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pubblicato 5 anni fa in Altro

Come affrontare il mostro

Come affrontare il mostro

Se poche settimane fa mi avessero chiesto che cosa fosse la medicina narrativa, probabilmente non avrei saputo rispondere; adesso posso dire che è un intervento intellettuale rischioso che, tuttavia, se vissuto a pieno, può cambiarti la vita.

Andiamo per gradi.

Fenysia, la scuola dei linguaggi e della cultura, ha tenuto verso la metà di ottobre Come affrontare il mostro, un corso attraverso cui conoscere i benefici delle medical humanities.

A guidare la scuola è Pierpaolo Orlando, accompagnato dalla poetessa Alba Donati. Il corso però è stato fortemente voluto dalla giornalista Geraldina Fiechter, che ha richiesto la partecipazione di una scrittrice di tutto rispetto, Alessandra Sarchi, di un medico cardiologo e scrittore, Alfredo Zuppiroli e l’intervento di una psicologa, Francesca Masi.

Tutti soffriamo, ognuno a modo nostro, e non possiamo ritenere il nostro dolore più grave di quello degli altri. Come succede in un gruppo che dovrà rimanere unito per parecchio tempo, ci siamo dovuti presentare e abbiamo dovuto spiegare perché fossimo seduti lì, quale fosse il nostro dolore.

In questa situazione mi ha colpito la fiducia che si è immediatamente instaurata tra tutti i presenti, perché raccontare un fatto intimo e privato della propria vita non è mai semplice. Ha iniziato a parlare il dottor Zuppiroli, dicendo che da sempre ha cercato di capire il significato che la professione medica ha avuto e ha per lui e per la società. Si è soffermato soprattutto sull’esperienza della relazione con l’altro, tema che ha già trattato nel suo Le trame della cura.

Se i medici devono stare parecchie ore sui libri a studiare ogni forma di disease, di malattia come patologia oggettiva, dovrebbero anche essere in grado di prestare molta attenzione alla illness, cioè alla malattia vissuta soggettivamente come infermità, e alla sickness, ai riflessi sociali della malattia, ai suoi risvolti nelle varie relazioni tra il paziente e il suo mondo. D’altra parte, come possiamo continuare a pensare e a praticare la medicina, la più umana delle scienze, secondo modalità tecniche fredde e impersonali, sempre più lontane dall’uomo?

Zuppiroli ha continuato facendo una riflessione che mi ha profondamente colpito: siamo malati che da guariti si portano dentro l’esperienza della malattia, e per questo siamo diversi.

La diversità non consiste nell’aver fatto un ciclo di chemio, nell’aver subito operazioni invasive o nell’aver sperimentato la “tranquillità” di un sedativo. I malati sono diversi perché hanno sofferto e vedono la vita sotto un altro punto di vista.

È con Alessandra Sarchi che affrontiamo la tematica della medicina narrativa, parlando di Rita Charon, autrice, fondatrice e direttrice del programma. Per Sarchi, questa medicina fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare le storie dei malati ed esserne emotivamente toccati.

Sarchi afferma anche che è difficile pensare che una persona malata riesca a trasmettere a un professionista ciò che prova, la sua sofferenza. Per questo, il modo migliore per sfuggire alla pressione che un malato deve subire (dai medici, dai familiari e dalla malattia stessa) è quello di scrivere.

Avete mai pensato che si tende a usare metafore belliche per parlare della malattia? Per noi è come un campo di battaglia da cui si può uscire vinti o vincitori. Ma non è così, non c’è un premio per chi vive o per chi riesce a uscire dal suo stato di sofferenza. Il malato, spiega la Sarchi, si sente in colpa. C’è questo bisogno incessante di controllo della situazione e di scoprire le cause di ciò che è successo, si pensa che lo stato della malattia sia migliorabile.

Secondo la scrittrice, di malattia si parla troppo e a sproposito, in modo ansioso e spesso inconscio, perché, come sostiene Alba Donati, tendiamo a spostare continuamente i pensieri, specialmente quelli negativi, per sopravvivere.

L’incontro con la psicologa Francesca Masi è stato illuminante. C’è stata una riflessione profonda su ciò che per noi è la realtà e su cosa invece è reale. La realtà corre parallelamente al reale; Sono due dimensioni completamente diverse, ma senza una l’altra non esisterebbe. Come spiega Jacques Lacan, la realtà sarebbe un sonno, nel senso che nella nostra frequentazione abitudinaria della realtà tendiamo ad addormentarci, cioè presupponiamo che la realtà risponda a un certo ordine naturalmente evidente. Ma quando incontriamo il reale? L’incontro con il reale è sempre l’incontro con un limite che ci scuote, con qualcosa che ci impedisce di continuare a dormire. Tutto ciò che ci risveglia dal sonno della realtà è reale. Masi spiega che si tende, per un problema di economia emotiva, a vivere nella realtà per un dispendio energetico minore, ma soltanto il reale è autenticità. Soltanto la malattia riporta la persona dalla sonnolenza della realtà al reale.

Scrivendo del mio dolore, della mia sofferenza, uso una parola per ciò che per me significa tutto, la travaso in un’altra persona che la trasforma in tutto ciò che per lei significa.

È questo l’obiettivo della medicina narrativa, scrivere per dare voce al proprio dolore ma soprattutto per far capire a chi soffre che non è solo e che, appunto, tutti soffrono.

Il problema di una persona malata è la comprensione. Mi ricordo di aver detto ad Alessandra Sarchi che volevo esser presa per mano ma negavo qualsiasi sorriso. È difficile chiedere aiuto ma soprattutto riceverne il giusto, né troppo né troppo poco. La vita di un malato cambia, muta, evolve in poco tempo. Si ha costantemente la sensazione di volersi strappare il disagio da dosso, con l’impotenza che ti colpisce e che scruti negli occhi di chi ti sta accanto.

Per chi non vive la sofferenza, la paura, la rabbia, la delusione di chi sta male, è difficile capire determinati comportamenti, atteggiamenti che un malato può avere durante la sua giornata.

Alla fine del corso la giornalista Geraldina Fiechter ha voluto regalare a ognuno di noi un suo augurio speciale e molto prezioso che mi sento di condividere perché solo avendo provato l’amore si impara a usare la parola amore, solo guardando in faccia il dolore si impara a raccontarlo e a condividerlo.

Avete mostrato le ferite con coraggio, con onestà, e le ferite sono diventate feritoie da cui è filtrata luce e aria per tutti, fessure trasformate in finestre sul mondo interiore di ognuno di noi. La bella scrittura nasce da qui. In tanti anni di lavoro ho capito che le parole non solo comunicano, non solo definiscono e creano il mondo interiore ed esteriore, ma sono anche salvifiche.

La medicina narrativa è una forma di conoscenza del mondo che dà senso alle storie degli altri.

di Aurora Costa

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