Cent’anni di solitudine si aggiudica il primo Culturneo
Per il periodo delle feste, su Instagram, abbiamo pensato a un modo un po’ curioso per consigliarvi un libro. Ognuno della redazione del Culturificio ha scelto quello che ha amato di più durante quest’anno. Tra libri freschi di stampa e grandi classici, letture di una vita e nuove scoperte, sedici titoli hanno partecipato al primo (e speriamo non unico) agone libresco del Culturificio – il Culturneo, appunto. Dopo un sorteggio imparzialmente causale, dai sedicesimi di finale al battibecco definitivo, i nostri consigli hanno battagliato fino all’ultimo voto: dalla schiera dei soccombenti, sempre più folta, si è salvato soltanto Cent’anni di solitudine, sicuramente il romanzo più noto di Gabriel García Márquez, scelto per l’occasione da Martina Madia. Fino all’ultimo giorno dell’anno appena passato siete stati voi, dunque, attraverso i sondaggi su Instagram, a laurearlo vincitore.
In brodo di giuggiole, paga degli onori della vittoria e lo stesso intimorita dagli oneri la nostra Martina, ormai inavvicinabile per la sopraggiunta fama, ha commentato così l’esito (per lei) felice del primo Culturneo:
Se, come me, avete evitato per anni la lettura di Cent’anni di solitudine, a causa di quel timore reverenziale che è quasi inevitabile provare per i conclamati capolavori della letteratura, sappiate che non ce n’è alcun motivo: le vostre aspettative non verranno malamente disattese.
Gabriel García Márquez ha dichiarato di aver scritto questo romanzo basandosi sul modo in cui sua nonna raccontava meravigliose storie fantastiche con profonda naturalezza. È così che nascono il villaggio di Macondo e la famiglia Buendìa, in un realismo magico che rende labili i confini tra ciò che esiste e ciò che non si vede. Sei generazioni della famiglia Buendìa si avvicendano, in un tempo che resta invariato pur mutando continuamente, legate alla terra che le ha generate quasi come vittime di una maledizione. Quella creata da Márquez è un’utopia letteraria che si presta a più livelli d’interpretazione e travolge il lettore mettendo in scena il grande paradosso di un mondo sovraffollato ma pervaso dalla solitudine. È una lettura che consiglio di affrontare senza la pretesa di razionalizzare ogni cosa, lasciando che i personaggi si sovrappongano con i loro nomi identici e le loro sorti simili, proprio come fosse un’esperienza onirica.
A Culturneo finito, fuorché Martina troppo scorati per la sconfitta – «Cent’anni di solitudine è la perfetta descrizione di chi ha perso il torneo», ha ammesso mesta Anita – siamo rimasti a guardare. Abbiamo chiesto a voi di commentare Cent’anni di solitudine – ed ecco cosa ci avete scritto:
Microcosmo umano senza precedenti. Scrittura di fuoco, limpida, feroce e diretta: si sente il caldo tropicale mentre si legge questo libro, si vedono i fiori colorati, le piante carnivore, le farfalle… si sentono quasi le zanzare. Resta nell’anima il sapore amaro della vita, ma sempre con l’ironica speranza e leggerezza di essere in fondo solo un puntino di Umanità. Lettura senza tempo, sarò sempre grata a Márquez. – arual_g_
Fare silenziosamente ingresso a Macondo significa perdersi tra le radici, i rami, i fiori della famiglia Buendìa, incantarsi al cospetto di una cultura distante e magica, vagare fra il reale e il surreale, ritrovarsi fra sentimenti resistenti al tempo e nostalgia. – giuliasolange
L’ho letto tanti anni fa e mi ha rapito. Bisogna leggerlo con attenzione, Márquez è magico e geniale, mescola realtà e fantasia così che anche la nostra vita sia più leggera e sopportabile… – giorgiavazzoler
Cent’anni di solitudine credo sia la storia di tutti noi: chi non si è mai sentito solo, abbandonato, incompreso, almeno una volta?! È però da quelle situazioni di contrasto con il mondo che dobbiamo far uscire il meglio di noi, proprio in quel momento in cui siamo messi alle strette. Se non altro, se Aureliano non fosse rimasto solo nella stanza di Melquíades, non avrebbe decifrato le tavole, e messo fine ai cento anni di solitudine. È quindi in questo periodo – che ci sembra morto – che dobbiamo trovare la forza per rinascere, da una solitudine forzata. Dobbiamo, prima di tutto, imparare ad essere più solidali con gli altri e soprattutto a perdonare (la solitudine sarebbe stata sicuramente alleviata se Ursula avesse perdonato Rebeca), il segreto sta nell’unione di tutti noi contro le avversità della vita, contro gli ostacoli che ci propone, contro il famoso covid-19. La solitudine è quindi una condizione, seppur dolorosa, indispensabile nella vita umana, come ci insegna Márquez: “Il segreto di una buona vecchiaia non è altro che un patto onesto con la solitudine”, quindi bisogna accettarla e farne tesoro. – poisonouste
Tempo. Cent’anni di solitudine non è soltanto la storia di una famiglia, di intere generazioni, ma va al di là, descrivendo la storia del tempo. Mischiato a miti, solitudine, rassegnazione e scienza. Macondo è un universo in cui il tempo fa da padrone. Quel tempo che persiste in molti scritti, ora mi viene in mente Il deserto dei tartari. La fine è nota, la morte è scritta, ma il viaggio e il tempo passato ad arrivare ad essa che conta. Márquez cattura il lettore in tutti i suoi scritti, ma forse qui più che in altri. – rin_lucas
Portentoso. – rossanapetralia
Etereo. – ariitahan
Monumentale, epico, immaginifico e pieno di spunti, particolari, dettagli. – marco_paiatto
Un racconto surreale e ironico di uno scorcio di vita reale. – sfrully
Cent’anni di solitudine è l’epopea di una famiglia, di un popolo, di un Paese che potrebbe essere il nostro… La magia e la poesia che possiamo trovare nelle pagine di questo capolavoro ti trascina in un mondo che avresti tanto voluto vivere e conoscere… o in fondo è come se lo avessimo fatto, leggendolo. – gabriele_flaco
Rispondo con le parole di Borges: “Si tratta di un libro originale, al di sopra di ogni scuola, di ogni stile e privo di antenati”. – nausicaaulisse
“Non si è di nessuna parte finché non si ha un morto sotto terra”. Così afferma Ursula al marito, ribattendo con dolce fermezza: “Se è necessario che io muoia, perché gli altri restino qui, io morirò”. Questo è il passaggio che più mi è rimasto impresso, nella dialettica uomo-donna, in un contesto in cui la realtà può essere molto più magica dell’immaginazione. – stefania_girotto
Sull’incipit, avete scritto:
L’incipit più bello – filippoattardi
Il miglior incipit (e forse il miglior romanzo) di tutti i tempi. – supermanga
Brividi. – betty_z_y
Uno squarcio di luce nel buio… – rosario_biancospino
Tre righe che scatenano il desiderio di saperne di più su Aureliano e la sua storia, che ti fanno entrare in un mondo da cui – parlo per me – non uscirai più! – mariacri49
È magico, indimenticabile. – lupaermal
Due redattrici del Culturificio sotto mentite spoglie, poi, hanno detto che
io mi son sempre immaginata Melquíades come Tarabas di Fantaghirò (nonostante tutto); Márquez ha costruito più generazioni di quante ne abbiano i Pokémon (il che non è poco).
Cent’anni di solitudine è un libro magnifico, claustrofobico (ma non lo dico come se fosse un male). Quando l’ho letto mi sentivo stretta nelle strade di Macombo ma a distanza di mesi rimane molta bellezza.
Sic terminat culturneum. Nuovi culturnei arriveranno, ma questa è un’altra storia – di Instagram.