Rai Play e il cinema cult italiano
Il cinema italiano è una colonna portante del catalogo di Rai Play, dagli anni ’50 fino alla fine degli anni ’70 partendo da registi come Fellini, Monicelli e Risi fino ad arrivare a Dario Argento. In questo ampio spettro cinematografico alcune delle pellicole presenti sono dei veri e propri pezzi fondamentali della storia del cinema italiano. Nell’articolo sono stati presi in considerazione, e consigliati, solo alcuni film, celebri e meno, dei più famosi e riconosciuti registi italiani.
Il bidone (Federico Fellini, 1955) narra di tre truffatori, Augusto, Picasso e Roberto, che sono specializzati in “bidoni” ai danni di poveri contadini creduloni. Quando la moglie di uno dei tre comincia a sospettare delle loro attività il trio entra in crisi. In questa pellicola le radici neorealiste del regista sono ancora presenti, un racconto amaro che si muove in maniera rapida dall’umile paesaggio rurale contadino sino ai salotti borghesi composti da una miscela di feste e spogliarelli. Una rappresentazione crudele della realtà di quel tempo che lascia poco spazio alla speranza nello spettatore.
Pellicola emblematica, e di apertura, della commedia all’italiana, I soliti ignoti (Mario Monicelli, 1958), racconta invece di cinque ladri in erba che hanno una soffiata per un colpo semplice e sicuro: svaligiare la cassaforte del Monte di Pietà. La preparazione del colpo è molto minuziosa, e per aprire la cassaforte prendono lezioni da uno scassinatore in pensione, Dante, che purtroppo non può partecipare alla rapina. Scritto dal regista insieme a Age, Scarpelli e Suso Cecchi D’amico questa commedia non palesa più vicende, mascalzonate, scaturite dalla povertà, ma inizia a volgere lo sguardo verso i beni di consumo, industriali, frutto della modernità. Una comitiva di perdenti interpretata da attori come Mastroianni, Gassman e Totò che restituisce una commedia divertente e ancora attuale. L’Italia dei primi anni ’60 è l’Italia del miracolo economico, ma è anche quella dei compromessi politici, dei tradimenti sociali, dello sviluppo industriale, del divario tra Nord e Sud, delle evasioni fiscali e dei primi scandali che vengono a galla.
Un nazione che contrappone l’inizio della rivoluzione dei costumi a preoccupanti problematiche di arretratezza socio-culturale. In questo contesto Divorzio all’italiana (Pietro Germi, 1961) racconta di un barone siciliano, Ferdinando Cefalù (Marcello Mastroianni), che si innamora di Angela (Stefania Sandrelli), una cugina sedicenne da cui è ricambiato. L’unico ostacolo al coronamento del sogno d’amore è rappresentato dalla petulante Rosalia, moglie di lui, ma l’arrivo in paese del pittore Carmelo Patanè, vecchio amante della signora, aiuterà a sistemare le cose. Una commedia divertente, grottesca, folkloristica e caricaturale che unisce elementi politici e sociali che fotografano, emblematicamente, il periodo.
Sempre di Pietro Germi nel catalogo Rai Play è presente un’altra celebre pellicola, Sedotta e abbandonata (1964), che segue la tematica descritta in precedenza. Agnese (Stefania Sandrelli), una ragazza siciliana di quindici anni viene sedotta da Peppino, il fidanzato di sua sorella maggiore. Quando Vincenzo, suo padre, scopre che la ragazza è incinta la costringe a sposarsi con Peppino, che però scappa via, dando così inizio ad una serie di vicende che saltano dal drammatico al comico, sottolineando la solitudine in cui Agnese è costretta a vivere.
l film L’uccello dalle piume di cristallo (1970), opera prima del maestro Dario Argento, racconta la storia dello scrittore americano Sam Dalmas che alla vigilia della sua partenza da Roma per gli Stati Uniti, assiste al ferimento di una donna, Monica Ranieri, accoltellata da una figura misteriosa, subito scomparsa nel nulla. Quando il commissario Morosini, che dirige le indagini, lo informa che potrebbe trattarsi della stessa persona che, in breve volgere di tempo, ha ucciso, con armi da taglio, tre ragazze, Sam rinvia la partenza e si mette a indagare per suo conto. Un lungometraggio prezioso che unisce il giallo e il noir e che focalizza le immagini in movimento sulla visione, percezione, dello spettatore. Il regista, con un montaggio carico di suspance e costituito dalle testimonianze visive e uditive del protagonista, gioca con la ricostruzione dei ricordi e degli sguardi.
Non poteva mancare un cult del cinema horror italiano come Suspiria (Dario Argento, 1977), dove la trama ruota intorno alla giovane americana Susy (Jessica Harper) che si trasferisce a Friburgo per studiare danza, ma si trova al centro di una serie di efferati delitti. Il regista si muove dal thriller all’horror, firmando un classico del genere accompagnato dalle musiche dei Goblin. Una sorta di esaltazione della follia che si muove in un labirinto architettonicamente colorito, accesso ed estetizzante.
La proprietà non è più un furto (Elio Petri, 1973) narra di Total (Flavio Bucci), giovane impiegato di banca, allergico al denaro, al punto che gli fa schifo toccarlo e disprezza chi lo possiede. Convinto che il mondo sia fatto di ladri, quelli che si professano tali e quelli che si arricchiscono alle spalle degli altri, crede di aver individuato un appartenente alla seconda categoria in un macellaio (Ugo Tognazzi) cliente della banca per cui lavora e decide di prenderlo di mira. Un film provocatorio, denso e riflessivo che attraverso la profondità dei dialoghi e delle immagini evocative rappresenta le ossessioni personali del protagonista e l’aperta critica alla società dei primi anni ’70.
Di Francesco Rosi è possibile vedere Lucky Luciano (1973). Salvatore Lucania, alias Lucky Luciano (interpretato da Gian Maria Volonté), è l’indiscusso capo della malavita italoamericana sin dal 1931, quando prese il potere mediante l’eliminazione di una quarantina di avversari. Nel 1946 il governatore Thomas E. Dewey (che nove anni prima lo aveva condannato in veste di giudice) lo rispedisce in Italia come persona “indesiderabile”. Da quel giorno il protagonista vive a Napoli una vita apparentemente tranquilla e ineccepibile, ma voci ricorrenti lo accusano di essere l’ispiratore di un traffico internazionale di droga. Un film che racconta la realtà, e che si focalizza sulla verità dei fatti, attraverso una narrazione costituita da flashback, salti temporali e una caratterizzazione hollywoodiana, in stile gangster movie.
In Profumo di donna (Dino Risi, 1974), tratto dal romanzo Il buio e il miele di Giovanni Arpino e con due candidature agli Oscar nel 1976, il capitano Fausto Consolo (Vittorio Gassman), divenuto cieco dopo un incidente, nasconde il proprio dolore dietro una maschera di cinismo. Un soldatino, Giovanni Bertazzi (Alessandro Momo), lo accompagna in viaggio da Torino a Napoli. Un’opera dal riso amaro, lungamente drammatica ma occasionalmente divertente, esaltata dalla straordinaria interpretazione di Vittorio Gassman. Sempre Dino Risi, quindici anni dopo I mostri (1963), questa volta affiancato da Mario Monicelli e Ettore Scola, realizza una nuova commedia satirica in quattordici episodi, I nuovi mostri (1977); una commedia amara – interpretata da Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Ornella Muti – che verte, con cinismo, sulla mediocrità e sulle preoccupazioni di quel periodo storico.