“Mudbound” di Dee Rees
storia del passato, storia dal presente
Tratto dall’omonimo romanzo Mudbound (nella versione italiana Fiori nel fango, edito da Neri Pozza) di Hillary Jordan, la trasposizione cinematografica della regista Dee Rees, con quattro candidature agli Oscar nel 2018, racconta le vicende di due famiglie, una bianca e una nera, in una fangosa e usurante fattoria nel Mississippi (Stati Uniti), durante i primi anni ’40. La famiglia McAllan si trasferisce nella fattoria subito dopo l’entrata in guerra da parte degli Stati Uniti irrompendo nella vita della famiglia Jackson, mezzadri che da generazioni cercano di racimolare alcuni risparmi per poter acquistare un terreno da coltivare autonomamente. Un paesaggio rurale coperto da nuvole grigie sullo sfondo, il fango ed una buca.
Mudbound si apre visivamente in questo modo, con un flash forward mortifero e cupo che assorbe lo spettatore nell’atmosfera cruda e razziale di una realtà filmica e storica. La narrazione, come un montaggio alternato, mette a confronto la vita delle due famiglie attraverso le loro diverse problematiche che, per certi aspetti, trovano molteplici punti in comune.
Le sequenze infatti, personaggio dopo personaggio, sono accompagnate dalla voce over che muta in riferimento al protagonista, un modo efficace per presentare le sfaccettature dei componenti della famiglia nello stesso periodo temporale, restituendo un’immediata panoramica caratteriale per comprenderne a pieno la natura psicologica di ognuno. Il momento e il luogo segregazionista in cui prendono vita le vicende fanno venire a galla le discriminazioni razziali, i traumi della guerra, la crisi economica e la violenza «che fa parte della vita di campagna» celate dietro le maschere dei protagonisti.
Inserendo scena dopo scena dei tasselli, degli spunti di riflessioni, per metabolizzare tutte le problematiche del periodo, senza trascurarne i dettagli riferiti alla routine quotidiana, sia dei McAllan che dei Jackson. Entrambe le famiglie sembrano legate dallo stesso destino, due facce della stessa medaglia: chiuse all’interno di una staccionata, o meglio un labirinto, da cui trovare una via di fuga. Un microcosmo nutrito dalla diversità, dalla paura, dalla discriminazione e dalla fatica alleviato solamente dalla speranza e dalla fede. Evasione però che cambia per i differenti personaggi, come la moglie di Henry (Jason Clarke), Laura (Carey Mulligan), che tenta di evadere per mezzo dell’arte suonando il pianoforte, o leggendo un libro, oppure Jamie (Garrett Hedlund), il fratello minore di Henry, che cerca di dimenticare la violenza della guerra vissuta con il whisky. L’intreccio narrativo prende forma proprio durante l’accostamento, e mettendo in evidenza le similitudini, tra Jamie e Ronsel (Jason Mitchell) il figlio maggiore della famiglia Jackson, ovvero i due opposti di quel periodo, il bianco e il nero. Entrambi chiamati e arruolati per combattere contro lo stesso nemico e, finita la guerra, costretti a tornare dalla proprie famiglie nella fattoria; hanno subito lo stesso trauma post-bellico, vedendo i compagni uccisi proprio sotto i loro occhi, e successivamente sono uniti dalla sopravvivenza nella fattoria e dallo scontro con il Ku Klux Klan.
Ma se per Jamie la problematica è circoscritta alla presenza ingombrante della guerra o quella del fratello maggiore per Ronsel è ancora più difficile perché la guerra, soprattutto l’Europa, gli ha permesso di intravedere un mondo, almeno in parte, senza discriminazioni e trovare l’amore di una ragazza bianca; una cosa impensabile per il Paese di bifolchi bianchi da cui proveniva.
La regista Dee Reese con Mudbound tocca innumerevoli corde tematiche, dal maschilismo, al razzismo fino alla religione, con uno sguardo accurato ma “distante” lasciando un vasto spazio interpretativo allo spettatore, senza giudizi.
Proprio in questo momento storico, le tematiche del passato di Mudbound si trasformano in chiavi fondamentali per aprire le porte, menti, culturali del presente e, magari, del futuro.