Francesca Belfiore
pubblicato 3 anni fa in L'angolo russo

A lezione dal professor Nabokov

Lezioni di letteratura russa di Vladimir Nabokov

A lezione dal professor Nabokov

Sono un professore troppo poco accademico per insegnare cose che non mi piacciono.

Non si può dire che Vladimir Nabokov sia stato un professore canonico. Come molti suoi connazionali costretti a emigrare, si ritrovò a insegnare per necessità: per vent’anni fu professore di letteratura russa negli Stati Uniti, prima al Wellesley College e poi alla Cornell University. Tuttavia, Nabokov era prima di tutto uno scrittore, e in secondo luogo un lettore attento e scrupolosissimo. Quest’ultimo aspetto emerge da ogni pagina di Lezioni di letteratura russa ed è anche l’insegnamento più importante per la sua classe: saper leggere e decifrare la letteratura, senza farsi distrarre dal superfluo.

Come ricorda uno dei suoi studenti, più che fare lezione Nabokov «condivideva la sua attività e le sue esperienze creative». Nel suo approccio ai testi non c’è niente di accademico. Secondo Nabokov nella letteratura non bisogna ricercare le idee, ma le parole e le immagini, perché ogni ideologia finisce per corrodere l’arte; la letteratura non può insegnare niente, tanto meno a stare al mondo; e guai a voler scovare la cosiddetta “anima russa” in ogni romanzo, come tanti critici provavano a fare con ossessione.

Le Lezioni di letteratura russa del professor Nabokov (Lectures on Russian Literature, pubblicato quest’anno da Adelphi in una nuovissima edizione e tradotto da Cinzia De Lotto e Susanna Zinato) riguardano sei dei più grandi scrittori dell’Ottocento russo (Gogol’, Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj, Čechov, e Gor’kij) e sono accompagnate da quattro brevi lezioni di contorno, per aiutare gli studenti americani a districarsi all’interno di un panorama a loro sconosciuto.

Nabokov aveva progettato di raccogliere le sue lezioni, ma non riuscì mai a rifinire questi testi, da lui stesso definiti caotici e sciatti, pensati e scritti con l’unico fine dell’esposizione in classe. Tuttavia, nonostante avesse intimato di non pubblicare mai nessuna delle sue lezioni, si andò contro la sua volontà: la prima edizione, a cura di Fredson Bowers, uscì postuma nel 1980.

La natura poco omogenea e a tratti schematica di queste lezioni, che l’autore avrebbe sicuramente considerato una debolezza, potrebbe però essere vista come uno dei punti di forza del libro. Benché le lezioni si rivolgano a un uditorio universitario, lo stile è molto lontano dalla manualistica e permette quindi a chiunque di avvicinarsi alle lezioni, anche senza nessuna conoscenza pregressa della letteratura russa.

Un appunto però bisogna farlo: Nabokov ha un approccio molto singolare alla letteratura, certo interessante, che però potrebbe finire per confondere i lettori più inesperti o i novizi della letteratura russa. Lui stesso lo specifica più volte:

Mi rendo conto però di come i lettori che non hanno letto molto possano essere disorientati dall’insieme di valori che io metto in gioco.  

L’esempio più lampante è la lezione su Dostoevskij. Nessuno potrebbe contraddirci se dicessimo che, al di fuori della Russia, Dostoevskij è lo scrittore russo più noto. Chi si avvicina per la prima volta alla letteratura russa, di solito lo fa partendo da uno dei suoi romanzi. Incurante di questa fama e mosso dalla volontà di ridimensionare il genio dello scrittore, Nabokov nella sua lezione distrugge tutto quello che Dostoevskij ha scritto.

Per Nabokov, Dostoevskij non è il genio letterario che tutti credono, ma semplicemente uno scrittore mediocre che ha avuto la fortuna di essere innalzato a profeta. In poche pagine analizza i romanzi più famosi di Dostoevskij portando alla luce tutto quello che, secondo lui, non funziona: i personaggi sempre uguali e quasi macchiettistici; le trame mal costruite o comunque prevedibili.

Se l’analisi di tutte le opere di Dostoevskij occupa appena una cinquantina di pagine, al contrario, quando è il turno di Tolstoj, Nabokov fatica a nascondere il suo entusiasmo. La sezione dedicata ad Anna Karenina (o forse dovremmo dire Anna Karenin, come il professore pensa sia meglio tradurre) si dilunga per più di cento pagine, ed è sicuramente la più bella di tutta la raccolta. Non nascondo che questa affermazione potrebbe essere un po’ di parte – Anna Karenina è anche il mio romanzo russo preferito – ma l’amore di Nabokov per questo romanzo traspare da ogni riga ed è impossibile rimanere indifferenti.

Quasi si riesce a immaginarlo: il professore è in piedi di fronte alla classe e sta spiegando ai suoi studenti perché i sogni di Anna e Vronskij sono così importanti, perché tutti i dettagli introdotti da Tolstoj non sono mai casuali, con quell’enfasi che i professori di letteratura dedicano solo al loro romanzo preferito. Nabokov sviscera il romanzo in ogni sua componente, fornendo degli spunti di interpretazione nuovi e inusuali.

Ad esempio, dimostra che Anna e Levin, i due protagonisti paralleli del romanzo, viaggiano spesso a due velocità differenti: se Anna – e Vronskij con lei – corre, in preda a una passione fino a quel momento ignota, Levin rimane indietro di mesi, in attesa di Kitty. Nabokov arriva addirittura a disegnare per i suoi studenti, per rendere visivo quello che stanno leggendo.

L’edizione Adelphi è arricchita sia dei suoi appunti manoscritti, sia degli schizzi: la disposizione dei sedili nel treno che viaggiava da Mosca a San Pietroburgo; l’abito che Kitty indossava il giorno in cui Levin la vede pattinare sul ghiaccio; la tenuta da tennis di Anna.   

È proprio nei dettagli, nelle piccole cose, che si distinguono le grandi opere letterarie. E non è un caso che Nabokov provi una grandissima ammirazione anche per Čechov, maestro russo della short story. I racconti di Čechov, per lo scrittore, sono una chiara manifestazione della letteratura. Non servono centinaia di pagine, frasi contorte, personaggi nevrotici o drammi sociali: la potenza di Čechov sta proprio nel riuscire a cogliere, quasi inconsapevolmente, lo spirito essenziale della vita russa e ci riesce meglio di tanti altri, come ad esempio Gor’kij, che si impegnavano nel dipingere le fatiche della classe proletaria.

Mi spingerò oltre, e dirò che chi preferisce Dostoevskij o Gor’kij a Čechov non sarà mai in grado di cogliere l’essenziale della letteratura russa e della vita russa e, cosa assai più importante, l’essenziale nell’arte letteraria universale.

Le lezioni di Nabokov non seguono un’impostazione predefinita, sono una diversa dall’altra. Come notano Cinzia De Lotto e Susanna Zinato nella loro postfazione, Nabokov è in grado di assumere – in modo quasi camaleontico – lo stile dell’autore che sta presentando alla classe. Quando parla di Gogol’, ad esempio, si lascia andare a digressioni e associazioni molto fantasiose, “gogol’iane” per l’appunto, per poi passare a uno stile fluido e cristallino quando è il turno di Turgenev. Un’esperienza a tutto tondo per i suoi studenti, che si ritrovavano così immersi nell’atmosfera dell’opera che stavano analizzando.

Per me – che ho amato gli anni universitari – leggere questo libro è stato come ritrovarsi di nuovo in aula e rivivere quell’iniziale curiosità che mi ha spinto ad avvicinarmi alla letteratura russa. E sì, forse qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte alle posizioni così poco accademiche del professor Nabokov; qualcun altro potrebbe addirittura tacciarlo di sposare un determinato punto di vista solo per una questione di pura antipatia o di giudizio personale. Nabokov, d’altronde, era un professore sui generis.

Eppure, riesce benissimo nel suo lavoro: non è proprio uno dei compiti del professore farti dubitare di tutto quello che credevi di sapere?