All’Opera di Roma in scena “Zaide” di Mozart con il testo aggiunto di Italo Calvino
Questa sera, domenica 18 ottobre, andrà in scena presso il Teatro dell’Opera di Roma la prima di Zaide. Un titolo decisamente nuovo per la grande maggioranza del pubblico. Del resto l’ultima rappresentazione in Italia risale a oltre trent’anni fa, presso il teatro La Fenice di Venezia. Zaide è uno singspiel (un genere operistico in lingua tedesca caratterizzato dalla commistione di parti parlate e parti cantate) di Mozart, postumo e rimasto incompiuto. Rimangono solamente quindici brani musicati in due atti.
Nel 1981 Calvino lavora attorno a questi brani, creando un racconto-cornice nel quale avvolgerli. Lo fa tuttavia senza permettersi di proporre un finale unico ed esaustivo, bensì cogliendo la forza intrinseca e il valore di un’opera incompiuta, ovvero il prestarsi potenzialmente a molteplici punti di svolta e a finali sempre nuovi. Calvino dunque, dopo averci presentato il quadro iniziale di una storia che si svolge in un oriente esotico, sensuale ed affascinante, lascia spazio al testo del librettista Schachtner e alla musica mozartiana. Quando ormai lo spettatore è trasportato e inebriato dalle note, così come i due protagonisti, Zaide e Gomatz, sembrano esserlo dal loro amore (Gomatz:«O Zaide, o Zaide che ristoro, che piacere!», Zaide e Gomatz: «se ora si fermasse la ruota del destino e non girasse mai più!», Gomatz: «O Zaide, che gioia!», Zaide: «Gomatz, che beatitudine!»), ecco che interviene il narratore, che guida lo spettatore in un viaggio sorprendente fra i molteplici possibili finali. Nell’opera diretta da Daniele Gatti, con regia di Graham Vick, il narratore in questione è Remo Girone.
Non si tratta però di una semplice narrazione: l’attore veste i panni di Calvino, accompagnando e “dirigendo” i personaggi del dramma scena per scena, o meglio storia per storia, in ogni possibile risvolto della trama. Le aggiunte proposte da Calvino al testo originale sono in grado di conciliare i colpi di scena legati a ogni proponimento narrativo, al pathos già presente nel testo originale (Zaide: «Tigre! affila le tue unghie, godi della preda carpita! Punisci una stolta fiducia nella tua simulata tenerezza! Ma, su presto, uccidici entrambi, succhia il caldo sangue dell’innocenza, strappa il cuore dalle viscere, e sazia la tua furia!»), travolgendo così il pubblico, che si lascia condurre da un narratore chiaro, ironico, artefice in fondo dei destini dei personaggi, ma al contempo partecipe dei loro sentimenti e desideri.
Una struttura dunque originale, innovativa, al confine tra opera e racconto, in grado di consegnarci uno spettacolo dalle tinte leggere e al contempo decisamente intense, nella commistione di musiche sognanti, della soave bellezza dei testi, e del tocco di leggerezza apportata da Calvino-narratore-osservatore, che mette in scena quasi un gioco letterario, quel gioco che può permettersi il creatore di mondi, l’autore. E infine, dopo le svariate ipotesi che il narratore ha fatto inscenare ai suoi personaggi, giunge una conclusione, ma sempre nel segno della possibilità, dell’indefinitezza:
Così rimangono sospesi, in un’opera che sembra stia per finire immediatamente e che invece non finisce, tra parti cantate che sono come lapislazzuli e ametiste incastonati in un mosaico azzurro, indaco e pervinca. (da un dattiloscritto di Calvino).
Il paragone fra le musiche di Mozart e le splendenti gemme non è solo in grado di sottolineare la bellezza e la ricchezza di quest’opera, ma anche di trasportarci ancora più a fondo in questo immaginario orientale, onirico e suggestivo.
A questa originalità della forma, si aggiunge, una scena che stupisce fin dal primo impatto lo spettatore: tra giochi di luce e ombre, veli, passaggi misteriosi, l’elemento esotico, nella sua sensualità, è costruito, inaspettatamente, all’insegna dell’essenzialità, riuscendo tuttavia a consegnare uno spazio evocativo e fascinoso.
Zaide apre dunque la stagione corrente dell’Opera di Roma. Una riapertura importante in tempi di incertezza, che non a caso sceglie un’opera i cui protagonisti aspirano alla libertà rimanendo comunque capaci di “accogliere il proprio destino”, affrontando i molteplici finali proposti con un’inesauribile speranza e forza interiore.