Culturificio
pubblicato 8 anni fa in Arte

Dalí: il dualismo del dissidio

Dalí: il dualismo del dissidio

Dalla più tenera infanzia, ho la viziosa tendenza di considerarmi diverso dai comuni mortali

Questa frase è ciò che meglio riassume l’eccentrica, egocentrica ed eclettica personalità del Marchese di Púbol, conosciuto dal mondo come Salvador Dalì. I suoi baffi all’ insù,che si ergevano fino a toccare quell’insondabile pensiero che caratterizzò la sua esistenza, furono il suo tratto distintivo, sprezzanti di qualsiasi regola e formalismo, tesi a rimarcare la convinta superiorità rispetto agli uomini comuni. La sua convinzione venne avvalorata dalla famiglia, la quale, con consapevole follia, lo convinse di essere la reincarnazione di suo fratello, morto da bambino e chiamato anche lui Salvador. In tal modo venne proiettato in una dimensione surreale, a tratti delirante, in cui a lui e per lui tutto era possibile, poiché era diverso: era una creatura speciale in un mondo normale.

Questo continuo dissidio fra la realtà e l’immaginazione rimase un tratto costante per tutta la sua vita. Il dualismo emerse nitidamente nel pensiero politico. Infatti passò dal sostenere teorie comuniste in gioventù, fino all’appoggiare il regime franchista, che era tutto fuorché comunista. Successivamente definì se stesso un anarchico-monarchico. In tutta la sua esistenza furono l’eccesso e lo sgomento che doveva suscitare nelle altre persone le motivazioni principali che lo condussero a sostenere alternativamente una teoria o l’altra . Un fulgido riassunto del suo pensiero può essere il dipinto L’enigma di Hitler, che gli valse la scomunica dei nazisti e il plauso degli antinazisti , benché il quadro, come tutta la sua opera artistica, fosse privo di qualsiasi risvolto politico.

Nella pittura, l’arte che, fra le diverse abbracciate da Dalì, esplorò più a fondo e che lo rese celeberrimo, si può notare una fusione di stili, derivanti dalle più recenti correnti dell’epoca fino a scavare nel passato del rinascimento italiano. Infatti si possono notare influssi di Rafael Barradas e Raffaello, di Piero della Francesca. Il tutto sapientemente fuso dal suo genio, in un coacervo di creatività.

Infine l’argomento più delicato e importante della sua vita riguardo il continuo contrasto fra la sue teorie atee e quella religione cattolica che lo chiamava a sé, tentandolo di abbracciarla. Fin dall’infanzia Don Esteban Trayter lo convinse che Dio non esisteva, aggiungendo che la religione era cosa da donne. L’idea lo incantò fin dal principio, poiché poteva verificarla ogni giorno in casa sua, in cui la madre, fervente cattolica, frequentava assiduamente la Chiesa e all’opposto il padre ne era tutt’altro che seguace. Infatti il padre, definendosi libero pensatore, arricchiva i discorsi più futili e banali con bestemmie magniloquenti e pittoresche e se qualcuno glielo rimproverava lui rispondeva così: la bestemmia è l’ornamento più bello della lingua catalana. In quegli anni di amore per l’ateismo, sfogliando tra i libri del padre, trovava solamente libri sull’ateismo che rafforzarono ancora di più le sue convinzioni. Passò da Voltaire a Nietzsche, il quale aveva sancito la morte di Dio. Tuttavia il filosofo tedesco insinuò dei dubbi in lui, facendo sgretolare le sue più radicate convinzioni e portandolo in terreni fino a quel momento mai sondati, ovvero la possibilità dell’esistenza di Dio. Salvador-Dalì-Madonna-di-Port-Lligat-1950Tra il 1949 e il 1950 visse un tormentato periodo caratterizzato dal turbamento religioso e dipinse la Madonna di Port Lligat, prima tela che potrebbe definirsi cattolica. Così come si era applicato per diventare un ateo perfetto, seguendo alla lettera i libri del padre, divenne un perfetto surrealista.

Dalì era tutto e niente, se qualcosa gli garbava arrivava a studiare per ore da bambino, altrimenti se non era di suo gradimento precipitava in un profondo e sconfinato ozio, fintanto che qualcos’altro di stimolante non gli stuzzicasse la mente. Era eccesso provocatore nella sua più alta incarnazione. Questa fu la magia di Dalì, la piacevole e sconvolgente naturalezza con cui, come un trasformista, sapeva balzare da un opposto all’altro destando sgomento, fascino e ammirazione, ma lasciando sempre un enigmatico dilemma in chi cercava di comprendere definitivamente questo suo giocare con gli opposti. Era un fulmine abbagliante, che dopo aver colpito gli occhi, come un tuono, distruggeva roboante le convinzioni mentali quando si rifletteva su ciò che si era visto, permeando la memoria di un indelebile e persistente ricordo.


 

Articolo a cura di Alessandro Cianci