Raffaello e la Fornarina
Un’opera controversa, enigmatica e che ancora oggi non sembra aver espresso tutto ciò che ha da dire. La Fornarina di Raffaello, dipinto datato 1518-1519 e conservato oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma, rappresenta la sensualità di una donna, forse amante del pittore. Questa indossa un turbante in seta dorata, un velo trasparente che lascia scoperto il seno, e un manto rosso.
Un’opera va colta nei suoi minimi dettagli, a partire dai quali è possibile ricostruire la sua genesi. Innanzitutto la questione dell’anello: nella versione originale dell’opera questo compare al dito della donna. In seguito è stato cancellato, probabilmente dall’allievo di Raffaello Giulio Romano, per paura della reazione del committente Agostino Chigi, zio di Maria Bibbiena, la promessa sposa dell’artista.
L’ornamento al braccio sinistro della donna rivela forse una relazione d’amore avuta con Raffaello (evidente la scritta «Raphael Urbinas»). Il poeta romantico Aleardo Aleardi nel canto Raffaello e la Fornarina (1853) racconta il primo incontro tra i due e le intense emozioni provate dal pittore urbinate:
Il sapiente sguardo
indagator de la beltade affisse
il cavaliero lungamente in quella
grazia di Dio: notando la superba
leggiadria de le forme, e il crine, e il labro
tumidetto e le molli ombre e la varia
ingenuità de le virginee pose.
Ond’ei fu vinto. A rotti balzi il core
batteagli: il fiume, gli alberi, le mura
gli giravano intorno a le pupille
vertiginose: lo feria di cento
squille indistinte un tintinnire, e l’alma
tremolando gli ardea, quasi fiammella
al vento. Alfine si riscosse, e disse
involontariamente «o Fornarina!».
La storia d’amore (non ancora del tutto accertata) tra Raffaello e la Fornarina ha ispirato diversi artisti. Tra questi, ricordiamo il francese Jean-Auguste-Dominique Ingres e il milanese Federico Faruffini. Il primo nel 1814 rappresenta i due abbracciati in un interno tipicamente rinascimentale. Raffaello volge lo sguardo all’indietro verso il dipinto sul cavalletto che ritrae la donna, la Fornarina invece verso l’osservatore.
Dettaglio di non poco conto la presenza sullo sfondo dell’opera La madonna della Seggiola (1513-1514). Nel suggestivo dipinto di Faruffini del 1857 i due giovani sono l’uno accanto all’altro, seduti su una roccia. Raffaello ha tra le mani la tela e guarda la donna, quest’ultima la osserva. Alle spalle dei personaggi un paesaggio magico di rovine antiche. Il dipinto è pura esaltazione del cromatismo, tipica caratteristica della Scapigliatura lombarda.
Su questa relazione si incentra anche il romanzo del 2017 Guardami negli occhi di Giovanni Montanaro, edito da Feltrinelli. L’autore sceglie di percorrere la strada meno incerta e più romantica, ovvero quella che identifica la protagonista dell’opera di Raffaello con Margherita Luti, figlia di un fornaio senese (da qui l’appellativo Fornarina) e trasferita a Roma. Seguendo questa accreditata ipotesi, sarebbe più facile attribuire il nome di Margherita Luti anche alla protagonista del dipinto La velata (1516), semplicemente per un’evidente somiglianza fisionomica.
Montanaro gestisce il tutto con grande originalità e capacità di sintesi. L’autore, infatti, entra direttamente nel cuore della questione senza il bisogno di preamboli. Non si riscontra nel romanzo una linearità temporale, una successione cronologica degli eventi.
Guardami negli occhi è un’altalena di sensazioni, così è chiaro fin da subito il punto di vista della Fornarina. Come una vera autobiografia ricca di flashback, il romanzo mette in luce allo stesso tempo la forte passione che contraddistingue i due amanti e il senso di abbandono avvertito dalla donna nel convento di Sant’Apollonia, in seguito alla morte del pittore urbinate. L’emotività riprodotta in Guardami negli occhi è a dir poco autentica. Questo perché volutamente Montanaro ha ripercorso i luoghi principali che hanno caratterizzato la vita di Margherita Luti.
Questa vera e propria inchiesta condotta dall’autore ha permesso di capire la natura del rapporto tra Raffaello e Ghita: un legame clandestino, lontano dalle convenzioni per l’appartenenza a due ceti sociali opposti. Ma, nonostante questo, una passione travolgente che testimonia il bisogno reciproco, il non poter vivere senza il sostegno dell’altro. In termini artistici, questo si traduce nella volontà dell’artista di inserire la donna in molte sue opere, anche sotto vesti completamente differenti tra loro:
Senza di me non riusciva a dipingere. Io ero ogni volto che gli serviva, ogni donna che lui voleva. Ero tutta la bellezza, tutto l’amore, ogni notte e ogni aurora. Potevo diventare un angelo e una vecchia, un tavolo e il vetro di una finestra, un’arancia e una foglia. C’ero sempre io nei suoi dipinti.