There will be blood – Il rifiuto dell’altro

"Il petroliere" (2007) di Anderson

There will be blood – Il rifiuto dell’altro

There will be blood è stato riconosciuto come uno dei film più importanti del XXI secolo. L’impressione che se ne riceve, anche alla prima visione, è di una grandezza che lascia senza fiato. Ciò è dovuto in parte alla maestria registica di Paul Thomas Anderson e alla profondità dell’analisi dello spirito del capitalismo americano che ne riesce. Ma è l’uomo protagonista, il petroliere Daniel Plainview, che ha qualcosa di universale, o meglio di epocale, da mostrare allo spettatore. È la natura del desiderio di Daniel Plainview nella relazione con l’altro a costituire il discorso centrale del film, nonché il suo geniale valore.

Daniel Plainview concepisce l’altro da sé in due modalità, antitetiche e inconciliabili: come estensione di sé (sua proprietà) o come rivale. Tale manicheismo dipende dall’ingestibilità del suo desiderio, vorace e anzi insaziabile, nel cui dominio ogni condivisione con l’altro è inimmaginabile (“Perché questo non è mio?“).

L’altro o mi appartiene, o mi è rivale nel desiderio. “Conosci l’invidia?“, chiede Plainview al fratello fasullo, in una scena di capitale importanza; “Io sento la competizione in me. Io non voglio che gli altri riescano“. L’altro appare solo come rivale da annientare, sacca di sangue da vuotare. Il capitale è lo strumento a un tempo dell’affermazione di sé nella competizione e dell’allontanamento dello scandalo costituito dall’esistenza d’altri: “Voglio guadagnare così tanto da poter stare lontano da tutti“.

Il desiderio di Plainview è manifestamente rivalitario e mimetico. Si nutre della mediazione dell’altro nel grande campo di battaglia che è il libero mercato americano, ed è da questa mediazione sopraffatto nel momento del confronto con i rivali. Si riveda una delle ultime scene del film, nella quale Plainview, al ristorante, ingaggia i petrolieri suoi concorrenti, e la si confronti con il comportamento dell’uomo del sottosuolo di Dostoevskij, combattuto tra indifferenza e coinvolgimento alla cena con gli ex compagni.

Se non è rivale, l’altro è sua proprietà o estensione, si è detto. È questa la strada che Plainview vuol far percorrere al figlio, avviato alla sua stessa professione (lo porta a tutte le trattative) e istigato a seguire in tutto le orme del padre (costretto a bere alcool fin da neonato). Quando il figlio “si altera“, diventando sordo, interrompendo la comunicazione e i termini dell’identificazione col padre, Plainview se ne libera come di una cosa ingombrante e aliena. Un nuovo mini-me viene a rimpiazzare il figlio alterato e perduto: è il fratellastro arrivato dal nulla, nel quale fin da subito Plainview sogna il compimento dell’identificazione rassicurante dell’altro a sé (“Se è in me, è anche in te“, dice del desiderio rivalitario, rivolgendosi al fratellastro nella già citata scena capitale).

Il figlio, nuovamente candidato alla successione identitaria dopo che il fratellastro si è scoperto truffatore, sancirà la definitiva rottura nel momento in cui, già adulto, lascerà l’azienda paterna per costruire la propria, scandalizzando oltre ogni misura il padre, compiendo il salto da altro-come-clone a altro-come-rivale che nella visione di Plainview costituisce un sovvertimento imperdonabile dell’ordine (da lui) costituito. “Non c’è niente di me, in te!” grida Plainview, all’apice dello scandalo, in un delirio di reciprocità rifiutante.

L’altro come rivale, si è detto, è il peggior fantasma di Plainview. Il denaro non è che un mezzo per esorcizzarne la presenza, perché sancisce una distanza incolmabile tra vincitori e vinti, nell’America del capitale. Plainview non sospetta che, in regime di mediazione interna, le occasioni di ingaggio rivalitario si moltiplichino al di là di ogni calcolante buon senso.

È quello che succede con il predicatore Eli, che gli si propone come rivale e aspirante discepolo. Eli in apparenza non ha nulla in comune con Plainview: l’uno aspirante predicatore, l’altro petroliere affermato. Eppure, se si guarda oltre la fatticità delle rispettive vocazioni, si riconoscerà facilmente in entrambi lo stesso spirito rivalitario, il desiderio di affermazione di sé, l’individualismo americano e borghese tradotto nei campi della spiritualità e della libera impresa. È questa identità sotterranea che permette a Eli di riconoscere in Plainview un modello, e che lo porta a domandargli un riconoscimento ufficiale, quando vorrebbe benedire il nuovo pozzo alla presenza dei compaesani. Solo che Plainview rifiuta la relazione di maestria: allontana il discepolo, ne ignora il desiderio, umiliandone l’ambizione, trascurando di fargli benedire il pozzo e di effettuare la donazione pattuita.

Plainview è terrorizzato dalla vicinanza rivalitaria che Eli gli propone: essergli maestro nell’affermazione di sé vorrebbe dire porsi sullo stesso piano di Eli, lasciarlo avvicinare con tutto il pericolo che il suo desiderio e la sua alterità ingestibile comportano. Eli però insiste a domandare riconoscimento. Plainview, esasperato, lo schiaffeggia e lo getta nel fango.

La natura mimetica del rapporto di Eli con Plainview appare con una chiarezza abbagliante nella scena immediatamente successiva a quella dell’umiliazione nel fango, quando Eli aggredisce il proprio padre replicando gli stessi gesti che Plainview ha utilizzato su di lui poco prima.

Nella scena del battesimo è invece Plainview a dover subire un’umiliante ordalia da parte di Eli. Questa rappresenta l’unico momento di tutta la vita di Plainview in cui l’altro-rivale è riuscito a sopraffarlo, imponendogli il proprio campo da gioco (la spiritualità) e un’umiliazione inattesa. Il prezzo di questa misera vittoria sarà la vita dell’offensore Eli.

Molti anni dopo l’offesa, un Plainview alcoolizzato e vincitore su tutti i fronti della lotta per il capitale – alcoolizzato perché vincitore, perché ormai privato della competizione rivalitaria che costituiva, suo malgrado, il motore del suo desiderio – riceve nella sua immensa magione un Eli umiliato e disarmato, che tenta ancora la via della mediazione, e cerca vanamente di riacquistare una posizione di parigrado con Plainview sul piano degli affari, proponendogli l’acquisto di una concessione di scarso valore.

La bestia Plainview gioca con la preda venuta spontaneamente nella sua tana: lo costringe a umiliarsi, ammettendo di essere un falso profeta, analogamente a come Eli, anni prima, l’aveva costretto ad ammettere di aver abbandonato il figlio. Un Eli piagnucolante è costretto ad aprire gli occhi sul significato della sua relazione con Plainview e sulla natura del suo desiderio dalle parole del suo stesso carnefice, che evocano anche il fantasma del primo rivale, il fratello Paul – non a caso gemello. “Tu non sei il fratello eletto, Eli. Era Paul, l’eletto. Ho fatto quello che non poteva fare lui, Eli: ti ho umiliato e ti ho abbattuto“. L’umiliazione definitiva del discepolo passa dall’evocazione dello scandalo originario, il gemello-rivale, che nella prima parte del film aveva svolto il ruolo di mediatore classico tra Eli e Plainview, avvicinando i due personaggi. “Paul ha una sua impresa, ora: tre pozzi produttivi, cinquemila dollari a settimana“. E Eli, invece?

L’identità vocazionale di Plainview e Paul (entrambi petrolieri più e meno affermati) è solo ulteriore motivo di scandalo: il campo da gioco dei vincitori è quello del libero mercato, non quello della spiritualità fervente – almeno nel XX secolo. Eli voleva la luce dell’elezione di Dio, ma nell’Occidente del capitale e della mediazione interna un dio minuscolo è sceso sulla terra, ed è il mio prossimo: egli distribuisce la luce e l’elezione, forte della sua immaginaria pienezza metafisica. La luce di Plainview, dio di fantasmi e di demoni, non ha raggiunto Eli: egli è “solo la placenta“, la schiuma della terra espulsa e maledetta dal regno demoniaco della mediazione interna. Daniel Plainview, al contrario, è la “Terza Rivelazione“, “perché sono più bravo di te, perché sono più abile di te“. Perché ha soffocato l’altro e il suo scandalo nel fango del proprio trionfo.

Eli è ucciso a colpi di palle e birilli da bowling, tra il comico e il tragico, senza nessun’altra motivazione fuorché il desiderio di annientare definitivamente l’istanza d’altri. Seduto accanto al cadavere di Eli, Plainview annuncia al maggiordomo appena sopraggiunto: “Ho finito“. Sulla parabola del desiderio di Daniel Plainview non c’è altro da aggiungere.

Articolo a cura di Mattia Carbone


Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Delle cose nascoste , un blog che dalle idee di René Girard cerca di dare una nuova chiave di lettura sia della società che dei suoi prodotti culturali. Abbiamo voluto pubblicare questa rubrica perché crediamo che il pensiero di questo studioso, un intellettuale sorprendente che ha dato un contributo originale nei campi di studio più disparati (si spazia dalla letteratura all’antropologia, dalla sociologia alla storia delle religioni) sia di fondamentale importanza per coltivare una visione critica sul mondo, soprattutto sulla nostra contemporaneità.

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