Culturificio
pubblicato 6 anni fa in Altro

Perché una ragazza d’oggi può non uccidersi, Stefania

Perché una ragazza d’oggi può non uccidersi, Stefania

Cara Stefania,
tu non vedi la Fine, in metropolitana.

Anna la conoscevi, sai che frequentava ambienti strani. Nuclei Armati Terroristici, concerti punk; chi vuoi che si incontri, in questi posti? Risse, molotov, e il colore del sangue: lo stesso dell’amore. L’Esistenza – pure la più dolce, docile, del regno animale, come quella di Anna – , alla vista del rosso, imbizzarrisce. Il collo si fa taurino, il torace, da bambolina, ciclopico, tutto si gonfia: l’Eco dell’esistenza deflagra: Amore atomico.
Quel nazista, alla fine, l’ha lasciata. Da quel giorno, non l’ha chiamata più nessuno, Anna che vedeva la Fine.

Io, invece, continuerò a chiamarti. Per parlarti di Bianconi, e dei Baustelle.
Continuerò, di giorno, a parlare ai tuoi occhi.
Di notti con te – invece -, in astinenza dai tuoi occhi, farò questo: una Marlboro morbida; poi gocce d’inchiostro, che non macchiano le guance.

Ho più respiro per me, quando non mi trovo di fronte ai tuoi occhi: è allora che approfitto, nel soffio di porta che trova tempo in questa pagina, per dirti quello che di giorno non ho fiato per dire.
Eppure, ora, mentre scrivo, mi accorgo che lo sforzo più forte devo chiederlo a te, che sei creatura estetica, e per questo allergica alla barba della critica, tra le cui piaghe cresce ispida la logica, di cui ti senti, per tua natura, soffocata.

Fai un respiro. Profondo.
Più profondo, Stefania.
So che ti sto chiedendo troppo, ma devo chiederti più fiato. Sto per dirtene una delle mie – l’avrai capito. Quindi devo chiederti più sforzo. Abbassa il diaframma, poi gonfia i polmoni: devi farti arrivare il seno fin sotto il mento (cosa che, al tuo corpicino, non deve riuscire così difficile…).
Ascolta questa: non devi ucciderti, Stefania, semplicemente perché tu ascolti i Baustelle come Nietzsche avrebbe ascoltato la tragedia Greca.

Un grande soffio, butta fuori.

Lontano dai tuoi occhi, poso i miei sui libri. Su questo che tengo sotto il naso, ora, c’è scritto:

Il Greco fuggiva dalla vita pubblica, per lui così abituale e dispersiva, dalla vita nella piazza, nella strada e nel tribunale, trovando conforto nella solennità – che disponeva l’animo alla calma e invitava al raccoglimento – della rappresentazione teatrale.

È Nietzsche: e Nietzsche, come puoi ben immaginare, si lamenta. Puoi immaginare, non sapere, perché tu sei creatura estetica: quindi, per favore, continua, ostinata, a non leggere Nietzsche. Lascia piuttosto che sia io a parlartene.

Nietzsche, qui, si lamentava del fatto che nella “opera” – la forma d’arte cui si riferiva nei suoi scritti – gli artisti suoi contemporanei non erano stati per nulla capaci di eguagliare ciò che l’aveva preceduta, seppure di questa ne andavano ricercando le altezze raggiunte, e di cui l’opera stessa rappresentava la naturale continuazione: l’inarrivabile tragedia Greca. Questo, stando a Nietzsche, è accaduto per il semplice motivo che il dionisiaco è latitante, allora come ai tempi di Anna, fin come al tempo nostro.
Una serie di fannulloni dello spirito si trovò quindi a fare il verso – con tutte le buone intenzioni del caso, beninteso – ai grandi del passato. Ad Eschilo e Sofocle.
Ora, devo concordare, solo per un momento, con quei vecchi critici barbuti, che sostengono che il teatro è specchio del pubblico. È da individuare, allora, nel pubblico stesso, o meglio nell’approccio che ha il soggetto, l’individuo di oggi – indistinguibile, qui, da quello dell’Ottocento – che compone il pubblico di riferimento, la causa per cui il teatro si è fatto teatro di rappresentanza, come ha raccontato – e di-mostrato – l’ultimo spasmo della koiné echeggiante lo stesso Dioniso, ovvero Carmelo Bene. E quindi, estendendo il discorso a tutta l’Arte, questa si ritrova – oggi più che mai – solo borghese, per il semplice motivo che esiste solo un pubblico borghese. Sembra una generalizzazione estrema, la mia. Invece, è solo il mondo in cui viviamo ad essere generalizzante.

Eppure, tu, nulla hai, di borghese.
C’è una sorta di comunione di intenti, fra chi produce un’Opera e chi ne fruisce. E quindi, se tu sei uno spettatore d’eccezione, cara Stefania, devi spartire questa tua eccezione con quella dei Baustelle, se è vero, come credo, che i Baustelle siano tra quelli che ad oggi facciano Arte.

Torniamo ai contemporanei di Nietzsche, e ai nostri. Al problema dei poveri cristi che han creduto l’Estetica un mero gioco di logica, di incastri e di vezzi di forma.
Hai presente quel gioco – che, per inciso, so che tu, creatura estetica, non regalerai mai ai tuoi nipotini per questo Natale – con cui si tengono impegnati i bambini, con i pezzi di plastica triangolari, cilindrici o cubici, da incastrare uno per uno in una Grossa Palla Razionale intagliata con le forme giuste, una per ogni pezzo? Ecco, se vogliamo usare questa immagine per spiegare il processo di creazione artistica, immagina ognuno di questi pezzi come un verso di Dante, un giustappunto armonico tra il gomito e il mento del Pensatore di Rodin, una noce d’ombra sulla scapola del Cupido di Amor vincit omnia di Caravaggio.
Questi buontemponi dell’Ottocento e tutti quelli dell’arte borghese, hanno pensato che basti solo ricolorare queste forme triangolari, cilindriche e cubiche, di nuova tinta; oppure, magari, mozzare le estremità di questi pezzi, perché l’epifania estetica si rinnovi, una volta inseriti questi pezzetti d’arte così adulterati nella Grossa Palla. Il problema è che la Grossa Palla Estetica è qualcosa di ben diverso dalla Grossa Palla Razionale. Non hanno capito che l’Arte è gioco, non scherzo. “Il gioco è una cosa importante, ma loro non giocano: scherzano. E lo scherzo è adulto, non è più il gioco, non è bambino. Quindi non c’è più nessun aspetto ludico, non c’è più l’equivoco del mito” (Carmelo Bene). I poveri imitatori possono solo scherzare con una Grossa Palla Razionale: i veri Artisti giocano a dar forma, come argilla, al mito, per creare la loro personalissima Grossa Palla Estetica.
Gli sfortunati artisti, il loro peccato lo hanno commesso con “[…] l’intenzione, chiaramente espressa, di rinnovare quegli effetti della musica, che essa […] aveva avuto nell’antichità.
Cosa degna di nota: già il primo pensiero dell’opera è stata una ricerca dell’effetto. Attraverso tali esperimenti, le radici di un’arte inconscia che emerge dalla vita popolare risultano tagliate o per lo meno malignamente mutilate.”
Cercavano l’effetto, i nostri. Effetti, per stupire gente anaffettiva.

Questo, per gli artisti minuscoli. I Baustelle, invece, sono Artisti. E, a me, dai Baustelle, pare emerga proprio la “vita popolare”, senza taglio alcuno.

Come ne Le Rane

Mentre scoprivamo il sesso / ignari di ciò che sarebbe poi successo / dopo la maturità / eccoci che / attraversiamo i girasoli / bucanieri nati / andiamo via dalla realtà / dalle case popolari

o ne I Provinciali

Sacrificata vittima / verso d’amore cerca fiato per non soffocare più / affittasi crepuscoli, balere ad ore piccole / morire la domenica / chiesa cattolica / estetica anestetica / provincia cronica

Non che dietro al processo creativo di Bianconi non sia possibile cogliere i fantasmi di tutti gli Artisti che lo hanno preceduto: ma questi, lontano dalla mera “ricerca dell’effetto”, di più, sublimano nitidi, monumentali. Il fatto è che Bianconi, come autore, è sempre immerso nella sua individualità, con un orecchio che però resta teso all’Esistenza e all’Eco che fa. Un romantico senza romanticherie: non Calvino, ma Pascoli.
Dai suoi testi germinano alzate d’ingegno, è vero: ma è dal più popolano dei contadini dionisiaci che è stata seminata la loro primavera.

Cosa c’entra la primavera? Cosa c’entri allora tu, Stefania? Ti ripeto che i meriti, nell’esperienza estetica, bisogna spartirseli.
“Con la stessa solennità dell’attore, anche lo spettatore stava ad ascoltare: lo stato d’animo di una festa, insolita e desiderata per lungo tempo, si diffondeva anche su di lui.”

La riconosci, questa atmosfera di festa, Stefania?
“L’anima dell’Ateniese che veniva a vedere la tragedia nelle grandi feste dionisiache, aveva ancora in sé qualcosa dell’elemento onde era sorta la tragedia. Si tratta dell’impulso primaverile, che sboccia prepotente, di un sentimento tumultuoso e al tempo stesso folle, noto a tutti i popoli ingenui e all’intera natura, quando si avvicina la primavera.”

Finché vivrai la tua vita come se fosse l’attesa della primavera, cara Stefania, non ci sarà ragione alcuna di temere un giorno di uccidersi.
Come vedi, il modo in cui si ascolta la Musica, si assiste all’Arte, coincide con la vita stessa. Attendi allora la primavera. Ma soprattutto, se puoi, insegna agli altri ad attenderla, come fai tu.
L’esperienza estetica richiede raccoglimento, e così anche per l’ascolto musicale.
Col tuo animo in festa, scarta l’ultimo album dei Baustelle; che possono tanto, quanto ad Artisti, ma nulla, senza Te.

Continua ad ascoltarla, la musica, Stefania.
Allora, la morte non esisterà più.


 

N.d.A. Rendiamo edotto il lettore che abbia poca confidenza con i Baustelle che la parte iniziale di questa lettera (così come il titolo dell’articolo) è stata scritta giustapponendo creativamente alcune citazioni tratte dai testi degli stessi.
Per Nietzsche, il testo di riferimento cui sono stati trascritti alcuni passi è “La filosofia nell’epoca tragica dei Greci”.

Articolo a cura di di Alessandro Tavano