Francesca Belfiore
pubblicato 2 anni fa in L'angolo russo

“Vi avverto che vivo per l’ultima volta” di Paolo Nori

“Vi avverto che vivo per l’ultima volta” di Paolo Nori

Era diventato tutto leggero e era stato chiarissimo, non avevo più dubbi: avrei studiato il russo per il resto della mia vita.

Un incontro con un testo, una lettura possono cambiare la nostra traiettoria e guidarci verso una scelta particolare. Così è stato per Paolo Nori: sono state infatti le poesie di Anna Achmatova a indirizzarlo verso una vita da russista. E, se si è mai letto qualche verso di Achmatova, il motivo appare chiaro. Anche io ricordo ancora il giorno in cui mi sono imbattuta nei suoi versi, più precisamente, in Requiem. L’urlo straziato e silenzioso di una madre che ogni giorno aspetta in fila fuori dal carcere di San Pietroburgo per avere notizie del figlio, insieme a un popolo di madri come lei. Da quel momento, è stato un continuo stupirsi.

Vi avverto che vivo per l’ultima volta è l’ultimo libro di Paolo Nori, pubblicato da Mondadori a febbraio. Il libro racconta la vita della poeta russa, ma definirlo una semplice biografia sarebbe riduttivo, oltre che sbagliato. Infatti, già dalla prima pagina si inseriscono altri parallelismi e le vite di Achmatova e dello scrittore iniziano a incrociarsi, si alternano nei brevissimi capitoli che vanno avanti e indietro nel tempo senza seguire un ordine cronologico, ma un ordine logico che poi appare evidente durante la lettura. Questo perché, mentre Nori scrive di Achmatova e della sua vita difficile, capisce che: «man mano che andavo avanti, mi sembrava sempre di più che gli anni che stiamo vivendo assomigliassero agli anni che ha vissuto Anna Achmatova.»

Anna Achmatova ha avuto una vita infelice, nonostante la sua prima infanzia avrebbe potuto suggerire il contrario. Nata a Bol’šoj Fontan, nei pressi di Odessa, e trasferitasi poi a Carskoe Selo, vicino San Pietroburgo, inizia presto a scrivere poesie, opponendosi al padre che non voleva che il nome di famiglia venisse macchiato da attività così indecenti. E allora Anna Andreevna Gorenko, invece di rinunciare alla poesia, rinuncia al suo cognome. Decide di firmarsi con lo pseudonimo Achmatova, il cognome di una sua antenata materna, forse una principessa tatara. Grazie ad una voce poetica cristallina e potente, per alcuni troppo femminile, le sue poesie iniziano a circolare sempre di più e la sua fama cresce, ma lei rifiuta di farsi chiamare poetessa. Lei è un poeta, come tutti i suoi colleghi uomini.

Capisco – diceva – che ci debbano essere i bagni maschili e quelli femminili, in letteratura però no, non funziona così.

E forse è anche più brava. Infatti, il suo primo marito – Nikolaj Gumilëv, poeta anche lui – si risente parecchio quando altri, scherzando, dicono che non è la moglie a dover prendere il suo cognome, ma lui a doversi chiamare Achmatov.

E l’Achmatova, molto di più, mi sembra che non fosse moglie di nessuno. Cioè è stata, moglie di qualcuno, ma non era lei, a essere la moglie di quelli lì: erano loro, che erano i mariti dell’Achmatova.

La poesia è una costante della vita di Achmatova, che anche nei momenti più bui non riesce a smettere di comporre versi. E siccome a un certo punto non può più scrivere, dato che è stata espulsa dall’Unione degli scrittori e i suoi versi sono impubblicabili, le poesie vengono recitate alle amiche, che le imparano a memoria. È solo così che noi oggi riusciamo a leggere un’opera come Requiem.

Quindi cosa c’entra la vita di Nori e cosa c’entriamo noi, che veniamo associati alla poeta nel sottotitolo, Noi e Anna Achmatova? In questo romanzo, la biografia di Achmatova diventa la chiave di lettura della nostra epoca. Il libro viene scritto tra il 2021 e il 2022, proprio durante lo scoppio della guerra in Ucraina. Ecco che gli eventi del presente irrompono e si sovrappongono a quelli del passato. Nori stesso è stato protagonista di una questione che ha avuto molta risonanza mediatica: subito dopo lo scoppio della guerra, il suo ciclo di lezioni sui romanzi di Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano è stato sospeso, perché considerato poco consono al periodo. Nori racconta anche del viaggio intrapreso in Russia nello stesso periodo, delle parole scambiate sottovoce, dei net vojne scritti piccoli piccoli sui muri. Queste pagine si trasformano quindi anche in un luogo per riflettere sulla condizione dell’intellettuale, sul potere della letteratura, sul futuro di una società che – come è stato in passato – si sta di nuovo abituando a convivere con la guerra. Come la poeta era ridotta al silenzio da un potere che non approvava la sua voce, così oggi tutti coloro che provano ad azzardare un “no” si trovano ad affrontare terribili conseguenze. Ma in un mondo che ormai è altamente polarizzato e vede tutto o bianco o nero, Paolo Nori ritrova il concetto del grigio, perché la realtà è un po’ più complicata e chiedere a degli intellettuali di schierarsi senza alcuna riflessione critica non è la presa di posizione che si crede.

Vi avverto che vivo per l’ultima volta è una lettura che scorre rapida, e che invita alla riflessione, soprattutto una volta arrivati alla fine. È sicuramente un libro per far scoprire Anna Achmatova al pubblico italiano, che di rado la conosce, ma è anche un’acuta analisi di ciò che eravamo e stiamo diventando. Una cosa è certa, però: nonostante le guerre e la censura, la letteratura non può essere fermata e questo la vita di Anna Achmatova ce lo dimostra.