‘Alle cose stesse’
Husserl e la fenomenologia
«Sin dai suoi primi inizi la filosofia ha avanzato la pretesa di essere scienza rigorosa e, precisamente, la scienza in grado di soddisfare le più alte esigenze teoretiche e di rendere possibile in prospettiva etico-religiosa, una vita regolata da pure norme razionali. (…) In nessuna epoca del suo sviluppo la filosofia è stata in grado di soddisfare la pretese di essere scienza rigorosa».
Incipit de La filosofia come scienza rigorosa.
È così che inizia l’itinerario filosofico di Edmund Husserl, padre della fenomenologia. L’indirizzo fenomenologico non è però una “scuola” filosofica ma semplicemente un modo di pensare, di argomentare, di filosofare. Qual è il senso del “sentire fenomenologico” di Husserl? È il poter e il voler studiare la coscienza ‘depurata’ dai tratti empirici puntando ad essa nella sua purezza, nella sua semplicità. Davanti a questa “epifania fenomenologica” dobbiamo però applicare quella che il filosofo di Prossnitz definì ‘epoché’ (equivalente dell’atteggiamento agnostico degli scettici o del dubbio cartesiano), ovvero la sospensione del proprio giudizio. Grazie a tale atteggiamento possiamo mettere fra parentesi, eliminare tutte le certezze metafisiche per poter tornare alle cose stesse (tale è il motto della fenomenologia), dove possiamo intrattenere con i fenomeni un rapporto autentico ed immediato.
«Facendo questo, come è in mia piena libertà di farlo, io non nego questo mondo, quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno scettico; ma esercito in senso proprio l’epoché fenomenologica, cioè: io non assumo il mondo che mi è costantemente già dato in quanto essente, come faccio, direttamente, nella vita pratico-naturale ma anche nelle scienze positive, come un mondo preliminarmente essente e, in definitiva, come un mondo che non è un terreno universale d’essere per una conoscenza che procede attraverso l’esperienza e il pensiero. Io non attuo piú alcuna esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto». (E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen philosophie, trad. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, a cura di E. Filippini, Einaudi, Torino, 1965, pagg. 65-67.)
Tale sospensione di giudizio non è da considerare però come un togliere definitivamente la realtà esterna, la quale viene solo messa fra parentesi (in Husserl non c’è quindi un antirealismo). La fenomenologia è la ‘Scienza nuova‘ (per dirla con Vico) che traccia i limiti dei fenomeni che si presentano alla coscienza. Ma Husserl per ‘fenomeno’ intende ciò che soddisfa la conoscenza ‘by acquaintance’, la prensione diretta della realtà, non certo i “fenomeni puri” che non possiamo sperimentare nella vita quotidiana e a cui possiamo arrivare attraverso il principio-motto sopra menzionato. Il modus operandi husserliano è simile a quello kantiano: tutti e due pretendono di poter partire dall’esperienza (terminus a quo) per poi superarla, metterla fra parentesi, per arrivare a comprendere gli “elementi puri” (terminus ad quem) delle cose: ecco allora che la fenomenologia husserliana si mostra come una scienza eidetica, che si occupa dell’intuizione delle essenze e non dei dati di fatto. Le essenze non sono idee in senso platonico ma sono pensate, giudicate, volute dalla mente: esse si intuiscono. Husserl affida così al metodo fenomenologico il compito di liberare l’umanità dal suo declino, causato dalle scienze positive e in particolare dall’atteggiamento scientista. La filosofia viene ad essere così l’àncora di salvataggio che può condurre l’uomo fuori dalla crisi.