George Seurat
il pittore-scienziato del postimpressionismo
L’opera di Seurat nasce all’insegna del rigore, della logica, della ricerca e del metodo. Un atteggiamento continuo, ossessivo che, nella breve ma intensa parabola di una dozzina di anni, gli consente di divenire il maestro riconosciuto, ed è Van Gogh stesso ad ammetterlo, della nuova generazione che succede all’impressionismo. Riservato, orgoglioso, restio a esprimere qualsiasi opinione, appare in evidente contrasto con le più brillanti personalità dell’epoca. La sua vita trova significato e giustificazione soltanto nell’incessante e disperato sforzo di esplorare e di elaborare le verità conseguite in campo artistico, in accordo con quello scientifico. Figlio del suo tempo, vive l’esaltante ebbrezza della nuova fede nei poteri della scienza. Il suo sogno scientifico è perfettamente coerente con il clima positivista che gli gravita attorno. La scienza raggiunge campi finora preclusi: letteratura e filosofia se ne imbevono, all’appello di Flaubert: «L’arte e la scienza, da lungo tempo separate in seguito a sforzi divergenti dell’intelligenza, devono tendere a unirsi strettamente se non a confondersi». Seurat ricorre sempre più alle recenti scoperte scientifiche e alle nuove teorie filosofiche per raggiungere la propria meta: andare oltre l’impressionismo, utilizzandone ricerche e obiettivi, nell’intento di conferirgli solide basi e rigidi principi. Il fine consiste nel fissare l’attimo fuggente degli impressionisti in un momento di cristallizzata eternità; è un bisogno di un qualcosa di duraturo e perenne. Seurat dimostra un punto di partenza quanto più possibile lontano dagli impressionisti; la sua è una composizione metodica, tutto l’opposto della spontaneità e dell’improvvisazione propugnate da Monet e dai suoi amici. Il mondo di Seurat è raccolto e come chiuso in se stesso, a differenza di quello degli impressionisti che a paragone, sembra tutto esuberanza e libera espansione. Seurat invece ci mostra una visione del mondo del tutto particolare, una visione intima, caratterizzata da atmosfere ovattate e da un rassicurante silenzio. Seurat infatti è l’uomo del silenzio, ne è avviluppato sin dall’infanzia che trascorre in un’atmosfera pregnante di freddo e rigido misticismo borghese instaurato dal padre. Studente disciplinato, metodico, non molto brillante, sfugge all’accademismo grazie a una naturale curiosità, legge avidamente opere teoriche. Una in particolare lo affascina, anzi in assoluto è lo scritto che esercita una funzione decisiva nell’elaborare le sue teorie. Si tratta della Grammaire des arts du dessin di charles Blanc. Le teorie di Blanc corrispondono al naturale bisogno di logica e rigore del giovane artista e gli rivelano qualcosa che oscuramente sta cercando: «Il colore è sottoposto a regole sicure». Partendo dai principi di Chevreul, Blanc formula una teoria della mescolanza ottica secondo la quale tocchi separati di pigmenti puri tendono a formare colori più puri e più vibranti nell’occhio dell’osservatore che non quando vengono mescolati sulla tavolozza. Le leggi di Chevreul si possono invece riassumere così: dei colori dello spettro solare tre sono considerati fondamentali e pertanto vengono denominati primari, il blu giallo e rosso; l’unione dei tre ha come risultato la luce bianca. I medesimi servono per produrre gli altri colori definiti secondari. Il colore primario che non entra nella composizione di un colore secondario è il suo complementare. Chavreul stabilisce quindi che due complementari se affiancati si esaltano, se mescolati si spengono e tendono al grigio. Tutto ciò aprirà a Seurat un mondo. L’anno di servizio militare a Brest costituisce per Seurat una buona occasione per meditare; qui impara inoltre a conoscere il silenzio, il ritmo e la bellezza del mare, temi fondamentali della sua poetica.Seurat, primo tra i moderni della nuova generazione, è ossessionato dalla grande composizione. Accolta con un certo stupore dagli artisti e dai critici, la Grande Jatte, pera cardine del pittore-scienziato, ha segnato una data decisiva non solo per il suo stile originale, ma anche e soprattutto per il formato gigantesco e l’ambizione monumentale. Senza la Grande Jatte è lecito pensare che non avrebbero veduto la luce né il Moulin Rouge di Toulouse Lautrec né il Chi siamo..? di Gauguin.