Clarke: il capitano che salvò il Salvatore
La Seconda Guerra Mondiale si dirige verso l’epilogo. È il 1944 e il Capitano britannico Anthony Clarke sta setacciando il centro Italia insieme alle sue truppe, pronto a liberarsi degli estremi residui di truppe nazifasciste.
Giunge a Sansepolcro, Arezzo, al confine con Umbria e Marche, si appresta ad eseguire gli ordini: due, tre cariche di batteria ma, improvvisa, un’epifania.
Dai suoi diari, rinvenuti nel Dicembre 2011 a Città del Capo:
Dovevo avere diciotto anni quando lessi un saggio di Aldous Huxley. Ricordavo con chiarezza il racconto del suo faticoso viaggio da Arezzo a Sansepolcro e, tuttavia, quanto meritasse farlo quel viaggio, dato che a Sansepolcro c’era la ‘Resurrezione’ di Piero della Francesca, ‘la più bella pittura del mondo’. Feci un calcolo dei bossoli sparati e fui sicuro che se non l’avessi già distrutta, avrei potuto, proseguendo il bombardamento, danneggiarla gravemente. E feci cessare il fuoco.
È il caso di dirlo, galeotto fu il libro, per la precisione Along the road, quella sorta di primitiva guida turistica che Aldous Huxley redasse nel 1925 e, circa vent’anni più tardi, salvò la “più bella pittura del mondo”, la Resurrezione, appunto. Queste le sue parole esatte:
Non abbiamo bisogno di immaginazione per aiutarci a comprendere la sua bellezza sta lì davanti a noi in tutto il suo splendore, la più grande opera al mondo.
Si racconta che il Capitano Antony Clarke, rischiando la Corte Marziale, si mise in contatto col proprio quartier generale e affermò che non vi era presenza sensibile di nemici e che si sarebbe potuto evitare il bombardamento. Allo stesso tempo, si diresse verso il centro abitato e, mosso da quella epigrammatica ma importantissima frase, chiese ad un fanciullo dove si trovasse la “Resurrezione” di Piero della Francesca. Neanche a pensarci il ragazzetto indicò il palazzo comunale dove l’opera risiedeva ormai dal 1463 e Clarke non potè fare a meno di recarvisi. Rimase una giornata intera, almeno così si dice, in contemplazione. Cerchiamo di capire perché e consideriamo l’affresco nel dettaglio.
Esso rappresenta Cristo che risorge, ai suoi piedi quattro soldati romani addormentati, preposti al controllo del Sepolcro, su cui egli campeggia nell’atto di riconsegnarsi alla vita. Cristo va considerato al vertice di un triangolo immaginario che ha come base il sarcofago, la cui vista è impedita dai corpi dei soldati, e come vertice l’aureola del Risorto. Costui non è rappresentato soltanto come una figura ieratica e immobile bensì è caratterizzato da un dinamismo evidente ma non predominante, accentuato dalla posizione della gamba piegata sul sarcofago e corrispondente al braccio sinistro, anch’esso piegato, poiché regge l’asta col vessillo. Cristo è ben ancorato a terra, alla Terra, ma al contempo prende lo slancio per sollevarsi.
Sarebbe presente l’ autore stesso, ai piedi del Sepolcro, con il torso appoggiato all’asta del vessillo, come se fosse in contatto perpetuo con la divinità. Proprio questo elemento è degno di nota perché consente di istituire una contrapposizione tra i soldati, che assumono il significato dell’immanenza e della caducità umana, e il Cristo Risorto che è invece emblema della trascendenza e della vita perpetua. Torniamo, però, per un momento alla geometricità della composizione che, invece, consente di spiegare questa, per così dire, scultoreità della figura di Gesù Cristo che viene coscientemente dipinto al di fuori delle regole prospettiche e, in un certo senso, al di fuori delle regole terrene per avvicinarsi allo spettatore. Un affresco straordinario, nel senso etimologico del termine, per molti aspetti. Il restauro, infatti, cominciato nel Marzo del 2015 dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze non è ancora stato terminato e i dubbi che aleggiano intorno all’opera sono molteplici e di varia natura, ad esempio, per quale motivo l’affresco si trova nel Palazzo dei Conservatori, ora Museo Civico, e non in una chiesa? Forse perché l’immagine del Cristo che si solleva ed esce dal Sepolcro è assente nei Vangeli? Potrebbe essere. Tuttavia non vi sono ad oggi risposte esaustive. Quel che è certo ed è curioso, in effetti, è il fatto che un prodotto del tutto umano quale è l’arte sia stata, per così dire, salvaguardata da un altro prodotto del tutto umano e costitutivamente legato alla distruzione, quale è la guerra. Curioso altresì che il medium di questo salvataggio sia stato uno scritto di Huxley, quindi, in sostanza, un libro ricordato appena in tempo da un uomo di straordinaria sensibilità malgrado la sua professione. E allora, si tratta beninteso di una mia congettura, il Capitano Clarke, forse, è stato colpito dalla potenza evocativa di un Cristo che gli tende la mano, nonostante la morte, nonostante la guerra. Può essere, quindi, che questo sia stato un ultimo disperato tentativo dell’uomo di afferrare, vice versa, la mano di un Cristo che è emblema di salvezza. Eppure, qui, Cristo è Arte ed ecco che Arte diviene sinonimo di salvezza.