I mosaici preraffaelliti di Edward Burne-Jones nella chiesa romana di San Paolo entro le mura
Pochi sanno che all’interno della chiesa anglicana di San Paolo entro le mura nel rione Castro Pretorio a Roma, vi sono dei mosaici realizzati dall’artista appartenente al gruppo preraffaellita Edward Burne-Jones. I suddetti mosaici sono disposti nella zona dell’abside e del coro, raffiguranti sia scene tratte dall’Apocalisse dell’evangelista Giovanni sia rappresentanti alcuni Padri della Chiesa; da sottolineare come alcuni personaggi dell’Ottocento abbiano prestato il loro volto per la rappresentazione musiva: Abramo Lincoln in veste di sant’Andrea, Giuseppe Garibaldi interpreta San Giacomo mentre il generale Grant, protagonista della guerra di Secessione Americana, si pone a interprete di San Patrizio. Nella prima arcata è rappresentata l’Annunciazione in una cornice insolita rispetto alle note rappresentazioni precedenti; quest’ultima è raffigurata in un contesto desertico fuori dalle mura della città. Burne-Jones opta per uno sfondo rosso, segno del tramonto e quindi dell’Angelus. Da notare come l’artista inglese scelga di rappresentare Cristo sotto forma di pellicano, poiché secondo credenze popolari tale animale si squarciava il petto per nutrire i figli con il proprio sangue. Nella porte inferiore scorgiamo il saluto dell’arcangelo Gabriele, portare della buona novella “Ave, o piena di grazia, il Signore è con te”. Maria risponde “Ecco l’ancella del Signore: si faccia in me secondo la tua parola”. Sulla seconda arcata del coro è rappresentato l’albero del perdono con Cristo crocifisso fiancheggiato da Adamo ed Eva rappresentata con il loro primogenito. Altro elemento simbolico di cui usufruì Burne-Jones furono i cardi da cui nasce il giglio, simbolo della fatica dell’uomo. Nella parte sottostante la scena vi è scritto in latino “Nel mondo voi avrete afflizioni; ma fatevi coraggio: io ho vinto il mondo”. Il mosaico principale dell’abside rappresenta “Cristo in gloria”. Sopra, abbiamo la visione abbagliante degli angeli inseriti in uno sfondo celestiale. Nella parte inferiore Cristo in trono sostenuto da cherubini e dai serafini, il quale tiene con la mano sinistra un globo mentre la destra ci appare benedicente. Dai piedi sgorga una sorgente di acqua viva. Nella parte laterale stanno gli arcangeli, ognuno davanti ad una porta del Paradiso. A destra troviamo una porta libera, per rimembrarci la caduta dal Paradiso di Lucifero. Nella parte sotto della scena compaiano le acque sotto il firmamento attraverso le quali corre l’iscrizione in ebraico “In principio Dio creò il cielo e la terra” ed in greco “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”. Ancora più sotto scorgiamo degli angeli festanti e nella parte inferiore la Chiesa Trionfante. Sullo sfondo di questa Città Celeste abbiamo gli asceti, tra cui San Francesco d’Assisi; a seguire un gruppo di donne che rappresenta il servizio di Dio nella vita quotidiana, tra cui Maria con le sue chiavi e la Maddalena con la scatola di unguento. Il gruppo centrale è costituito dalle figure ecclesiastiche più importanti della Chiesa nel passato, con cinque padri della chiesa orientale e cinque di quella occidentale, con S. Pietro nella parte centrale. Burne-Jones non venne mai a Roma, commissionò il tutto direttamente dal suo paese natio ad una società di Murano, incaricati di realizzare le tessere musive. La simbologia che contraddistingue i lavori preraffaelliti si fa sentire con forza anche in questo contesto fuori dai confini inglesi. L’eleganza e la sinuosità delle figure ritorna in questo splendido lavoro ecclesiastico. L’unione con la natura torna anche in questo lavoro in cui Cristo si fonde con l’albero della vita e la Madonna viene collocata in un contesto ambientale poco consono ai canoni dell’iconografia religiosa. I colori vivi caratterizzano l’intera composizione mentre l’impianto musivo fa tornare alla mente le decorazioni paleocristiane ravennate. L’arte preraffaelliti, che noi prefiguriamo fuori dal suolo nazionale, esplode in luoghi poco conosciuti e che varrebbe la pena conoscere, anche solo per assaporare il gusto dell’arte inglese ottocentesca.
Articolo a cura di Chiara Tondolo