Gianmarco Canestrari
pubblicato 8 anni fa in Altro

‘Alle cose stesse’

Husserl e la fenomenologia

‘Alle cose stesse’

«Sin dai suoi primi inizi la filosofia ha avanzato la pretesa di essere scienza rigorosa e, precisamente, la scienza in grado di soddisfare le più alte esigenze teoretiche e di rendere possibile in prospettiva etico-religiosa, una vita regolata da pure norme razionali. (…) In nessuna epoca del suo sviluppo la filosofia è stata in grado di soddisfare la pretese di essere scienza rigorosa».

Incipit de La filosofia come scienza rigorosa.

 

È così che inizia l’itinerario filosofico di Edmund Husserl, padre della fenomenologia. L’indirizzo fenomenologico non è però una “scuola” filosofica ma semplicemente un modo di pensare, di argomentare, di filosofare. Qual è il senso del “sentire fenomenologico” di Husserl? È il poter e il voler studiare la coscienza ‘depurata’ dai tratti empirici puntando ad essa nella sua purezza, nella sua semplicità. Davanti a questa “epifania fenomenologica” dobbiamo però applicare quella che il filosofo di Prossnitz definì ‘epoché’ (equivalente dell’atteggiamento agnostico degli scettici o del dubbio cartesiano), ovvero la sospensione del proprio giudizio. Grazie a tale atteggiamento possiamo mettere fra parentesi, eliminare tutte le certezze metafisiche per poter tornare alle cose stesse (tale è il motto della fenomenologia), dove possiamo intrattenere con i fenomeni un rapporto autentico ed immediato.

«Facendo questo, come è in mia piena libertà di farlo, io non nego questo mondo, quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno scettico; ma esercito in senso proprio l’epoché fenomenologica, cioè: io non assumo il mondo che mi è costantemente già dato in quanto essente, come faccio, direttamente, nella vita pratico-naturale ma anche nelle scienze positive, come un mondo preliminarmente essente e, in definitiva, come un mondo che non è un terreno universale d’essere per una conoscenza che procede attraverso l’esperienza e il pensiero. Io non attuo piú alcuna esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto». (E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen philosophie, trad. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, a cura di E. Filippini, Einaudi, Torino, 1965, pagg. 65-67.)

Tale sospensione di giudizio non è da considerare però come un togliere definitivamente la realtà esterna, la quale viene solo messa fra parentesi (in Husserl non c’è quindi un antirealismo). La fenomenologia è la ‘Scienza nuova‘ (per dirla con Vico) che traccia i limiti dei fenomeni che si presentano alla coscienza. Ma Husserl per ‘fenomeno’ intende ciò che soddisfa la conoscenza ‘by acquaintance’, la prensione diretta della realtà, non certo i “fenomeni puri” che non possiamo sperimentare nella vita quotidiana e a cui possiamo arrivare attraverso il principio-motto sopra menzionato. Il modus operandi husserliano è simile a quello kantiano: tutti e due pretendono di poter partire dall’esperienza (terminus a quo) per poi superarla, metterla fra parentesi, per arrivare a comprendere gli “elementi puri” (terminus ad quem) delle cose: ecco allora che la fenomenologia husserliana si mostra come una scienza eidetica, che si occupa dell’intuizione delle essenze e non dei dati di fatto. Le essenze non sono idee in senso platonico ma sono pensate, giudicate, volute dalla mente: esse si intuiscono. Husserl affida così al metodo fenomenologico il compito di liberare l’umanità dal suo declino, causato dalle scienze positive e in particolare dall’atteggiamento scientista. La filosofia viene ad essere così l’àncora di salvataggio che può condurre l’uomo fuori dalla crisi.