Federico Musardo
pubblicato 6 anni fa in Arte

Andy Warhol a Roma

Andy Warhol a Roma

Da domani 3 ottobre al 3 febbraio del 2019 sarà possibile visitare, presso l’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano, a Roma, una mostra dedicata ad Andy Warhol, artista cruciale della seconda metà del secolo scorso che oggi avrebbe avuto novant’anni.

Sono oltre 170 le opere esposte, partendo da quando Warhol, attraverso la serigrafia, riprodusse la serie Campbell’s Soup (1962). Come sarebbe avvenuto con la Coca-Cola, il giovane e eccentrico artista americano, figlio di immigrati slovacchi, è affascinato dagli oggetti d’uso comune, acquistati e consumati sia dall’uomo medio che dal grande imprenditore.
Warhol affermava di non interessarsi alla politica, anche se è indubbio che le sue opere suscitino tuttora riflessioni profonde sulla società dei consumi e sui bisogni innecessari di ciascuno.

La mostra, strutturata come un racconto attraverso le immagini, ospita molti ritratti eseguiti dall’artista, aventi come soggetto sé stesso o icone del suo tempo (Marilyn Monroe, Liz Taylor; tra gli italiani, gli stilisti Armani, Versace, Valentino). Una sezione del percorso espositivo è dedicata ai rapporti dell’artista con il mondo musicale (ritratti, copertine di dischi), un’altra alle sue polaroid, attraverso cui Warhol immortala sempre le celebrità. L’ultima sala della mostra ospita opere afferenti al mondo del cinema (ancora ritratti: di Silvester Stallone, Judy Garland, Arnold Schwarzenegger).

Durante tutta la sua vita, come personaggio e come artista, Warhol scosse profondamente le fondamenta dell’arte tradizionale; durante la sua prima esposizione, il 9 luglio del 1962, espose per esempio delle normalissime lattine. Il mondo delle accademie e i benpensanti reagirono stizzosamente alle sue curiose e inedite opere d’arte. Nacquero molte polemiche a proposito dell’autenticità, irripetibilità di tali manufatti, ormai violati dal mondo della tecnica.

Warhol si interessò a tutte le declinazioni possibili dell’arte pop, commerciale, pubblicitaria. Niente più che una semplice banana (prima gialla, poi provocatoriamente rosa) illustra la copertina del primo album dei Velvet Underground (The Velvet Underground & Nico, 1967).

I suoi ritratti sono iconici, seriali, imprecisi: oltre a Liz Taylor, un messaggio visivo talmente rappresentativo della contaminazione di Warhol con la società da arrivare a coincidere banalmente con la sua arte, egli ritrasse più volte anche un Mao Tse-tung in primo piano, pieno di colori, dall’espressione compiaciuta e quasi sornione. Ritrarlo non fu una scelta neutra: sappiamo quanto il dittatore cinese e il suo programma politico-culturale influenzassero allora (e avrebbero influenzato) la politica giovanile di tutto il mondo. In Italia, per esempio, quella maoista fu una corrente di pensiero sorprendentemente fertile tra le fila della sinistra extraparlamentare.

Warhol ritrasse perfino Lenin, non a caso tutto rosso. Potremmo chiederci perché preferì non ritrarre altre personalità politiche della storia, se non fosse che le sue opere raffigurano soggetti radicalmente contemporanei. Il presente sembra infatti sempre interpretato e raffigurato in prospettiva futura.

Fu tra i primi e più illustri rappresentanti dell’arte digitale, lavorando perfino al computer (allora un Commodore Amiga 1000, avveniristico per quei tempi, rudimentale per i nostri). Warhol, un’icona artistica, fu d’altronde uno dei padri della moderna street art.

 

 

L’immagine in evidenza proviene da: http://www.ilvittoriano.com/mostra-warhol-roma.html