A casa tutto bene
Brunori SAS risponde finalmente alla “frase d’esordio del mondo”: Come stai?
“A casa tutto bene” è forse una delle risposte più elusive che chiunque di noi avrà avuto modo di dare. È la risposta buonista che, tante volte, diamo per evitare che ci si interroghi o ci interroghino gli altri, perché indagare porta sempre a un abisso.
Dario Brunori sembra invece aver osato scostare la tenda, parata per coprire il sepolto che sta nascosto in ognuno di noi e in ognuno di noi rispetto a un sistema, sia questo il sistema Paese o il sistema dei valori. Brunori però non offre delle risposte, apre delle domande come in una ideale conversazione nelle dodici canzoni, tutte inedite, del suo quarto album.
Partirei da una frase della canzone “Il costume da torero”, quella cantata dal coro di bambini (quasi per creare un’identità sociativa), “la realtà è una merda, ma non finisce qua!”. Indossato il costume per cercare di salvare il mondo, Brunori procede nel disvelamento e ci fa interrogare se sia vero che a casa tutto vada bene. Non va niente bene forse in un Paese, l’Italia, profondamente fratturato fra “la metropoli che ancora incanta/ e la provincia ferma agli anni 80” (dal testo di “Lamezia Milano”). Un’indagine approfondita, senza dovere di cronaca, senza la pesantezza del dossier, su un Paese che tenta disperatamente di inserirsi nel mondo occidentale, imitandone modi e costumi soltanto per moda, senza consapevolezza: questo sta, per esempio, nel testo di “Secondo me” oppure dell’”Uomo nero”. In particolare in quest’ultima canzone sono palesate le antitesi ideologiche che forse caratterizzano ogni italiano ovvero credere nella famiglia, ma non nella solidarietà e nell’accoglienza, accettare la morale cristiana, senza applicarla quotidianamente. Il testo dell’”Uomo nero” si chiude con una constatazione molto semplice: tutto quanto ognuno pensa di se stesso è indisponibile persino a se stesso, non basta affatto. Chiude infatti la canzone una disillusa affermazione “e invece no” che ribalta il pregiudizio, e che ritroviamo identica nel finale di “Don Abbondio”.
Don Abbondio è la maschera che comprende tutti i caratteri stigmatizzati dal cantautore: il buonismo e l’omertà che ci fanno rispondere appunto “A casa tutto bene”, “Don Abbondio è nel mio sguardo che si poggia sempre altrove/ per paura che agli indizi poi si aggiungano le prove”.
Forse una risposta alla incapacità di mantenersi coerenti nella propria vita è nel testo della “Vita liquida”, dove -riprendendo la teorizzazione dei sociologi contemporanei- Brunori canta di una società in cui il mito del progresso oggi si declina in una corsa senza freni verso il nulla, poiché tutto è liquido e annichilito. Il problema è che dallo stato liquido si può passare a quello gassoso e l’uomo contemporaneo sembra essere destinato da se stesso all’evaporazione.
Ognuno di noi, poi, nasconde un mostro: è quanto troviamo, per esempio, nelle canzoni “Colpo di pistola” o “Diego e io”, quest’ultima dedicata al travagliato amore di Frida e Diego. “Colpo di pistola”, in particolare, è molto vicina alla seguente “Sabato bestiale”. In entrambe infatti si precisa la ferinità dell’uomo, che si maschera di ideali “con la barba da intellettuale” (dal testo di “Sabato bestiale”), per scoprirsi invece una pecora o un maiale, un essere abominevole, uguale a tutti. Non c’è pretesa di dare giudizi, perché nessuno è realmente al di sopra dell’altro: chi uccide la propria donna, come in “Colpo di pistola”, non è più condannabile di chi la tradisce, come nella storia di Diego e Frida. Ed entrambe le storie, l’una dal punto di vista del carnefice, l’altra della vittima, si chiudono con la tragica constatazione dell’irrimediabilità. Questa stessa annichilente idea è alla base della prima canzone “La verità”, poi forse di tutto il lavoro di Brunori, laddove si enuclea il senso di una vita che si aggrappa a “quelle 4 o 5 cose a cui non credi neanche più”, o si affida al sorriso del nipote, ai ricordi (come nel testo della “Vita pensata”), perché la vita va vissuta e non pensata, va vissuta con leggerezza. Tutta la disarmante e spesso irraggiungibile leggerezza che sta anche nella “Canzone contro la paura”, un manifesto ideologico, che orgogliosamente pop, dice di rifiutare le canzoni impegnate (perché in cosa ci si impegna oggi?), politiche e forti come schiaffi a favore di canzoni leggere, che ti consentono di essere felice nell’unità di tempo della loro durata.
Allora evviva le canzoni di Brunori!