. La medesima che io, intimamente, conferirei a Marconi.
E, proprio come un fulmine, la mia vita ha attraversato quasi un secolo di storia umana. Dalla Croazia all’Ungheria, dall’Austria alla Slovenia, dalla Francia agli Stati Uniti. Ho imparato lingue, memorizzato libri interi, conosciuto nomi grandi di uomini piccoli e grandi uomini dal nome misconosciuto. Ho pranzato con Lord Kelvin e con il presidente Roosevelt, sono apparso sulla copertina del Times ed ho utilizzato Mark Twain come cavia per i miei esperimenti. Ho plasmato il futuro e l’ho visto bruciare fra le fiamme che qualcuno appiccò al mio laboratorio. Anche io mi sono bruciato ma solo alla fine, solo dopo aver lottato fino allo stremo, fino a venir considerato irrimediabilmente pazzo.
In foto Mark Twain collabora ad un esperimento di Nikola Tesla
Sol ora, a 72 anni dalla mia morte, posso ripercorrere la mia vita con un sorriso che, tuttavia, lascia trapelare una certa amarezza. L’amarezza di essere un nome sbiadito nell’enciclopedia della scienza, l’amarezza dell’osservare il mondo perire per mano degli stessi che fecero di me un martire. L’amarezza di vedere il mio nome accostato a pseudo pratiche assai lontane dalla mia amata scienza.
Eppure, nel silenzio del sottobosco scientifico, qualcuno ha ripreso a remare dalla mia parte. Il mio nome, in un tempo in cui lo spreco è cappio mortale dell’umanità, è tornato in sordina, come una eco da un tempo lontano per spiegare che forse il progresso può sposarsi con Madre Natura.
E sia, dunque.
Che Elon Musk, mio pupillo, con la sua Tesla Motors, tracci il solco per un nuovo modo di colmare le distanze. Che le aziende di apparecchi mobili sperimentino la trasmissione wireless dell’energia. Che il nucleare, geniale cancro del mondo, lasci il posto all’innocuo reattore che naviga quotidianamente nei nostri cieli. Che il futuro sia finalmente MIO!