Claude Monet
dall'Impressionismo all'informale
Claude Monet, caposcuola dell’Impressionismo, trascorre tutta la sua esistenza dipingendo il “divenire” e la continua mutazione dei soggetti per effetto della luce solare. L’artista raggiunge esiti che si svincolano quasi totalmente dal dato reale e che ci consentono di accostare la sua ultima produzione all’arte astratta ed informale. Durante la giovinezza, in cui affronta motivi più realistici, è già un rivoluzionario: insieme ad altri pittori sente una forte repulsione nei confronti dell’accademismo e della pittura ufficiale, che veniva accolta al Salon (un’esposizione periodica di pittura e scultura che si svolse al Musèe du Louvre dal XVII al XIX secolo). Si trattava di opere in cui anche il paesaggio, soggetto che questi giovani artisti prediligono, continuava ad avere una resa plastica e lucida, molto lontana dalla realtà. Dopo essersi raggruppati nella Società anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori ecc. Monet, Sisley, Degas, Berthe Morisot, Cézanne, Pissarro e Renoir, il 15 aprile del 1874 presentano le loro opere presso lo studio messo a disposizione dal noto fotografo Nadar.
Si tratta di un atto di indipedenza molto forte che fino a quel momento non aveva avuto precedenti in Francia: nessuna mostra collettiva era stata organizzata al di fuori del Salon. Il pubblico, però, si rifiuta di prendere l’esposizione sul serio, tanto che Émile Zola nel 1886 scrive
Il riso che si udiva […] era il riso contagioso di una folla venuta per divertirsi […] si davano gomitate e si piegavano in due
Il critico Louis Leroy, invece, pubblica un violento articolo sulla rivista Le Chiarivari in cui, parlando del quadro di Monet Impressione, levar del sole, presente alla mostra, sostiene che «una carta da parati al suo stato iniziale è più rifinita di questa marina» e conclude attribuendo agli artisti l’appellativo derisorio di “Impressionisti”.
Nel quadro Impressione, levar del sole Monet registra le proprie impressioni all’alba al Porto di Le Havre, città in cui trascorre l’infanzia e la giovinezza. Le forme, prive di volume, sono rese attraverso veloci tocchi di colore accostato. Tutto appare indefinito e immerso nell’atmosfera magica dell’inizio del giorno. In questo dipinto si trovano alcuni elementi fondamentali che caratterizzato il movimento. L’en plain air sta alla base dell’Impressionismo: solo grazie alla diretta osservazione della natura, l’artista può rappresentare sulla tela l’impressione che uno stimolo esterno suscita in lui. Si abolisce quasi totalmente il disegno e per quanto riguarda il colore si preferisce quello puro, che viene accostato e non più giustapposto. La realtà viene vista sotto forma di luce, dunque anche quest’ultima costituisce una componente essenziale per questo tipo di pittura: è al suo variare che i toni si intensificano o smorzano la loro vivacità originaria.
Tutte queste novità vanno di pari passo con i progressi scientifici che si stavano compiendo nel campo dell’ottica e dei meccanismi della visione, ma i tempi di affermazione dell’Impressionismo sono duri. La figura di Monet risulta determinante per il gruppo, come lo stesso Renoir confessa: «Senza di lui nessuno di noi avrebbe fatto nulla». L’esperienza del movimento si protrae sino al 1886, anno dell’ottava e ultima mostra, ma già dal 1883 Monet si trasferisce a Giverny dove il suo giardino, creato con cura maniacale, costituisce una sorta di microcosmo in cui è presente tutto ciò che l’artista ama di più. Esso appare come un’opera d’arte di notevoli dimensioni e da quel momento in poi sarà una fonte d’ispirazione per tutti i suoi lavori. Monet si concentra infatti su diversi soggetti ricorrenti, lavorando contemporaneamente su più tele per registrare al meglio la variazione della luce solare su di essi.
Mentre si susseguono i cicli dei Pioppi, dei Covoni, le vedute della Cattedrale di Rouen, di Londra e Venezia, i soggetti perdono sempre di più la loro importanza. Ciò che diventa rilevante ed essenziale per l’artista è immortalare i sentimenti che essi evocano in lui. Cosi scrive nel 1908, durante il suo soggiorno a Venezia, allo scrittore Gustave Geffroy:
Sapete che sono assorbito dal lavoro. Questi paesaggi d’acqua e di riflessi sono divenuti un’ossessione. È al di là delle mie forze da persona anziana, e voglio tuttavia arrivare a rendere ciò che sento vivamente. Ne sono distrutto […], ricomincio […] e spero da tanto sforzo esca qualcosa.
Monet, ormai anziano, non si stanca di sperimentare nuove tecniche e dedica gli ultimi vent’anni della sua vita alle ninfee, fiori d’acqua che si trovano anch’esse nel suo giardino a Giverny. Imprime sulla tela duecentocinquanta variazioni pittoriche di questo unico tema, che segnano il suo culmine creativo ed espressivo. Si tratta dell’ultimo di una serie di esperimenti con cui porta alle estreme conseguenze i presupposti dell’Impressionismo. L’artista, riferendosi a questo soggetto, descrive così l’essenza della sua arte:
Ho dipinto tante di queste ninfee, cambiando sempre punto di osservazione, modificandole a seconda delle stagioni dell’anno e adattandole a diversi effetti di luce, che il mutar delle stagioni crea. E, naturalmente l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo l’accompagnamento. L’elemento base è lo specchio d’acqua […]. Cogliere l’attimo fuggente o almeno la sensazione che lascia è già sufficientemente difficile quando il gioco di luce e colori si concentra su un punto fisso, […] ma l’acqua, essendo un soggetto così mobile e in continuo mutamento è un vero problema. Un uomo può dedicare l’intera vita ad un’opera simile.
Il ciclo delle ninfee viene generalmente diviso in due serie produttive: la prima, costituita da opere di dimensioni relativamente piccole, viene eseguita da Claude Monet tra il 1898 e il 1908; la seconda, costituita da dodici enormi tele, fu invece realizzata tra il 1916 e il 1926. Le dodici tele, donate allo Stato Francese dallo stesso artista, furono conservate al Musèe de l’Orangerie des Tuilleries di Parigi – dove si trovano tutt’oggi – poco dopo la sua morte.
Dal 1908 Monet inizia ad accusare gravi disturbi alla vista: l’artista ha difficoltà nel cogliere con precisione i colori e a volte, preso da attacchi di ira, distrugge molte tele. Nel 1925 confessa
Non dormo più per colpa loro, di notte sono ossessionato continuamente da ciò che sto cercando di realizzare. Mi alzo al mattino rotto di fatica. L’alba mi ridà coraggio, ma la mia ansietà ritorna non appena metto piede in studio […]. Dipingere è così difficile e torturante
La malattia agli occhi gli permette, però, di giungere ad una rappresentazione più interiore in cui il colore acquista maggiore espressività, mentre la forma perde la sua solidità. Il ciclo dei pannelli, inaugurato nel 1927, suscita grande perplessità. Solo negli anni Cinquanta, con l’Astrattismo e l’Espressionismo astratto, è stato possibile collocare Monet oltre l’Impressionismo, offrendo una diversa chiave di lettura dell’ultima stagione pittorica dell’artista. Non si tratta di una fase di “decadenza senile”, come molti critici ritenevano, ma al contrario, di un collegamento tra gli ultimi decenni dell’ottocento e le esperienze contemporanee.
Bibliografia:
L. Venturi, La via dell’Impressionismo da Manet a Cézanne, Giulio Einaudi editore, Torino 1970
C. Spadoni, Dal Romanticismo all’informale, Electa editore, Milano 2006
Articolo a cura di Arianna Cassinari
Articolo già uscito su Conversazioni artistiche