***/***** voci russe contro la guerra
Quale memoria è ancora possibile dopo il 24 febbraio 2022?
Tutti noi ieri siamo diventati diversi.
Ivan Platonov
Dopo la selvaggia invasione dell’Ucraina del 24 febbraio scorso, in molti sono tornati con il pensiero alle parole di Adorno: «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie»; dopo Auschwitz «non ci si può più immaginare un’arte serena».
Un’arte serena non se la possono immaginare nemmeno i poeti e le poete che hanno contribuito alla crestomazia ***/***** voci russe contro la guerra, curata e tradotta da Mario Caramitti e Massimo Maurizio per la collana petuШki dell’Università degli Studi di Torino (il testo è consultabile e scaricabile gratuitamente). L’antologia raccoglie i contributi di alcune delle voci più importanti della letteratura russa contemporanea – da Marija Stepanova (una delle poete più affermate degli ultimi anni) a Lev Rubinštejn (poeta tra i fondatori del Concettualismo moscovita) – nel grido collettivo contro gli atroci avvenimenti del 24 febbraio.
Gli intellettuali a favore dell’invasione non sono molti ma le loro dichiarazioni risuonano in tutta la loro fredda brutalità: basti pensare alle deliranti parole di Zachar Prilepin (già combattente nella seconda guerra cecena e di nuovo in prima fila dalla parte filorussa in Crimea nel 2014) che inneggia alla “liberazione” dell’Ucraina, oppure alle farneticazioni del regista Karen Šachnazarov sulle pene da infliggere agli oppositori della lettera Z.
Dopo il 24 febbraio 2022 sono state numerose le proteste contro l’invasione dell’Ucraina, tutte represse con la violenza. Giovani e anziani hanno protestato pacificamente contro una guerra non loro, con cori o semplici cartelli, anche soltanto bianchi, cercando di far sentire la propria voce. Proprio a questi cartelli, che spesso recavano solo degli asterischi (*** *****) a significare il grido «Net vojne» (No alla guerra), fa riferimento il titolo del volume.
Accanto ai nomi più celebri, troviamo anche autori anonimi o pseudonimi. Ricordiamo infatti che gli autori e le autrici, manifestando il proprio dissenso (come chi è sceso in piazza), rischiano pene fino a quindici anni di carcere per diffamazione delle forze armate (e quindi della fantomatica “operazione speciale”) o per una non meglio precisata “apologia del nazismo”; naturalmente tutte espressioni di comodo per introdurre una nuova censura.
Secondo il sito russo indipendente OVD-Info sono circa 16.334 le persone attualmente detenute per aver espresso posizioni contro la guerra dal 24 febbraio 2022. È difficile dunque non ripensare alle forme della dissidenza, al samizadat e al tamizdat, ai processi degli anni Sessanta, alle proteste in piazza Puškin, alla Chronika tekuščich sobytij:
È stata la manifestazione più strana della mia vita. Con gli altri non ci siamo detti nemmeno una parola. E a maggior ragione non abbiamo gridato nemmeno uno slogan, non abbiamo spiegato nemmeno uno striscione. Soltanto una ragazza aveva una pezza rossa legata allo zaino, con sopra scritto «Perché sono a lutto? È il funerale della libertà di parola». Sul davanti della giacca aveva dei piccoli pezzi di stoffa altrettanto provocatori: «Basta lacrime» e «basta sangue». L’avrebbero presa per prima, ovviamente.
Anonimo
Il volume è una selezione di voci interne – rimaste in Russia o fuggite all’estero – ed è proprio questo elemento soggettivo, legato con un filo indissolubile e ormai sporcato di vergogna a quello collettivo e universale della nazione sorella aggredita e tradita, ad affiorare da queste pagine piene di disperazione e rabbia.
VERSI DEL TEMPO DI GUERRA
Di qua balle
di là palle
tu quoque, Brute fratello
anche tu talpa cieca
duce di blatte
il mondo prega
che tu schiatti
[…]
Nonni e bisnonni
hanno fatto una bella casetta
granello su granello,
con tanti ninnoli, gingilli,
scodelle, crespelle
cestelli, ceselli, cavilli dottrinali.
Arriva uno stivale e la schiaccia.
Vera Pavlova
I diversi testi scaturiscono da un bisogno: squarciare il silenzio complice della barbarie e contrastare l’afasia nella quale le voci poetiche sono sprofondate alla vista del sanguinoso fratricidio in terra ucraina. Tema ricorrente dei vari componimenti è infatti il senso di vergogna provato da chi si è improvvisamente ritrovato trasformato in un aggressore, in un assassino. Il peso sfiancante della colpa piombata sulle teste di ognuno si unisce pertanto al disagio dell’impotenza. Il 24 febbraio è stato celebrato il funerale della Russia: quel nefasto giorno ha segnato per sempre uno spartiacque, un prima e un dopo.
Nell’attimo stesso in cui il cosiddetto presidente Putin ha dato ordine di incominciare la guerra con l’Ucraina, la Russia è finita e tutti gli adulti della Federazione Russa, la gente russa, sono morti.
Non per errore, non per civetteria, ma in maniera pienamente cosciente scrivo sempre noi, e non loro, perché anche chi nella Federazione Russa si indigna in cucina, decide di scrivere post coraggiosi su facebook o telegram oppure, diciamo, io, che adesso sto scrivendo questo testo al computer, – anche noi siamo morti, definitivamente e irrimediabilmente morti. Perché non si decidono (non ci decidiamo!) a uscire per strada, perché giustificano (giustifichiamo!) la propria debolezza con la premura per i propri cari (e come farebbero senza di noi!), ma in quell’istante stesso, in quello stesso secondo a causa della nostra viltà, a causa della premura per i famigliari (a ben guardare, ovviamente, per se stessi) le città ucraine vengono distrutte, il sangue viene versato, le persone muoiono, la morte e la distruzione trionfano sulla vita.
Oleg Lekmanov
Davanti al tracollo delle parole e dei significati, le opere di questa raccolta propongono una riflessione sulla lingua e su come il suo utilizzo contribuisca a distorcere gli eventi e a veicolare una narrazione menzognera: il Paese che dichiara di combattere i nazisti è lo stesso che prevede pene e ritorsioni per chi si riferisce ai fatti del 24 febbraio con il termine “guerra” e non con “operazione militare speciale” come previsto dai dettami della propaganda di Stato. Le fake news date in pasto da «la merda televisiva» (come scrive Empower poveri, una delle voci antologizzate) contribuiscono a deformare la realtà creandone una parallela e alternativa, un simulacro in cui le parole – in una dimensione logocentrica contraddittoria – si indeboliscono e perdono il proprio significato ma, al tempo stesso, riscoprono una profonda potenza, diventando pericolose per lo Stato.
A proposito della potenza della parola, non mancano, poi, spietate invettive contro il duce della steppa:
«bastardo in che cosa ci hai trascinati
demente assassino
brucia all’inferno infernale vecchio
ora hai i giorni contati
ma non so quando
cadrà la benda dagli occhi
del tuo elettorato
che tra qualche generazione
per bocca dei discendenti innalzerà lodi a te
come a un secondo Stalin
con questi è meglio non trovarsi nello stesso Paese
probabilmente l’arte non ci servirà più a niente».
Empower Poveri
L’antologia ci pone davanti anche un interrogativo letterario: siamo forse al cospetto non solo di una post-poesia ma anche di una nuova post-memoria? Come suggerisce Evgenija Vežljan «Ciò implica una diversa struttura della lingua, un altro sentimento dello spazio e del proprio posto nello spazio. Un’altra configurazione della memoria e del passato. Quale esattamente? In cosa dobbiamo trasformarci come punto d’arrivo?».
Ammetto però che, di fronte all’orrore di un conflitto, i versi di una poesia possono sembrare ben poca cosa ed è quindi fisiologico pensare che l’arte abbia perso qualsiasi valore. Che ruolo può avere la letteratura di fronte alle atrocità di un’invasione militare?
I versi di ***/***** voci russe contro la guerra rappresentano un grido in cui la rabbia, il desiderio di vendetta e il senso di completa inutilità trovano un mezzo tramite cui esprimersi. È proprio questo il ruolo della letteratura ora: dissentire, non allinearsi alle leggi arbitrarie di un tiranno di paglia, lottare con quello che si ha.
Ed è fondamentale far sapere al mondo che c’è chi – da russo – esecra questa guerra.
Sono squarciata in due da amore e vendetta.
Il giorno piango, la notte affilo la lama feroce della luna. Julija Nemirovskaja