Giulia Mattioni
pubblicato 9 anni fa in Arte

Paul Gauguin

il tormento di un uomo

Paul Gauguin

“Ho sempre avuto la fissazione per le fughe”

Questo è quello che confessò Paul Gauguin in un’intervista. L’evasione fu il tema dominante della sua vita. Evaso dalla morale, evaso dal conformismo borghese, evaso dalla famiglia e dalle sue costrizioni, evaso dalla cultura occidentale, evaso dal Cristianesimo nel suo formalismo dottrinale. Gauguin è un selvaggio, odia la sua civiltà opprimente e per tutta la sua vita ha indossato i panni di artista nomade. La mancanza di radici precise fomenta la sua propensione a una vita vagabonda, alla continua ricerca della verità assoluta.
Spesso non si riconosce a Gauguin il merito di aver anticipato più di un linguaggio artistico e di un modo di vedere la realtà. È stato il primo a prender coscienza della necessità di una rottura perché potesse nascere il mondo moderno, il primo a sfuggire dalla tradizione latina, per ritrovare tra le leggende barbare e le divinità primitive, l’impeto originario. Mentre l’arte occidentale aveva come proprio perno il noto, egli vi ha sostituito l’ignoto. Infatti Gauguin ha saputo accoppiare in un’armonia perfetta ciò che osservava e ciò che immaginava. Il mondo che ricerca dimostra la profondità del suo pensiero. È lui il primo ad aprire la via all’arte moderna per sfuggire alla fatalità del reale.
Profondamente attratto dall’esotico, dall’ignoto, ma soprattutto affascinato dall’essenziale, dalla semplicità, dalla ricchezza di povertà, passerà tre anni a Tahiti e gli ultimi anni della sua vita nelle isole Marchesi. Va a lui il merito di aver per primo dato dignità di rappresentazione a quei popoli lontani sia geograficamente ma soprattutto spiritualmente dalla cultura Occidentale.
Emblematico del suo percorso di vita e di ricerca spirituale è “ Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?”. Il titolo ( presente come un epitaffio sulla tela in alto a sinistra) è una chiara testimonianza delle riflessioni angosciose che l’artista traeva sulla sua vita e sulla condizione umana. Più che un quadro sembra che Gauguin abbia dipinto un’idea.
gauguin

Il dipinto ( di quattro metri di lunghezza) si sviluppa nel corso di una fase particolarmente complessa della vita di Gauguin, in cui compie un tentativo di suicidio. Era dominato da “ uno stato di vaga sofferenza e sensazione dolorosa di fronte al mistero incomprensibile della nostra origine e dell’avvenire”, così lo definisce lui stesso il suo tormento interiore.
La scena, piuttosto affollata, rivela che molti suoi dipinti precedenti possono esserne considerati preparatori. È come se il pittore avesse voluto fare una summa della sua produzione artistica. Il dipinto ci appare quindi come il “quadro de quadri” in cui domina una giustapposizione piuttosto che una fusione dei corpi all’interno della vasta scena.
La scena è ambientata in un paradiso immaginario. L’ordine di lettura implica una lettura inusuale da sinistra a destra e termina quindi con la nascita, mentre nella parte opposta notiamo una donna anziana nella dolorosa espressione di consapevolezza della vecchiaia. I toni sono freddi, tra azzurri e verdi sui quali risaltano i corpi seminudi. È quindi un immenso affresco sul ciclo della vita, dalla morte alla nascita e ancora dalla nascita alla morte, in un’inquietante circolarità dell’esistenza. L’artista stesso dichiara futile ogni tentativo di spiegazione. Ogni individuo della scena sembra assumere un atteggiamento meditativo, di riflessione individuale sul senso della vita. Interrogativo che non tocca la natura incontaminata che segue inesorabilmente il suo corso. Il dipinto ha una forte intonazione sacrale, sottolineata dall’idolo azzurro. Insomma questo dipinto ci appare come un nuovo Eden, questa volta selvaggio, dal quale uomini e donne non vengono scacciati, ma costretti a viverci. Nei bordi superiori della tela compaiono due lembi dorati, come se la sena fosse scoperta da un sipario, probabilmente simbolico del fatto che la vita non è altro che un’ apparizione su un palcoscenico infinito.
Gauguin si interroga sulle radici dell’esistenza umana, sulla natura della sua condizione e sul suo destino, senza però trovare risposta, perché probabilmente la risposta non esiste. Questo è stato e sarà il tormento più grande di tutto il genere umano.