Colore, razza e capitale: l’eredità di W. E. B. Du Bois secondo Marco Sioli
Il viaggio fu ancora una volta un’esperienza fondamentale per consolidare il senso di appartenenza a un mondo non bianco. Un mondo composto di gente di colore che costituiva la grande maggioranza dell’umanità. Da questi viaggi verso Oriente e dalla fascinazione che il mondo sovietico e cinese esercitò su di lui prende il via questo volume che terminerà con l’esperienza in Ghana alla fine della sua lunga e produttiva esistenza piena di grandi dolori, ma allo stesso tempo di enormi soddisfazioni.
«La Cina è carne della vostra carne, sangue del vostro sangue. La Cina è di colore e sa che cosa questo significhi per chi possiede una pelle di colore nel mondo contemporaneo». W. E. B. Du Bois
Dallo scorso 7 ottobre è possibile acquistare All’ombra di Mao. W.E.B. Du Bois, un afroamericano tra Urss, Cina e Africa, testo di Marco Sioli edito da Sandro Teti Editore. L’autore ripercorre la vita e l’operato del sociologo americano William E. B. Du Bois (1868-1963). Storico, scrittore e attivista, figura chiave per lo sviluppo di una critica antirazzista, pacifista e decoloniale, fu il primo afroamericano a laurearsi ad Harvard; perseguitato per le idee comuniste, è stato a lungo sottovalutato negli Stati Uniti e in Europa. Sioli enfatizza in particolar modo il suo legame con una visione internazionalista e socialista della questione razziale. Il carattere transnazionale del pensiero di Du Bois è evidente fin dal titolo, che chiama in causa niente di meno che Mao Zedong. Lo studio di Sioli si distingue infatti per l’attenzione dedicata al ruolo delle alternative comuniste (Unione Sovietica e Repubblica Popolare Cinese) nella formulazione e nello sviluppo del panafricanismo di Du Bois.
A Sioli, professore associato di Storia e istituzioni delle Americhe all’Università degli Studi di Milano, interessa il Du Bois pensatore dinamico e in costante evoluzione, capace di intercettare mondi diversi ed esperienze eterogenee, più che quello diventato emblema di pacifismo e antirazzismo. Il suo panafricanismo si pone come punto di arrivo di un percorso intellettuale di ampissimo respiro.
Lo sviluppo più rilevante è il passaggio di Du Bois dalla teoria della “linea del colore” (esposta nel suo capolavoro Le anime del popolo nero, 1903) all’interpretazione in chiave economica del razzismo; disilluso rispetto al percorso americano, viaggia attraverso l’universo sovietico e poi cinese e giapponese, per approdare infine in Africa. Leggendo il testo di Sioli seguiamo Du Bois nei suoi movimenti sulla base di varie fonti: gli scritti suoi e della moglie, gli articoli dei quotidiani internazionali come la «Pravda» e il «Quotidiano del popolo», ma anche i report dell’Fbi, che lo teneva sotto osservazione a causa della sua presunta pericolosità sociale.
Gli ideali pacifisti e anticapitalisti, uniti alle aspre critiche nei confronti della “falsa democrazia” americana e alle simpatie per i membri del clandestino Cpus, lo costrinsero sotto l’occhio dell’intelligence federale. L’accanimento culminò in un processo; Du Bois fu assolto, ma risultava evidente la scomodità delle sue idee.
I viaggi in Unione Sovietica (1926 e 1958) lo colpirono profondamente; in treno osservò l’immensa vastità del panorama russo, con i suoi boschi e il lago Bajkal, fino alle steppe della Mongolia, ed entrò a contatto con la popolazione operaia. Ai suoi occhi il miracolo sovietico appariva così incredibile (soprattutto le politiche di alfabetizzazione e istruzione) da portarlo, nonostante qualche perplessità, a sorvolare sulle efferatezze dello stalinismo.
Fu però soprattutto il maoismo, e in particolare le teorie dell’egualitarismo, ad affascinare Du Bois, che sviluppò un forte senso di comunanza con i cinesi. Anch’essi con alle spalle un passato di schiavismo e soprusi da parte dei colonialisti bianchi, erano riusciti a rialzarsi e a porre le basi per un’alternativa socialista al modello americano.
Nel corso della lettura incontriamo numerosi personaggi con cui Du Bois si confrontò a vario titolo: la consorte e autrice Shirley Graham, politici e capi di stato come Mao Zedong, Stalin, Chruščëv, Kwame Nkrumah e Zhou Enlai, oltre a figure di spicco della cultura e dell’attivismo: il poeta Claude McKay, i grandi scrittori Lao She, Mao Dun e Guo Moruo, la giornalista Anne Louise Strong, il cantante lirico comunista Paul Robeson, l’intellettuale e politico George Padmore e altri. Prescindendo infatti dalle tematiche sociologiche, questa biografia è anche il racconto di una vita lunga e incredibile.
Il libro di Sioli offre uno spaccato molto interessante sull’America in cui si muoveva Du Bois e sul movimento per i diritti civili degli afroamericani. È anche importante portare alla luce una posizione alternativa a quella di Martin Luther King, a dimostrazione del carattere polifonico e complesso delle lotte dei neri. Du Bois, a differenza di King, mette in discussione la possibilità della liberazione del popolo nero nella società americana capitalista, perché la radice della questione razziale è da rintracciare proprio nelle dinamiche del capitale. Du Bois fu insomma una figura sui generis, così orientata alla pace e alla liberazione mondiale da essere quasi sfruttata nel gioco crudele della realpolitik (fu così senz’altro con la moglie, strenua apologeta delle iniziative cinesi in tutto e per tutto). Nelle pagine conclusive, Sioli si sofferma proprio sulla divergenza di obiettivi tra Mao, leader politico capace e senza scrupoli e Du Bois, pensatore pacifista e outsider:
W.E.B. Du Bois era stato un profondo amante della pace e del comunismo visto come un progetto politico che valorizzava l’istruzione, il lavoro per tutti e la libertà per gli individui di qualsiasi razza, classe o religione.
Leggendo il testo non possiamo fare a meno di chiederci cosa sia rimasto oggi del pensiero e degli insegnamenti di Du Bois. Possiamo interpretare i suoi scritti e la sua storia come antesignani di alcuni tra i più importanti e complessi temi della nostra contemporaneità: la crisi della democrazia occidentale; l’intersezione tra questione razziale, femminile e di classe; l’affermazione della Cina come alternativa non solo economica, ma anche culturale, rispetto alla supremazia degli Stati Uniti.
Sioli si chiede cosa avrebbe detto Du Bois delle efferatezze commesse dalle Guardie Rosse durante la Rivoluzione Culturale; uno di passi più belli del libro è proprio la descrizione della tragica fine di Lao She, spinto al suicidio dalle umiliazioni da parte dei giovani rivoluzionari. Viene da chiedersi anche se Du Bois avrebbe continuato a prendere le parti del PCC durante la presidenza di Deng e la diffusione del motto “arricchirsi è glorioso”. Chissà cosa direbbe oggi delle politiche cinesi in Africa, a Hong Kong, nello Xinjiang. E cosa avrebbe detto nel 1991 davanti alla fine dell’URSS e alla conseguente frammentazione degli stati che ne avevano fatto parte. Non possiamo saperlo; possiamo invece auspicare che lo studio del suo pensiero contribuisca ad aumentare la nostra capacità critica, anche su questi temi.
Se posso permettermi di chiudere con una nota personale, ho iniziato la mia tesi di laurea magistrale introducendo proprio il concetto di linea del colore. Non si parlava di razzismo in senso stretto, ma della letteratura della diaspora cinese, riscoperta anche grazie alla progressiva decolonizzazione del campo letterario. Questa convergenza a mio avviso è un esempio dell’importanza trasversale del pensiero di Du Bois, che si estende a un’infinità di campi e argomenti. Ecco perché ritengo assai positivo che l’editore abbia dato spazio al testo di Sioli, e mi auguro che ciò possa ampliare la conoscenza di questa figura straordinaria presso il pubblico italiano (ancora troppo scettico, diciamoci la verità, rispetto a una critica del sapere in chiave postcoloniale).
Destati, destati, mondo sopito
Onora il sole;
Venera le stelle, quei soli più vasti
Che regnano sulla notte
Dove il nero è luminoso
E il lavoro generoso è giusto
E l’avidità è peccato.
E l’Africa è alla guida: Panafrica!