Il copto: papiri e sincretismo magico
oltre il dominio dell’ortodossia cristiana, sotto l'apotropaico signum crucis
Il panorama religioso dell’Egitto tolemaico (332 a.C. – 30 a.C.) e dell’Egitto romano (30 a.C. – 642 d.C., quando gli arabi ne assunsero il controllo) è caratterizzato da un sincretismo eccezionale: i residui faraonici convissero con gli elementi della cultura greca – a causa della progressiva ed inevitabile ellenizzazione – cui presto si aggiunse l’influenza romana, anch’essa fortemente ellenizzata.
Risale al 332 a.C. l’incursione di Alessandro Magno, che aveva disseminato il Vicino Oriente e l’Egitto di stili di vita, credenze, strutture amministrative proprie della grecità, suscitano reazioni più o meno accese a seconda del luogo preso in considerazione. I romani contribuirono a loro volta riguardo il vivere civile e il modo di pensare. Sebbene sui grandi numeri i sostrati locali accettarono questi cambiamenti, è chiaro che si verificarono delle reazioni.
Soprattutto dal secondo secolo della nostra era, il cristianesimo coinvolse i ceti etnici emergenti, di levatura sociale piuttosto alta; essi, preoccupati dall’egemonia della lingua greca, elaborarono veicoli linguistici propri a partire dalla loro tradizione.
Oltre all’armeno e al georgiano letterario, inseriti fin dalla nascita in un contesto cristiano, grande importanza acquistò, in area egiziana, il copto, sostituendo la scrittura demotica, ormai superata e scarsamente compresa dalla popolazione.
Il periodo compreso tra l’episcopato di Demetrio (189-232), primo vescovo alessandrino storicamente verificabile, e quello di Dionigi (248-264), è significativo per la storia linguistica delle comunità egiziane. Accanto al greco incomincia ad affermarsi il copto, una lingua letteraria, anche per evitare che il primo ottenesse il predominio assoluto della comunicazione scritta.
In una società bilingue, al copto viene assegnata la funzione di mediare; la lingua egiziana venne modernizzata, subendo l’influenza della cultura greca a partire dall’alfabeto, tenendo conto delle suggestioni a livello lessicale, sintattico e concettuale.
Se oggi le sopravvivenze di questo idioma sono ascrivibili alle liturgie della Chiesa copta, essendo una lingua estinta dal XVII secolo, il cristianesimo, anticamente, non ebbe questa posizione esclusiva.
Bisogna ancora una volta sottolineare il sincretismo religioso dell’area: la nascente ed incerta “ortodossia” ( se è lecito chiamarla così, data l’assenza di un canone scritturistico accettato all’unanimità dagli esponenti ecclesiastici) si trova in una guerra aperta. Gli avversari principali sono i materiali magici di origine disparata, lo gnosticismo – interno al cristianesimo, anche se la questione è dibattuta- e il manicheismo – esterno.
Entrambe dualiste, insidiarono il cristianesimo sotto molteplici aspetti.
La religione di Mani (216-276) nasce entro i confini della Mesopotamia sasanide; avendo acquisito una sempre più alta posizione, finì per penetrare anche in Egitto, dove i movimenti ascetici, da tempo, avevano reso fertile il terreno in tal senso. Il manicheismo tentò di reinterpretare alcuni testi sacri, dai profeti delle Scritture ebraiche (un’attenzione particolare è assegnata al carisma profetico) ai Vangeli che sarebbero confluiti all’interno del Nuovo Testamento. Combatterlo richiese un impegno profondo, come dimostrano le vicende relative all’evangelizzazione del territorio armeno ad opera di Gregorio detto “l’Illuminatore”, che assunse le prerogative dei maghi zoroastriani.
Il cosiddetto “Vangelo di Mani”, apocrifo e marginale, di origine persiana, conosciuto esclusivamente da alcuni frammenti e dalle citazioni patristiche, fu un tentativo di interazione tra la religione cristiana e l’ambiente manicheo – tentativo destinato al totale fallimento, eppure emblematico.
Gli intellettuali egiziani, anche se scrissero una notevole quantità di testi “ortodossi” in lingua copta, dovettero relazionarsi a questi pensieri religiosi, progressivamente marginalizzati, la cui eredità letteraria, tuttavia, continuava ad essere tradotta, copiata e trasmessa.
Ancora più del manicheismo fu lo gnosticismo (etichetta da alcuni ritenuta inservibile a causa dei molteplici significati) ad insidiare le dottrine dell’ortodossia cristiana.
Il secolo scorso è stato un secolo di ritrovamenti chiarificatori.
Nel 1945 furono ritrovati i codici di Nag Hammadi, in Egitto, da aggiungere ad un altro recupero fortunato di papiri, durante la fin de siècle, ad Ossirinco, papiri del Vecchio e del Nuovo Testamento (di quest’ultimo, in numero di 127, soprattutto apocrifi) oltre a manoscritti pubblici e privati, come codici, editti, registri, inventari, atti di compravendita e lettere.
A Nag Hammadi, furono ritrovati tredici papiri copti grazie ad un ignaro contadino in una giara di terracotta, cronologicamente inquadrati tra il III e il IV secolo d.C., tradotti da originali greci risalenti al primo e secondo secolo della nostra era. Si tratta di testi gnostici, la cui scoperta ha portato ad una radicale rivalutazione dell’utilizzo del copto, da allora comprovata da tali manoscritti, in opposizione a chi considera il cristianesimo come esclusivo garante di questa lingua scritta.
Probabilmente, i codici furono nascosti quando lo gnosticismo venne condannato in quanto eresia.
Riguardo al contenuto, grande importanza è attribuita alle apocalissi. Il genere apocalittico, molto popolare e poco storico, escatologico, incentrato sugli aspetti miracolistici, proprio a causa della materia gnostica venne progressivamente allontanato dal canone cristiano: il Nuovo Testamento, infatti, contiene esclusivamente l’Apocalisse di Giovanni, l’inclusione della quale fu contestata a lungo, proprio perché utilizzata dalle correnti gnostiche.
Gli studiosi sono concordi quando affermano che il ritrovamento del Vangelo secondo Tommaso è stato il più prezioso, in quanto unico esemplare completo giunto fino a noi. Si presenta come una raccolta di detti (loghia) attribuiti a Gesù, variamente rielaborati.
Anche i Papiri Bodmer (dal nome del possessore), più tardi dei codici sopraccitati, sono stati rinvenuti vicino all’area di Nag Hammadi, a Pabau. Il primo papiro contiene opere pagane, come le commedie di Menandro, i libri V e VI dell’Iliade di Omero, oltre a testi dell’ortodossia cristiana.
Concludendo questo articolo, sebbene la lingua copta divenne patrimonio della cultura cristiana, è da riconoscerne un utilizzo importante anche in prospettive differenti, a prescindere dai residui linguistici della Chiesa copta e dalla tradizione che si muove in questo senso. I ritrovamenti papiracei corroborano ancor di più la teoria secondo cui il copto ha continuato ad esprimere, durante i primi secoli della nostra era, correnti di pensiero opposte all’ortodossia allora nascente, aventi logicamente, in taluni casi, opposte concezioni religiose.
Bibliografia ragionata
Per il sostrato del discorso:
E. Prinzivalli, “Storia del Cristianesimo I. L’età antica (secoli I-VII)“, Carocci editore, Roma, 2015
G. Filoramo et alii, “Manuale di storia delle religioni”, Editori Laterza, Bari, 1999
Per eventuali approfondimenti sui testi apocrifi:
M. Craveri, “I vangeli apocrifi“, Torino, Einaudi, 1969
L. Moraldi, “Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento“, 3 voll., Casale Monferrato (AL), Piemme, 1999 (riedizione della raccolta pubblicata dalla UTET, Torino 1971, 1994).
Per i codici di Nag Hammadi:
Nicola Denzey Lewis, “I manoscritti di Nag Hammadi. Una biblioteca gnostica del IV secolo“, Carocci, 2014
Segnalo inoltre un articolo interessante per approfondire la cultura copta:
http://www.tralci-niklima.com/2013/06/12/dallantico-egitto-allegitto-copto/