La morte di Ipazia
Per una rivalutazione della sua figura a partire dai motivi della sua morte
Il mito di Ipazia nasce soprattutto attorno alla sua morte. A partire dai connotati fumosi della vicenda, di lei si è detto e scritto tanto. Recenti film, come quello di Amenàbar, ancora tratteggiano il profilo di una donna dalla sovrabbondante sapienza, che ebbe persino anticipato le teorie di Copernico e di Galilei. Tuttavia non possediamo nulla che sia stato scritto da Ipazia, pertanto possiamo molto più onestamente fermarci a considerare quello che, attraverso le fonti, sembra essere stato il peso della sua figura a quei tempi. Sappiamo che proprio la sua morte avvenne ad Alessandria nel 415, per opera di sicari inviati dal Παπας di Alessandria, Cirillo. I sicari erano più probabilmente delle guardie personali dell’eminente vescovo alessandrino, riuniti in un ordine autonomo dal precedente Παπας Teofilo, zio di Cirillo.
Siamo sicuri dell’ingerenza di Cirillo nell’uccisione di Ipazia a partire da diverse fonti, che analizzano l’evento da molteplici punti di vista. Secondo la vulgata più antica, accolta fra gli altri da Giovanni di Nikiu, l’omicidio di Ipazia fu motivo di onore e gloria per Cirillo, tanto che la sua reputazione per la Chiesa non è stata mai scalfita da questo evento. Il vescovado di Nikiu era in Egitto, un ambiente all’interno del quale la posizione più diffusa rispetto all’evento era sostanzialmente omogenea: Ipazia venne fatta ammazzare da Cirillo perché lei era una donna dedita a tecniche quali l’astrologia, la magia e altre “sataniche furbizie” (così nel testo in etiopico di Giovanni di Nikiu). La medesima versione dei fatti, con la stigmatizzazione di Ipazia in qualità di eretica, era stata accolta ovviamente anche dalla Chiesa di Roma.
Diverse invece le idee che circolavano in ambienti lontani da Alessandria. Per esempio, un’altra fonte è Filostorgio, il quale -per ragioni cronologiche- era vicino a Ipazia. Filostorgio muove contro Cirillo, poiché era un seguace dell’Arianesimo, al contrario di Cirillo che era monofisita, pertanto credeva nella natura unica di Cristo, quella esclusivamente divina. Un secondo motivo di opposizione è che Filostorgio era contro Alessandria, perché patria di Atanasio, il rivale del “suo” Ario. Nella Storia Ecclesiastica Filostorgio ammette che Cirillo fosse ostile a Ipazia e -secondo la ricostruzione dell’editore del suo testo, J. Bidez (1913)- pare abbia accolto la medesima fonte di Suida. L’autore ignoto di questa colossale opera, nel vol. IV dell’ed. Adler parla di Ipazia. Similmente a quanto si legge nell’opera storica di Filostorgio, di lei vengono dati prima i riferimenti biografici e poi si ricorda l’episodio dell’omicidio. Suida accoglie due fonti principali: da una parte, tale Esichio di Mileto, di cui tuttavia non possediamo il testo che ci permetterebbe di identificare la fonte; dall’altra parte, invece, un platonico ateniese, Damascio. L’ambiente platonico, e in particolar modo quello ateniese, era contrario all’insegnamento di Ipazia, secondo quanto ci ricorda Sinesio di Cirene, autore di lingua greca che intrattenne con lei una stretta corrispondenza epistolare. Secondo Esichio, accolto da Suida, Ipazia venne uccisa per “invidia” di Cirillo. La versione di Damascio invece regala molti più dettagli: viene, per esempio, ricordata l’intensa opera di insegnamento pubblico e privato. Ipazia teneva insegnamenti anche presso la propria casa, davanti cui Cirillo ebbe modo di vedere una gran turba di uomini e di cavalli. Forse fu questo a scatenare l’ira del Παπας alessandrino, che invece voleva imporsi come unica guida della città. A ogni modo, è interessante notare che sia un autore ostile per ragioni di fede, Filostorgio, sia autori pagani condividessero la medesima versione dei fatti, quindi la medesima fonte.
Sia la versione accolta da Suida che quella di Filostorgio sono riportate da un autore più tardo, Fozio. Siamo nel IX secolo e, nel ricordare gli eventi relativi a Ipazia, il grande intellettuale costantinopolitano ricorda soprattutto gli insegnamenti di lei e poi l’atroce vicenda, a opera appunto di quegli uomini assoldati dal rivale Cirillo. Quanto apprendiamo da tutte queste fonti sembra essere concorde nel ritenere che l’azione del Παπας di Alessandria fosse stata motivata da ragioni istintuali, dal desiderio di vendetta di un uomo che si era, forse, sentito spodestato dal suo ruolo preminente. Eppure Cirillo era un uomo profondamente calcolatore, che secondo il suo progetto di assolvere tanto al potere spirituale quanto temporale eliminò con acuta pianificazione tutti i propri rivali. Come potremmo ammettere dunque che agì in preda al demone dell’invidia?
Doveva esserci altro. Socrate Scolastico, autore di una Storia Ecclesiastica e contemporaneo degli eventi, dedica un intero capitolo, il quindicesimo, alla “filosofa Ipazia”. In esso leggiamo della terribile uccisione di Ipazia, impreziosita dalla retorica del dettaglio, dalla volontà di specificare qualsiasi particolare. Si narra che essa venne sfregiata con pezzi di coccio, che affollavano i margini delle strade di Alessandria, e infine persino arsa. Socrate Scolastico non dimentica di sottolineare, ancora una volta, la gelosia e l’invidia di Cirillo e ricorda lo stretto rapporto di confidenza tra Ipazia e Oreste, prefetto di Alessandria e vicino all’ambiente di Roma. Forse, potremmo sostenere che l’invidia del vescovo avesse avuto anche una coloritura politica e non soltanto intellettuale. Socrate parla di un’invidia personificata, in armi contro Ipazia, secondo un’immagine che ebbe fortuna e venne ripresa anche da una personalità vicina invece alle idee di Cirillo, Nonno di Panopoli. Per comprendere però quale fosse l’ingerenza politica di tale gesto, occorrerà leggere ancora Socrate Scolastico, il quale nel capitolo XVI ricorda della persecuzione giuridica di Cirillo contro gli ebrei alessandrini. Costoro abitavano in città fin dai remoti tempi di Alessandro Magno e lì avevano soprattutto i loro ricchi commerci, nonché erano detentori della cultura alessandrina. La maggior parte dei renditi degli ebrei proveniva dal commercio dei beni agrari, che era stato a loro esclusivo appannaggio fino al 390, quando un editto del Codex Theodosianus aveva concesso anche ai Cristiani la possibilità di poter entrare in quegli stessi traffici. Forse una ragione economica, dunque, sarebbe dietro le ostilità di Cirillo nei confronti di questi tenaci Giudei, fino all’aperta politica anti-ebraica culminata nel 414.
Andando a riprendere la nostra prima fonte, il vescovo Giovanni di Nikiu, leggiamo che Cirillo fece processare ad Alessandria un oratore pubblico, Ierace, perché prendeva in giro i pagani. Di tale Ierace leggiamo anche, sebbene non si sia sicuri dell’identità, da un papiro rinvenuto di recente ad Amburgo, che fosse coinvolto in certi traffici commerciali legati alla città di Alessandria. Se pertanto si trattasse della medesima persona, non possiamo escludere che anche l’omicidio di Ipazia fosse in realtà motivato da quel comune progetto di Cirillo, che voleva eliminare chiunque andasse contro le sue scelte in ambito economico e mantenere così la supremazia politica ad Alessandria.